Con l’intelligenza artificiale si scardineranno ordini precostituiti, modi di produzione, etiche di conduzione. Una sfida epocale cui l’umanità prova a rispondere con strategie convergenti: istruzione, regolazione giuridica, direzione politica. Ma come affrontare tutto questo? Risponde Cosimo Accoto, anticipando per la nostra rubrica domenicale Futuro da Sfogliare i temi del suo ultimo libro “Il pianeta latente”, edito da Egea.
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Erroneamente e a lungo circoscritto (reificato o personificato a seconda dei casi) alla dimensione tecnologica con le sue ramificazioni economiche, legali, sociali ed etiche, l’assemblaggio che chiamiamo «intelligenza artificiale» si sta finalmente rivelando per quello che è sempre stato: una provocazione politica planetaria. Di fatto, evoca e incarna il crescere di una computazione che scala a livello terrestre (ed extraterrestre anche) diventando vettore generativo, spesso invisibile e talvolta inviso, di nuove sovranità algoritmiche, di nuove visualità operazionali, di nuove scritture sintetiche.
Tra biosfere e tecnosfere, ora mature ora immature, siamo alle prese con la questione di un’emergente intelligenza planetaria. Non artificiale, ma planetaria proprio: la nuova, sorprendente forma d’esistenza del nostro pianeta latente. La domanda esistenziale, a detta degli astrobiologi, diviene allora questa: l’intelligenza artificiale sta accadendo su un pianeta o sta accadendo a un pianeta?
L’intelligenza artificiale è un nuovo modo d’essere (abitato) del nostro pianeta. Prefigura (e configura) l’ennesima ultima terraformazione del nostro mondo, la sua imminente e altra condizione di immanenza, di esperienza e di intelligenza. Come per altri passaggi nella storia della civilizzazione umana, si scardineranno ordini del discorso (regimi di verità/falsità), modi di produzione (regimi di possibilità/impossibilità), etiche di conduzione (regimi di responsabilità/irresponsabilità).
A questa sfida epocale (non episodica) stiamo oggi faticosamente tentando di rispondere con strategie varie, auspicate come convergenti: istruzione educativa, regolazione giuridica, conformazione etica, direzione politica. Sono tutte necessarie, naturalmente. Temo però anche non sufficienti. Imprescindibili, dunque, ma non bastanti per la missione ardua che ci attende sin da subito.
Perché la dimensione esistenziale in divenire che abbiamo qualificato ideologicamente come «intelligenza artificiale» è in ultima istanza, ripetiamolo, una provocazione di senso planetaria. Cioè, un radicale attacco culturale e ingegneristico all’idea (storicamente costruita e diveniente) di umano e di civiltà umana. Un colpo, questo, che ha sorpreso non poco la specie Sapiens arrivando a produrre, quasi all’improvviso e sulla sua viva pelle, una nuova ferita narcisistica.
La cura approntata, a oggi, per questo trauma da politica, educazione, etica e legge è in buona misura di natura narcotica. Lo scrivo, qui, con un intento volutamente perturbante. È, direi, fondamentalmente una strategia sedativa delle inquietudini speciste e palliativa delle criticità tecniche. Di conseguenza i discorsi più comuni ripetono un mantra pressoché unico e consolatorio: l’umano deve rimanere nel loop e in controllo, deve essere al centro e all’apice delle decisioni, deve confermarsi come unica soggettività intelligente, cosciente, senziente.
Nella gran parte dei casi – occorre saperlo – si tratta di una forma di narcosi del pensiero. Talvolta accompagnata da una palese volontà anestetica dell’etica, sedativa per l’appunto delle tre inquietudini: l’ultima parola, l’occhio assente, l’atto osceno. Antropologicamente condivisibile e confortante di certo, ma filosoficamente digiuna, culturalmente debole e politicamente ingenua.
Perché con il dispiegarsi planetario dell’intelligenza artificiale, noi non affronteremo solo problemi tecnici (con vulnerabilità e rischi reali di discriminazioni, manipolazioni, deprivazioni, polarizzazioni, alienazioni, contraffazioni). Piuttosto e più radicalmente noi fronteggeremo delle provocazioni intellettuali. Come abbiamo visto, a partire da quella primaria sulla natura dell’umano (chi siamo? O, meglio, chi diveniamo?) declinata poi in molte altre domande: può esistere una scrittura formalizzata senza il senso come accade per i modelli linguistici su larga scala? e una fotografia realistica senza il mondo come avviene per le immagini sintetiche? e un’autonomia decisionale senza l’umano come immaginata dagli agenti artificiali?
Questi non sono solo problemi, sono provocazioni. E se ai problemi tecnici lavoreremo, nel tempo e a tentativi, per trovare una soluzione ingegneristica di qualche tipo (informatica, legale, istituzionale e così via), alle provocazioni intellettuali dovremo invece rispondere, di necessità, con l’innovazione culturale. A questo compito più alto siamo oggi chiamati tutte e tutti: alla produzione di nuovo senso e di nuovi significati per questo nostro pianeta latente e poi in futuro, chissà, magari anche per il nostro abitare esoplanetario.
Una produzione di senso che a partire dall’ardimento delle domande (che annunciano, di fatto, una catastrofe) si faccia carico del compimento delle risposte (che indicano, a bilanciamento, un orizzonte desiderato, preferibile e possibile). Detto poeticamente, dobbiamo allora avere il coraggio di fare pensieri sovrumani. Per significare nuovamente e diversamente l’idea di umano (noto e dato) e promuovere nuovi orizzonti. Più inclusivi, più sostenibili, più giusti, più aperti, più prosperi e more-than-human. Sovrumani per l’appunto e non sovrani. Per orizzontare oltre il catastrofare.
Un pensiero sovrumano non può allora che essere un pensare planetario. Il pianeta latente è, anche, il nostro orizzonte di impensabilità del mondo. Nel trittico che compone questo saggio, l’abbiamo più volte incontrata questa nuova condizione umana che fronteggia l’indicibilità della parola sintetica, l’invisualità dell’immagine operativa, l’inscrutabilità dell’incognita politica. Ma pensare l’impensabile è il nostro destino.
A partire dall’intelligenza artificiale, infatti, nuove ingegnerie stanno dischiudendo domini e campi che ci richiederanno anch’essi pensieri aberranti. Computazione quantistica, biologia sintetica, criptosistemi decentralizzati per dire tre rivoluzioni che stanno lasciando i laboratori scientifici per divenire soluzioni ingegneristiche – il che significa entrare nelle nostre vite, nei mercati, nella società per creare nuove vite, nuovi mercati, nuove società. E pensiamo ulteriormente anche a neuroingegneria e geoingegneria con il loro impatto trasformativo su (neuro)diritti e (geo)strategie. Anche per queste altre ingegnerie saranno necessarie idee aberranti, che deviano, che si allontanano da ciò che è o è considerato, nel nostro caso, il senso comune dell’umano. Contraddistinte da incomprensibile (e arrischiata) stranezza.
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Di più: a sollecitare pensieri sovrumani, non sono solo le singole discipline menzionate ma anche tutte le ingegnerie «chimeriche», come le ho chiamate, che stanno crescendo proprio all’incrocio di quelle frontiere tecnologiche. Intelligenza artificiale che incontra la biologia sintetica per simulare e assemblare organismi biofabbricati; la robotica con droni a sciami che si struttura su un’architettura criptodecentralizzata blockchain-like; la computazione quantistica che si potenzia con l’intelligenza artificiale e che, di rimando, la supporta essa stessa (quantum AI); la realtà aumentata e virtuale (spatial computing) che collassa con la simulazione computazionale e la neuroingegneria. Provocazioni chimeriche di questo tipo ce ne sono già molte. Altre e diverse ne arriveranno di certo. È per me chiaro, allora, che non si potranno affrontare queste condizioni estreme senza una significativa innovazione culturale.
Fortunatamente, in giro per il pianeta, alcune iniziative esplorative stanno lavorando intensamente sulla frontiera della creazione di nuovi saperi, significati, linguaggi. In chiusura di questo saggio ne segnalo una particolarmente rilevante nella mia prospettiva e che merita di essere maggiormente diffusa e presente nei discorsi filosofici. È il progetto di ricerca collettivo guidato dal filosofo Benjamin Bratton che ha scelto, non a caso, come nome e simbolo Antikythera.
La «macchina di Anticitera» è un antichissimo ingranaggio ritenuto essere il primo calcolatore meccanico, le ricerche archeologiche dicono con funzioni di calendario (solare e lunare) e planetario (dei cinque pianeti conosciuti al tempo). Datato tra il 100 e il 178 a.C., ritrovato parzialmente e fortunosamente da pescatori nel relitto sommerso di un’antica imbarcazione commerciale romana, il congegno fatto di ruote dentate ricoperte di iscrizioni e meccanismi differenziali è estremamente complesso.
Ha la capacità di calcolare eventi astronomici, eclissi e fasi lunari, ma anche i giorni, i mesi e le date come quelle dei giochi olimpici. Sotto il nome di questo straordinario artefatto, si riunisce un collettivo di ricercatori di varia provenienza geografica e disciplinare.
Si definisce «un think tank per riorientare la computazione planetaria come forza filosofica, tecnologica e geopolitica». Una serie di seminari già in attivo e in programma anche una collana editoriale con MIT Press «per indagare le implicazioni e le traiettorie della computazione su scala planetaria, comprese le sue genealogie sociotecniche (scientifiche, infrastrutturali, di governance), le transizioni filosofiche (effetti epistemologici e ontologici) e le dinamiche geopolitiche (scenari legali, sociali, economici, politici)». Le attuali aree di impegno del collettivo coprono sei ambiti di ricerca. Ne do conto qui brevemente, con una mia personale sintesi, in chiusa, per promuovere il senso dello sforzo d’innovazione culturale avviato e in progressione nei prossimi mesi:
• planetary computation: la computazione istanzia un’infrastruttura, ora divenuta planetaria, trasformativa di filosofia e politica;
• synthetic intelligence: intelligenza artificiale è esternalizzazione del pensiero (non per forza human-like) nei sistemi tecnici;
• recursive simulations: modellizzazioni e simulazioni sono tecnologie epistemologiche che definiscono e operano il mondo;
• synthetic catallaxy: mercati e piattaforme emergono da nuove strutture di compressione ed espressione dell’informazione;
• hemispherical stacks: multipolarizzazione geopolitica si fonda su forme di sovranità fatte di dati, cloud, reti e software;
• planetary sapience: planetarietà come precondizione per l’evoluzione dell’artificialità dell’intelligenza.
Se le operazioni anestetiche (che sedano) e catecontiche (che frenano) sono state le prime, necessarie misure cautelative e cauterizzatrici delle ferite narcisistiche inflitteci dall’intelligenza artificiale, ora si tratta di avviare anche la fase di più radicale speculazione filosofica. È da questi percorsi di ricerca, immaginativi e spaesanti per molti versi, che credo si potrà e si dovrà allora ripartire al presente e in futuro per le necessarie esplorazioni e incursioni culturali dentro questa nuova condizione sovrumana (per noi sfidante) che ci consentirà di abitare il pianeta latente, auspicabilmente con sostenibilità ampia e prosperità condivisa.