Secondo Simone Simek le persone e le organizzazioni di maggior successo sono quelle in grado di cogliere e sfruttare il potere del perché. Chiedersi il perché rappresenta un passaggio essenziale, come descritto nel suo libro Start with Why. Il perché non è solo la motivazione che guida le azioni di un individuo o di un’organizzazione, ma perché è prima di tutto una domanda. Spesso le domande che ci poniamo sono quasi sempre formulate in modo non corretto. E una domanda imprecisa porta inevitabilmente a risposte errate. Al contrario, una domanda ben costruita stimola la creatività, spinge a esplorare il problema senza preconcetti, a osservare attentamente i dettagli stimolando dubbi costruttivi che arricchiscono il processo di ricerca. Da molti perché sono nati prodotti di largo consumo e soluzioni innovative. E dalle giuste domande è nata la saponetta Coast di Procter & Gamble.
Dal come al perché
Negli anni ’70, Procter & Gamble fu colta di sorpresa quando la concorrente Colgate introdusse un nuovo prodotto: l’Irish Spring. Una saponetta, prima del suo genere, lanciata in Nord America che ottenne un grande successo. Per proteggere la propria reputazione di innovatori e per evitare di perdere quote di mercato significative, Procter & Gamble incaricò un team di sviluppare una saponetta a strisce bianche e verdi in grado di competere con l’Irish Spring.
Il gruppo di lavoro impiegò 6 mesi per sviluppare 6 diverse saponette, ciascuna dei colori della saponetta concorrente. Tuttavia, questi 6 tentativi non suscitarono entusiasmo né nel team stesso né nei consumatori coinvolti in un test alla cieca.
Un giorno, il creativo Min Basadur- fondatore di Basadur Applied Creativity e del processo Simplexity Thinking– ricevette una chiamata da un team addetto allo sviluppo prodotti. «Abbiamo bisogno di aiuto. Ci sentiamo un branco di falliti», furono le parole che – nel ricordo di Basadur – il responsabile del team pronunciò.
Basadur organizzò una sessione di brainstorming. E chiese al team di definire il problema. Il problema era focalizzato sul come e ruotava attorno alla domanda: Come potremmo creare una barretta a strisce verdi e bianche che i consumatori preferiscano a Irish Spring? Secondo Basadur, questa impostazione del problema riduceva le possibilità di trovare soluzioni innovative.
Il consulente creativo pose allora un’altra domanda: «Perché mai vorremmo creare una saponetta a strisce verdi e bianche migliore?».La risposta fu: «Per fare concorrenza a Colgate!». Una risposta che conduceva dritto dritto in un vicolo cieco per due ragioni. L’affermazione era incentrata esclusivamente sul produttore e sul desiderio di proteggere la sua quota di mercato. Del bisogno dell’acquirente non vi era traccia.
Ma il problema non stava solo lì, nella risposta, bensì nella domanda. Allora il consulente cambiò il quesito, chiedendo ai presenti di porsi dal lato del consumatore: «Perché le persone acquistano una saponetta bianca e verde?» La replica fu che così le persone si sentono più rinfrescate. «Questo è stato il momento di illuminazione», racconta Basadur a Business Insider. «Avevamo ridefinito il problema, e quello era il segreto del processo».
Quella domanda suggerì un nuovo quesito: «Come possiamo creare una saponetta più rinfrescante?». E grazie al nuovo quesito furono proposte 200 diverse soluzioni. Bastò quella sola giornata di lavoro affinché Procter & Gamble lanciasse una saponetta a strisce blu, di nome Coast, che ricordava l’estate e il mare. E che batté Irish Spring nel blind test. È interessante notare il fatto che Basadur non aveva alcuna conoscenza del settore della cura della persona. «Non sapevo nulla di saponette. Ma sapevo come guidarli attraverso quella metodologia ed è così saltata fuori la risposta».
Porre le giuste domande
Saper porre le giuste domande è certamente più difficile che saper dare le risposte giuste. Diversi tipi di domande possono portare a risultati diversi. Più domande significa più ampia visione del problema.
a. Domande chiarificatrici
Mi puoi dire di più?
Mi spieghi meglio questo aspetto?
Perché affermi/sostieni/pensi…?
Le domande chiarificatrici sono utili per capire meglio cosa è stato detto ed evitare che si facciano supposizioni sbagliate.
b. Domande adiacenti
Come si applicherebbe questo concetto in un contesto/settore diverso?
Come si applicherebbe questa soluzione per un altro target?
Quali sono gli usi correlati di questa tecnologia/prodotto/servizio?
Le domande adiacenti sono utili per esplorare aspetti correlati del problema che potrebbero essere ignorati o omessi.
c. Domande imbuto
Come è stata fatta la ricerca?
Perché è stato incluso/escluso questo passaggio?
Le domande a imbuto permettono di andare più in profondità, comprendere il perché di date scelte, le assunzioni di base, le ipotesi di partenza.
d. Domande elevatrici
Qual è il problema più generale?
Quali i megatrend?
Come si inserisce nella visione complessiva?
Ci siamo posti le giuste domande?
Le domande proposte permettono di inquadrare il problema in una visione più ampia, di osservare il contesto più generale evitando una eccessiva focalizzazione su un aspetto specifico, o dimenticando le possibili correlazioni tra singoli problemi.
Se non riesci a immaginare almeno tre soluzioni alternative al tuo problema, allora non hai un problema. Spesso i nostri tentativi di trovare una soluzione a un problema approdano esattamente in ciò che stavamo cercando. E questo non è un buon risultato! A causa dei nostri bias e dei nostri pregiudizi individuiamo la risposta prima ancora di farci le giuste domande. E se abbiamo già dato una etichetta al problema, essa ci condurrà a una e una sola specifica soluzione. Ma chi cerca risposte deve anche sforzarsi di trovare più soluzioni possibili al problema, e per giunta differenziate tra loro. Come afferma Lant Pritchett «Se non riesci a immaginare almeno tre soluzioni alternative al tuo problema, allora non hai un problema». Occorre sperimentare per tentativi, usando soprattutto l’immaginazione.
Un altro errore che commettiamo nel cercare una risposta è confondere quest’ultima con il desiderio che accada ciò che avevamo desiderato. Questo metodo, sostiene il fisico Richard P. Feynman, non è scientifico, perché implica un giudizio di valore su quale sia il responso da cercare e la soluzione da offrire. Prima di metterci in cerca di ciò che desideriamo trovare, dovremmo porci un diverso quesito, che stavolta sarà una domanda scientifica: «Se faccio questo, che cosa succede?». Alla risposta «Accadrà questa cosa», gli interrogativi che dovremo porci saranno: Voglio o non voglio che succeda? È quello che mi aspettavo? Quali opportunità può nascondere un risultato non previsto né desiderato?
Nella scienza, come nella vita, le domande non finiscono mai!
Le 3 regole d’oro
Poniti le giuste domande: Per prendere le decisioni giuste, bisogna iniziare a porre e porsi le domande che contano davvero.
Vesti i panni del consumatore: Comprendi le esigenze, le preferenze e le esperienze degli utenti finali. Mettersi nei loro panni aiuta a creare un prodotto che risponda davvero ai loro bisogni. Non puoi avere successo se il tuo cliente non ha bisogno della tua brillante idea.
Applica l’approccio per prove ed errori: solo sperimentando possiamo imparare ad assumere un atteggiamento non intimorito dagli errori, aperto ai cambiamenti per poter evolvere in contesti incerti e prosperare nonostante un fallimento.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu