Tocca ai gestori dei siti a contenuto pornografico impedire ai minori di accedervi e per farlo non possono limitarsi a chiedere agli utenti di dichiarare di essere maggiorenni ma devono implementare adeguate soluzioni di verifica dell’età. Fino a quando non lo faranno i fornitori di servizi di comunicazione elettronica d’Oltralpe dovranno impedire ai loro utenti – maggiorenni o minorenni che siano – di raggiungere le piattaforme porno dalla Francia.
Così la giustizia francese blocca i porno
È la sintesi di una decisione – certamente destinata a far discutere – adottata nelle scorse settimane dai giudici della Corte d’Appello di Parigi. E, mentre, ciascuno può avere la sua opinione sulla soluzione per risolvere il problema, nessuno può dubitare che il problema esista.
Secondo uno studio dell’ARCOM, l’autorità garante per le comunicazioni francese, infatti, sono 2,3 milioni al mese i minori che accedono ai siti pornografici in Francia, semplicemente mentendo sull’età e, quindi, rispondendo in maniera affermativa ai gestori dei siti che chiedono loro di confermare di avere almeno diciott’anni prima di entrare.
Una colossale presa in giro. Una forma di ipocrisia del mercato che ha risposto così, non da ieri e non solo in Francia, alle leggi in vigore da decenni che stabiliscono che i siti pornografici debbano riservati ai maggiorenni.
Ma ora i Giudici della Corte d’Appello hanno detto stop. Il tempo dell’ipocrisia è finito. Chi legittimamente vuole fare business in uno dei mercati, da sempre, più floridi del web non potrà più farlo sulla pelle dei bambini francesi. La decisione, tuttavia, almeno per il momento – e la circostanza pur comprensibile nella dimensione tecno-giuridica, lascia perplessi in quella socio-politica – varrà solo per quei gestori di siti pornografici stabiliti fuori dal territorio dell’Unione europea.
L’obbligo di verifica dell’età
Gli altri, le società che gestiscono piattaforme analoghe ma attraverso una sede europea, restano esclusi dagli effetti della decisione perché occorre attendere che la Corte di giustizia dell’Unione europea stabilisca se imporre una misura di questo genere – un obbligo di age verification assistito da un ordine di inaccessibilità dell’intera piattaforma da parte di chiunque viva in un certo Paese – sia o non sia compatibile con le regole della libera circolazione intracomunitaria dei servizi digitali.
L’attendismo comunitario
Una questione che, naturalmente, esiste davvero, è importante e non riguarda solo il mercato del porno ma tutti i mercati di servizi digitali online.
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E, tuttavia, il punto è – e bisogna avere il coraggio di dirlo senza tanti giri di parole – che se si è arrivati a questo punto con tanti singoli Paesi dell’Unione – Italia inclusa – costretti a cercare soluzioni nazionali per un problema innegabilmente di matrice almeno europea è perché, sin qui, a livello europeo, per essendosi stabilite tante regole diverse a tutela dei più piccoli nella dimensione digitale, non se ne è mai dettata nessuna capace effettivamente di squarciare il velo di ipocrisia che avvolge l’uso dei servizi digitali da parte di un esercito di decine di milioni di bambini che, ogni mese, visitano siti e piattaforme che, semplicemente, non dovrebbero visitare, fingendosi più grandi di quanto non siano per davvero.
Non c’è solo il porno a nuocere ai minori
E non è solo il caso del porno. Lo stesso identico problema – forse in termini ancora più gravi per l’impatto che produce sulla crescita dei più piccoli – si registra da anni con le piattaforme che offrono ogni genere di contenuto online, i social network, le app di messagistica e, più di recente, i chatbot e i servizi basati sull’Intelligenza artificiale.
La situazione è sempre la stessa: la legge o, spesso, lo stesso gestore della piattaforma stabilisce un’età minima per l’accesso e l’utilizzo dei servizi ma, poi, chiunque può accedere e usare il servizio semplicemente dichiarando di avere l’età minima senza che nessuno la controlli per davvero almeno in modo sistematico.
Eppur si muove?
Ora, forse, qualcosa cambierà e le Istituzioni dell’Unione sembrano iniziare a comprendere che siamo davanti a un’autentica emergenza. A giugno scorso, infatti, la Commissione ha inviato una richiesta di informazioni alle piattaforme Pornhub, Stripchat e XVideos – definite a dicembre 2023 come grandi piattaforme digitali ai sensi del Digital Service Act- sulle misure adottate per mitigare i rischi legati alla protezione dei minori online.
In tanti, a Bruxelles iniziano a pensare che, forse, l’EU Digital Wallet – il nuovo borsellino digitale destinato a trovare posto negli smartphone di chiunque viva in Europa – possa, in prospettiva, rappresentare una soluzione consentendo a chiunque di provare, sulla porta di ogni genere di piattaforma online, di avere effettivamente l’età necessaria a accedervi, senza, peraltro, dover, al tempo stesso, lasciarsi identificare.
Guai a dubitare della bontà della strada ma serviranno ancora anni perché la si possa percorrere sino in fondo. E sono anni che non abbiamo: troppi bambini, ogni giorno, cadono vittima degli effetti dell’esposizione a contenuti e esperienze che semplicemente non sono pensati per loro.
I Giudici francesi hanno avuto il coraggio di scrivere le cose come stanno: l’interesse dei bambini viene prima di tutto, prima anche di eventuali necessarie compressioni della libertà di comunicazione, di quella di informazione e dello stesso diritto alla privacy. Sono tutti sacrifici necessari e sostenibili – ovviamente a valle di un esercizio di bilanciamento che garantisca che la compressione di altri diritti è quella minima necessaria a proteggere i diritti dei bambini a crescere nella dimensione digitale in maniera compatibile con il loro naturale sviluppo – in nome dell’obiettivo perseguito.
Difficile, dunque, credere che la decisione francese – peraltro, proprio come le nuove regole varate in Italia con il c.d. Decreto Caivano – valga a risolvere il problema e, però, almeno si inizia a fissare un principio sacrosanto: benissimo fare business online in ogni direzione legittima, porno incluso ma basta farlo a spese dei minori che, pure, rappresentano un terzo della popolazione digitale che ogni giorno vive porzioni crescenti della propria esistenza online.
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