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Fece più la minigonna della rivoluzione. “Mica avevo il tempo di aspettare la liberazione delle donne. E così ho fatto da sola!”, esclamò un giorno durante un’intervista Mary Quant, probabilmente neanche tanto consapevole che quell’accorciare gli orli di una spanna dalle ginocchia avrebbe terremotato, con qualche anno di anticipo sul ‘68, il mondo. You say you want a revolution avrebbero infatti cantato proprio quell’anno i Beatles. 

La minigonna, inventata da Mary Quant nel ‘63 (anche se lo stilista francese André Courrèges rivendicò a lungo di averlo fatto lui), sollevò tra le adolescenti e le ragazze occidentali il vento della libertà. È cattivo gusto, è scostumatezza, è istigazione alla violenza sessuale, urlarono gli adulti, che vedevano franare i valori tradizionali sotto una striscetta di stoffa che si stava trasformando in simbolo di un nuovo mondo. “In realtà, io ho solo ideato la mini, ma sono state tutte le ragazze in giro per le strade che le hanno dato il potere!”, replicava Mary Quant dal suo negozio londinese di King’s Road dove lei, figlia dallo spirito libero di due professori della London University, aveva traslocato ad appena 16 anni il suo sogno di una vita hippy e anticonformista e che fu a lungo il covo di artisti, musicisti, scrittori beatnick. 

La mini skirt simbolo di insubordinazione

Per un’intera generazione di ragazze, la minigonna diventò il simbolo della rivolta al perbenismo, all’ideale matrimoniale dell’amore, alla dimensione domestica vista come unica opportunità di realizzazione femminile e, più concretamente, diventò il simbolo di insubordinazione alle loro madri dalle quali, infilandosi in quel lembo di tessuto, prendevano anche esteticamente le distanze. 

Del resto, la mini skirt era un capolavoro di comfort e praticità: facilitava il movimento e, dunque, era l’alleato perfetto per le nuove ragazze che, affamate di autonomia e modernità, scoprivano il lavoro fuori casa, giravano sui bus, bazzicavano i club, felici pazze di liberarsi di gonne lunghe e sottovesti che ingessavano i passi e che, a quel punto, apparivano definitivamente soffocanti.

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L’arrivo di Mary Quant a Schiphol il 16 dicembre 1966
Photo credit: Nijs, Jac. de / Anefo – Nationaal Archief, CC0

Mary Quant rivoluzionò lidea del corpo femminile

Le mini di Mary Quant vennero subito adottate da attrici, artiste, modelle – a lanciarla fu la celeberrima Twiggy, icona della Swinging London e prima top model di una lunga serie-, ma le indossarono anche femministe come Gloria Steinem, che proprio nell’anno del debutto ufficiale della mini divenne, pure lei, famosa perché pubblicò il diario del suo lavoro sotto copertura come coniglietta al Playboy Club, che mise in luce la subordinazione dei corpi femminili al maschilismo più spudorato. 

Già, i corpi. Ciò che Mary Quant rivoluzionò veramente fu proprio l’idea del corpo femminile. Offrì alle ragazze un oggetto ribelle che liberava il corpo dai formalismi con cui lo stile mainstream lo rappresentava, che gli faceva parlare un linguaggio proprio e di rottura, che lo denudava per il piacere di chi lo indossava: la minigonna era il manifesto visivo di una nuova donna libera sessualmente, desiderosa di autodeterminarsi, che aveva chiaro di essere lei la sola a poter decidere di quel corpo. 

Mary Quant, oltre che la valorosa inventrice del capo-bomba delle Sixties girls, fu anche una validissima imprenditrice. È morta lo scorso anno, a 93 anni. Nel 2015, la Regina Elisabetta l’ha insignita dell’onorificenza onoraria di Dama Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico.