Si chiama La scuola open source ed è pensata per essere totalmente aperta, fatta da hacker, educatori e maker ed è la prima del suo genere in Puglia. Li abbiamo intervistati
L’innovazione è sempre sociale, altrimenti è speculazione sull’ignoranza degli altri
È il mantra. Dovrebbe essere un messaggio da affiggere all’ingresso. Magari scolpito oppure stampato in 3D, magari fresato o automatizzato con Arduino. È un “Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate” di senso opposto: “Trovate ogni speranza, voi che entrate”. O se non altro costruitevela. A Bari un manipolo di educatori, architetti, programmatori, artigiani digitali e sognatori è salito a bordo di una nave pirata battente bandiera di condivisione, per raggiungere un obiettivo: una scuola-laboratorio che oltrepassi il confine della nozionistica di base. Che insegni innovazione e tecnologia a chiunque sia interessato o magari a chiunque possa trovare in questo una via di fuga a un destino balordo. E che si faccia a Bari, nel cuore del borgo antico, in un luogo di proprietà del Politecnico un tempo adibito alla realizzazione di videoconferenze prima che l’esplosione di Skype ne decretasse il collasso funzionale. Sempre aperto, alle idee e alle persone, 24 ore su 24 per cambiare il modo di concepire la formazione. E cambiare il mondo, sia chiaro.
Da XYLab a La scuola open source
La Scuola Open Source è il nome del progetto redatto da un collettivo barese di tecnici, appassionati di tecnologia, formatori, hacker e maker con una media di età inferiore a 30 anni. Un luogo vero, una palazzina nel capoluogo pugliese, con tanto di aule e strumentazione tecnica, sempre aperto ai futuri soci dotati di badge. All’interno gli iscritti potranno seguire lezioni di robotica, comunicazione, hackering o magari di Arduino o manifattura digitale, tenute da esperti del settore. O magari potranno lavorare su una propria invenzione personale. Un contenitore di scienza e diffusione di innovazione in maniera etica e condivisa, open source appunto. Per ora è un programma su carta, ma è già molto più che una interessante (e sofisticata anche solo da immaginare) proposta visionaria. Prima di tutto perché questo modello di approfondimento e conoscenza paritetica, pur in un più breve lasso di tempo, è stato già applicato da alcuni dei principali promotori nell’esperienza di XYLab. Poi perché ha già superato la prima fase del bando di CheFare per provare ad accaparrarsi i 50mila euro messi in palio a fondo perduto, accedendo alla top 40 in mezzo a una selva di 700 proponenti. E oltretutto strumenti simili di insegnamento funzionano a un istituto di eccellenza interdisciplinare come il Collège de France di Parigi: qui i professori devono impartire 26 ore di insegnamento sotto forma di seminari, funzionali a una ricerca originale. In questo modo sono portati a rinnovare di continuo il contenuto delle lezioni.
Io voglio far capire a un ragazzino che il suo futuro può essere diverso. Voglio fargli capire che saper costruire un robot è molto meglio che scippare
Alessandro Tartaglia e Alessandro Balena sono hacker della comunicazione. Sono due dei componenti della ciurma dei promotori. E quando parlano de La Scuola Open Source si accendono letteralmente, come i mille marchingegni che stanno preparando come materiale didattico. Su quel tavolo da una parte si sta finendo di assemblare un originale tablet dotato di software aperto Linux. Con un case fatto di mattoncini Lego. In un altro punto è ancora aperto un Hackinthosh montato in una valigia, un classico esempio di fusione tra un sistema operativo Apple e un personal computer. Persino in un involucro come un bagaglio a mano. «Vogliamo offrire didattica divulgativa, dai corsi di programmazione a quelli per progetti di ricerca esterna, a servizi e strumenti che possano diventare spin-off autonomi. Un posto aperto per qualunque socio, a ogni ora del giorno e della notte. Ma davvero a chiunque, senza preclusioni: dal bambino all’anziano, dal disoccupato al manager che vuole imparare nuovi know how». Il portone della scuola è aperto. Arduino, Raspberry pi, Udoo, taglio laser, fresatrici cnc o stampa 3D costituiscono il patrimonio base a disposizione degli alunni che verranno.
All’inizio del ‘900 la nascita del design ha portato alla creazione della scuola del Bauhaus unendo architetti, artisti e istituto tecnico. Il forte cambiamento delle convergenze tecnologiche di oggi può favorire una scuola come quella che abbiamo in mente
Ma chi paga le lezioni?
«Alle imprese conviene investire in formazione: il costo sostenuto dalle aziende va in detrazione nelle loro dichiarazioni fiscali e hanno importanti sgravi sui costi di ricerca. Pensiamo di poterli attrarre per dare loro nuove competenze da applicare sul mercato. Così come potremmo dare formazione ad amministratori pubblici con corsi intensivi e stringere alleanze con le università in modo che le nostre lezioni forniscano crediti formativi. I contatti non ci mancano». Già, i contatti: la SOS sta già interessando diverse figure, da innovatori a realtà istituzionali di istruzione, fino a canali di diffusione degli output realizzati. E persino un imprenditore che avrebbe voluto investire 140mila euro per un progetto settoriale. «Abbiamo rifiutato – confessano – vogliamo convincerlo che mettere denaro in un singolo settore dell’innovazione oggi è pura follia. Il discorso deve essere molto più ampio. Vogliamo dare a realtà che hanno capacità economica un interlocutore che insegni innovazione di processo e tecnologico. Perché in Italia succeda qualcosa va fatto un lavoro di networking vero». Vogliono farcela senza un padrone o un committente fisso, perché questa sia una scuola libera, aperta e sociale. E composta davvero dalle persone iscritte che portano in sé nuova conoscenza e il messaggio politico di questo luogo. Open source e per tutti.