Intervista a Davide Dattoli che ha appena inaugurato il secondo cowo di TAG a Milano. Uno spazio che racconta come sarà il futuro del lavoro, e come una startup italiana è diventata tra i leader del coworking
Ottomilacinquecento metri quadrati disseminati di lavoratori digitali, startupper, community. O più semplicemente abitanti, come si chiamano da queste parti i professionisti che decidono di abbracciare questo spazio condiviso, lavorando in rete. Ottocentocinquecento metri quadrati che proiettano Milano direttamente al centro del mondo dell’innovazione, grazie ad uno dei coworking – ma in fondo è molto altro – più grande d’Europa.
Benvenuti nel nuovo coworking TAG, acronimo che nel mondo dell’innovazione nostrana sta a significare Talent Garden. Siamo in via Calabiana a Milano, area sud-est di Milano, a cinque fermate di metro dal Duomo e a due passi dalla fermata Lodi, nelle vicinanze della prestigiosa Fondazione Prada. E’ qui che nasce il secondo coworking milanese TAG. Spazio che fa scuola, ma che non ferma l’ambizione. Perché nella giornata di presentazione alla stampa – mercoledì 9 settembre – già ci si proietta al 2017, anno di sbarco del terzo coworking milanese in zona Corso Sempione.
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«Nasce il più grande hub europeo dell’innovazione»
«Questi tre luoghi saranno connessi tra loro e con migliaia di innovatori di ogni parte del mondo», racconta con orgoglio Davide Dattoli, papà di TAG, realtà nata nel bresciano soltanto quattro anni fa e che oggi rappresenta il più grande network europeo di spazi di lavoro condivisi, con una focalizzazione sul settore digitale e creativo. La rete è presente in 12 città (di cui ben 3 sono europee), arriva a fatturare quasi 3 milioni di euro all’anno ed è partecipata al 28% da Digital Magics, il venture incubator di startup innovative digitali quotato sul mercato AIM Italia di Borsa Italiana.
La storia di Talent Garden
La ricetta di Davide Dattoli si declina anche sui numeri. Necessariamente grandi. Lui, 24enne bresciano di nascita e oggi più che mai startupper e globetrotter, la sua rivoluzione l’ha fatta partire proprio da questo capoluogo lombardo a cento chilometri da Milano, in uno spazio di 750 metri quadrati aperto il primo dicembre 2011. Quindi un grande spazio. E in quattro anni quanta strada è stata fatta. «Oggi i residenti nelle nostre città sono 650 organizzati e supportati da 50 dipendenti, ma transitano in TAG fino a 250 startup e 50mila individui all’anno grazie alle varie iniziative», racconta Dattoli.
Lui si definisce co-founder. Gli chiedo perché. La risposta è tanto semplice quanto disarmante. «In realtà ciascun TAG ha un suo co-founder, e io condivido la paternità con gli altri innovatori sparsi in Italia e in Europa». Già, l’Europa. Perché al momento sono tre le altre strutture oltre confine: Spagna, Albania, Lituania. E allora presto capisci la natura esponenziale di una startup che macina numeri, fatturato e interesse e che in fondo fa rima con comunità. Proprio comunità. Perché è passare dall’online all’offline la chiave vincente. Dalla rete virtuale alle reti fisiche. «Rappresentiamo un nuovo modello per aiutare i talenti creativi di un territorio fornendo loro i servizi di cui hanno bisogno e creando connessioni, affinché dalla condivisione di un luogo di lavoro possano nascere nuovi progetti».
Calabiana, il più bel luogo possibile
Questo di Calabiana è in fondo un campus d’innovazione, di contaminazione. Un campus di idee che si mettono in moto e soprattutto in circolo. Un sogno diventato realtà grazie ad un’ambizione coltivata con sacrificio. «E’ l’investimento più grosso mai fatto. E non a caso siamo a Milano. A livello strategico è un anno che stavamo pensando ad un ampio progetto europeo. E siamo felici di essere a Milano, perché c’è tutto l’orgoglio di essere italiani, di vivere in un dopo Expò da protagonisti, di partecipare alla rivoluzione di una città che brulica di entusiasmo e voglia di fare».
La parola chiave è attrattività. Verso il territorio e soprattutto verso l’Europa che ci guarda. «Per essere davvero attrattivi dobbiamo puntare all’internazionalità con le nostre leve di maggior successo: moda, design, manifattura. Tutte declinate con le lenti del digitale per creare valore. Per essere attrattivi abbiamo necessità di puntare sulla contaminazione , connetterci con altre realtà, e questo di Calabiana è il più bel luogo possibile».
E allora raccontiamo questa Calabiana, spazio imponente e storico. Qui aveva sede la storica tipografia che nel 1842 stampò i “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Qui poi l’imprenditrice italiana Marina Salamon aveva aprto uno showroom. Da qui che riparte la sperimentazione di un nuovo modo di lavorare, per un progetto architettonico firmato dallo studio Carlo Ratti Associati
I numeri di Calabiana: fino a 400 professionisti ospitabili con postazioni, tre spazi eventi con una capienza totale di oltre 1000 persone e una terrazza con piscina. Nello spazio un’area caffetteria, uno spazio brainstorming e un angolo cinema. «Questo campus non è un progetto real estate, ma un progetto di sistema, un aggregatore fisico dei migliori innovatori italiani per connetterli con l’Europa. Diventeremo il cuore pulsante dell’imprenditoria 2.0, porteremo l’Italia sulla mappa europea del digitale», promette Dattoli.
Non più lavoratori, ma abitanti
Il coworking così cambia pelle. Evolve, come in fondo il mondo del lavoro. I numeri esposti da Dattoli raccontano un’evoluzione costante: Oltreoceano si stimano sessanta milioni di self-worker entro il 2020, secondo FastCompany. E in Italia oggi l’Istat registra 6 mlioni di immobili inutilizzati, con na crescita del +88 dei coworking secondo DeskMag. «Ecco allora che cambia di fatto anche il luogo di lavoro: aumentano i servizi, le dimensioni, gli scambi, i progetti condivisi: non affitti più soltanto una scrivania, ma una membership. Di fatto partecipi ad un progetto comune: puoi usufruire di un corso di stampa 3D, lezioni di Yoga, un modulo per perfezionare l’inglese, addirittura (in futuro) un parrucchiere». E allora si capisce il senso di definire il lavoratore di un tempo come l’abitante di oggi.
La forza di Dattoli è stata quella di puntare – grazie alle reti digitali, quei famosi nodi connessi, come li definisce lui – all’integrazione dell’offline rispetto alla dimensione dell’online. «Il digitale cresce a doppia cifra, fa entrare professionalità nuove, è un settore che permette l’inserimento di chiunque. Ecco: noi stiamo crescendo in un segmento che sta crescendo. Ecco perché la nostra azione è nell’offrire pacchetti di servizi, non più una scrivania. Questo è il grande valore aggiunto».
L’aggregazione è un trend del futuro del lavoro
Modelli in evoluzione. «Cinque anni fa il coworking era diffuso nel mondo, ma ancora un concetto amatoriale, quasi una community no profit, un po’ elitaria. Con il nostro contributo – partito dall’Italia – abbiamo fatto evolvere quest’idea. Per me il coworking è molto di più di una scrivania», dice orgoglioso Dattoli.
Ma se paventi un futuro di posizioni monopolistiche, di grandi sempre più grandi con i piccoli destinati di fatto a soccombere, così risponde Dattoli: «Stiamo dimostrando che il coworking è potenzialmente per chiunque. E nel tempo coesisteranno più modelli: c’è spazio per tante e piccole realtà, ma anche per grandi player. Quindi nasceranno anche piccoli attori verticali, focalizzati su specifiche industry territoriali. A far la differenza poi sarà la contaminazione con le grandi aziende che hanno bisogno di innestare al loro interno il cambiamento». Per Dattoli fenomeni di aggregazione si registreranno in tutto il mondo, sia per dimensioni che per struttura. «Anche perché aggregandosi aumenti il potenziale della rete: più aumenti i nodi delle connessioni e più aumenta questo valore».
Giampaolo Colletti
@gpcolletti