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In una società che lotta ancora per abbattere pregiudizi e stereotipi, alcune persone si trovano a vivere un’esperienza di discriminazione multipla, quella legata alla disabilità e quella connessa all’identità di genere o orientamento sessuale. Non si tratta di una semplice somma di difficoltà, ma di un intreccio complesso di pregiudizi che si rafforzano a vicenda, che possono quindi rendere più difficile l’accesso all’educazione, al lavoro, alla salute e alla piena inclusione all’interno della società.

Pride e non solo, rendere tutti gli eventi più inclusivi

La comunità LGBTQIA+ è maggiormente ricettiva rispetto alle istanze legate alla disabilità? “È impossibile dare una risposta senza generalizzare. Il movimento è estremamente eterogeneo e assume una faccia diversa a seconda del contesto territoriale sul quale opera e delle specifiche prospettive politiche”, spiega a Startupitalia Simone Riflesso, attivista, content creator, copywriter e illustratore, che, tra le altre cose, ha creato “SondaPride”, un’iniziativa innovativa dedicata a valutare il livello di inclusione e accessibilità dei Pride italiani. 

Con un duplice obiettivo: da un lato offre alle persone con una disabilità o una neurodivergenza informazioni utili per orientarsi tra le diverse manifestazioni, identificando quelle più accessibili. Dall’altro, mira a sensibilizzare gli organizzatori dei Pride sull’importanza di rendere gli eventi più inclusivi, stimolandoli a riflettere su domande fondamentali: quanto sono accessibili le manifestazioni e le attività correlate? Che ruolo e spazio viene riservato alle persone disabili LGBTQIA+? Il progetto, quindi, rappresenta non solo uno strumento pratico, ma anche un punto di partenza per promuovere un cambiamento culturale verso un’uguaglianza autentica.

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Photo credit: Simone Riflesso (Instagram)

Accessibilità e inclusione della disabilità

“SondaPride – sottolinea Riflesso – non nasce come strumento di denuncia, ma di consapevolezza. Vuole dare un’impressione del presente e della strada che serve fare”. La situazione è molto complessa e frammentata: i sono realtà virtuose che funzionano piuttosto bene, altre che fanno il minimo indispensabile e alcune ancora che arrancano e sottovalutano l’importanza dell’accessibilità e dell’inclusione della disabilità. 

“Spero questo lavoro possa sottolineare l’importanza di mettere in atto un’inclusione necessaria, spesso ignorata e data per scontata, un concetto che la comunità LGBTQIA+ conosce benissimo. Che possa essere da sprone per lavorare sull’accessibilità dei Pride dal principio, già dalle fasi di progettazione. Così da rendere il processo stesso per arrivare agli eventi finali accessibile per tutte le persone, che potrebbero e vorrebbero partecipare alle varie fasi, ma che spesso trovano difficile e frustrante riuscire ad adattarsi alle modalità e ai criteri tipici di abilità e capacità”.

Maggiore sensibilità e apertura nei confronti delle istanze

Si tratta di una strada ancora lunga in cui l’obiettivo principale è quello di combattere e sconfiggere un doppio stigma, l’uno legato al tabù del sesso, che troppo spesso ancora circonda le persone con disabilità, e l’altro, che affonda le radici nella discriminazione relativa al proprio orientamento. 

“Sicuramente il contesto associativo della comunità LGBTQIA+ è generalmente molto più ricettivo rispetto alla sensibilità mainstream della società civile, per la sua intrinseca adesione ai valori della giustizia sociale e dell’equità. Sempre generalmente, si può pensare che vivere sulla propria pelle lo stigma e la discriminazione sistemica di omofobia, transfobia e di tutte le altre forme di intolleranza possa portare a una maggiore sensibilità e apertura nei confronti delle istanze di altre categorie marginalizzate. Naturalmente non è una garanzia di aver fatto i conti con quel sistema di credenze, processi e pratiche discriminatorie e oppressive nei confronti delle persone con disabilità noto come abilismo: una visione del mondo in cui siamo immersi e da cui siamo influenzati, che apprendiamo fin dall’infanzia e proiettiamo sul mondo”. 

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Se si guarda ai dati raccolti con SondaPride fra il 2022 e il 2023 sull’accessibilità dei Pride in Italia, in alcuni casi ci sono stati segnali di attenzione e miglioramento: ad esempio, nel 2022 solo 14 Pride su 47 avevano comunicato gli interventi di accessibilità previsti per le manifestazioni programmate, mentre nel 2023 lo stesso indicatore dice che più dell’80% dei Pride hanno prestato più attenzione e comunicato gli sforzi fatti per rendere il Pride un evento accessibile.

La necessità di un cambiamento culturale

Quello dei Pride è un esempio simbolico di come sia necessario pensare l’intero associazionismo in chiave intersezionale e accessibile. “Perché è bene ripeterlo: non esiste intersezionalità senza accessibilità”, sottolinea sempre il creatore di questa iniziativa. “Non si può pretendere che eventi organizzati da piccole realtà possano attuare l’intera gamma di soluzioni possibili, ma è altrettanto vero che l’accessibilità è un modus operandi, e non una serie di accorgimenti a cui trovare soluzione all’ultimo. Se rispondere alle esigenze di accessibilità è tanto complicato, è semplicemente perché non è nella nostra cultura pensare in maniera accessibile. Non siamo abituati a farlo”. 

Per questo è fondamentale iniziare a pensare da subito, in partenza, a eventi pensati per chiunque. “Non mi riferisco solo ai Pride, ma alle iniziative dell’associazionismo in generale. Penso a chi può avere difficoltà a partecipare a causa di un contesto che non tiene a mente le esigenze di tutte e tutti, ma anche a chi non può partecipare fisicamente. In questo caso non servono risorse esagerate, ma la volontà politica di includere chiunque”, conclude Riflesso.

Una lotta comune per i diritti di tutti

L’accessibilità e l’inclusione, infine, non devono essere viste come concessioni, ma come pilastri fondamentali di una lotta comune per i diritti di tutte e tutti. Solo quando ogni voce, indipendentemente da abilità fisiche o mentali, potrà essere ascoltata e valorizzata, la comunità LGBTQ+ potrà dirsi davvero inclusiva e rappresentativa. 

Perché la vera forza di un movimento non si misura solo nella capacità di rivendicare diritti, ma nel saperli estendere a chiunque ne abbia bisogno: si devono abbattere le barriere fisiche e comunicative negli eventi e nei luoghi LGBTQ+, sensibilizzare le associazioni e favorire il dialogo per comprendere davvero i bisogni di tutte a tutti. “Non è solo una questione di accessibilità, ma di cultura – conclude Simone Riflesso -: bisogna smettere di pensare alle persone con disabilità come corpi “altri” e iniziare a vederle come parte integrante di un percorso comune. La diversità è la forza di una comunità, e riconoscerla è il primo passo per non lasciare più nessuno indietro”.