Toscana, classe ’63, nata a Pisa da famiglia fiorentina, Elena Grifoni Winters è stata ingegnere alla NASA e all’Agenzia Spaziale Europea, dove ha ricoperto anche ruoli di coordinamento, consigliere e capo gabinetto del direttore generale, Josef Aschbacher, ruolo per cui, nel 2020, le è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ha diretto l’Ufficio Spazio della Presidenza del Consiglio italiano, fino alla fine del 2023. Oggi è docente di Space Policy e Governance al Gran Sasso Science Institute. Siamo riusciti a contattarla durante il Women Economic Forum, in programma dal 20 al 22 novembre a Roma, a cui ha partecipato in un confronto sul ruolo delle attività spaziali nel monitoraggio del cambiamento climatico e nella sostenibilità e della scarsa rappresentanza femminile nel settore spaziale, soprattutto nelle posizioni di leadership. Ecco che cosa ci ha raccontato.
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Professoressa, quando si è appassionata allo studio dello spazio?
Devo dire che, se da una parte sono sempre stata “naturalmente” portata per la matematica e le scienze, l’interesse per lo spazio è cresciuto al passo della mia crescita professionale: ho fatto il liceo scientifico, mi sono laureata in Informatica a Pisa nel 1986 e subito dopo sono stata chiamata dalla Olivetti, allora un gruppo di punta italiano in ambito software. In quel periodo avevo tanto il desiderio di fare un’esperienza all’estero, e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) mi avrebbe potuto offrire questa opportunità che ho colto al volo. Così, ho scoperto l’affascinante mondo dello spazio, che piano piano mi è “cresciuto dentro”. All’ESA, nel suo centro di ricerca in Olanda, ho iniziato a lavorare come ingegnere di software, ma i miei interessi e la mia attitudine personale erano più rivolti ad attività di tipo strategico e politico. Nel tempo, quindi, la mia carriera si è orientata in questa direzione, piuttosto che quella tecnica.
Perché è stato così importante per lei cambiare direzione?
Nel 1991, per motivi professionali, mi sono spostata negli Stati Uniti, presso la NASA, prima a Washington D.C. e poi al Johnson Space Centre di Houston, dove mi occupavo dell’interfaccia software ed avionica. Era un lavoro che richiedeva un continuo scambio e negoziato con i partner internazionali, prevalentemente tecnico ma con aspetti sempre più importanti di geo-politica, soprattutto quando gli americani, per ragioni strategiche, decisero di includere la Russia del dopo “Guerra Fredda” nel programma. Così mi sono avvicinata alla strategia e alla politica, che al mio ritorno in Europa sono diventate l’elemento portante del lavoro nell’ESA e anche del mio ultimo impiego come capo Gabinetto. In questa evoluzione professionale, ho avuto modo di apprezzare l’importanza delle politiche, perchè se da una parte la tecnologia è neutrale, è il modo in cui la applichiamo, l’uso che ne facciamo, a determinarne l’inclinazione. E in questo senso, le politiche che scegliamo la possono rendere più o meno utile per la nostra società. Se vogliamo vivere in un mondo migliore è proprio di politica – e politiche – che dobbiamo occuparci.
In che senso?
Io credo che si possa (e si debba) fare molto di più, non come singolo Paese, ma come comunità. Quando lavoravo alla NASA, facevo tanti viaggi in Asia, collaboravamo coi russi per creare qualcosa di unico. Sono stati anni molto belli, erano quelli della collaborazione internazionale, c’era la visione che qualcosa di straordinario si potesse davvero fare insieme e la tecnologia era la nostra leva. Questa idea si sta perdendo, complice, chiaramente, anche il quadro geo-politico internazionale che si è delineato in questi ultimi anni.
Ma facciamo un passo indietro, come è arrivata alla NASA?
Dopo la laurea mi contattò la Olivetti per fare un colloquio, andò bene e mi assunsero. Poco dopo mi sono trasferita in Olanda, per lavorare alla sede dell’ESA come ingegnere di software, fino al 1994. Nel frattempo mi aveva contattata la NASA, e quindi mi sono trasferita prima a Washington e poi a Houston.
Ha anche avuto un ruolo molto importante nelle istituzioni italiane…
Esattamente, dopo essere stata capo di Gabinetto del direttore generale dell’ESA, ho ricoperto il ruolo di capo dell’Ufficio delle Politiche Spaziali e Aerospaziali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano fino a fine 2023. A inizio 2024, poi, ho scelto di lasciare quell’incarico per diventare professore al Gran Sasso Science Institute, dove attualmente insegno Space Policy and Governance. Insegnare mi appassiona molto ed è stata una scelta ragionata a lungo. Sono andata via dall’Italia quando avevo 23 anni e, dopo una vita vissuta all’estero, ero fortemente motivata a riportare e restituire qualcosa della mia esperienza professionale al mio Paese. E credo che l’insegnamento rappresenti la forma più alta di restituzione.
Insomma, le piace tanto lavorare a stretto contatto con le nuove generazioni..
Si, assolutamente, è un lavoro appassionante con un potenziale pazzesco all’interno di un ambiente internazionale e multiculturale con giovani menti brillanti che incontrano esperienza e network. Nel corso della mia carriera, ho lavorato su progetti entusiasmanti e fatto negoziati importanti, ma l’insegnamento e poter dare un contributo alle nuove generazioni è, per me, una delle esperienze più gratificanti.
Ma che cosa manca all’Italia per essere una nazione leader nella Space Tech?
L’Italia ha ingegneri molto preparati, siamo forti nella ricerca e la nostra industria e tecnologia sono eccellenti: in alcuni settori siamo già in posizioni di leadership, per esempio nel campo dell’esplorazione umana dello spazio o dell’osservazione della Terra. Ma le risorse, incluse quelle finanziarie, sono troppo poche per poter essere competitivi in un settore sempre più globale e competitivo come quello spaziale. Dobbiamo, quindi, investire di più in ricerca e lavorare nel modo che meglio conosco e che ci ha dato ottimi risultati: insieme, in Europa; aggregandoci e facendo “massa critica”.
Infine, al centro del suo intervento durante il Women Economic Forum c’è stato il tema del gender gap, lei lo ha mai vissuto durante la sua lunga carriera?
Ricordo che all’Università eravamo una ragazza ogni 10 studenti, e anche se oggi la situazione non è più così grave, non si può ancora parlare di parità di genere nel settore spaziale. Anche se nel mio caso ho potuto fare un percorso professionale che rispondeva alle mie abilità e ambizioni, devo ammettere che, soprattutto in paesi come il nostro, continua a non essere facile per le donne conciliare il lavoro, in particolare quello con alte responsabilità che richiedono, quindi, un grosso impegno di tempo, con la cura della famiglia che continua a rimanere soprattutto a carico delle donne. Trovare politiche che aiutino le donne dovrebbe essere una priorità. Dati alla mano: dalla mia generazione in poi tante ragazze hanno studiato discipline scientifiche, ma quante di hanno raggiunto posizioni apicali? Troppo poche. Pensare che al Gran Sasso Institute i miei studenti sono solo uomini.