«Sono numeri che vanno a blindare l’hype che si è creata negli ultimi 24 mesi. Il momento è maturo per dover dimostrare la bontà di certi investimenti». Benedetto Buono, founding partner di Buono & Partners e Direttore del Professional Program in Business Networking della POLIMI Graduate School of Management, ci ha aiutato a leggere il fenomeno OpenAI alla luce del megaround chiuso poche settimane fa: 6,6 miliardi di dollari, un nuovo record per il settore del capitale di rischio.
La società di Sam Altman sembra avere il vento in poppa, anche se secondo Buono è in corso una strategia legata agli investitori. «Quel che sta facendo ricorda il sistema dei Keiretsu giapponesi, fatto di partecipazioni incrociate». Una delle conseguenze di tutto questo? Scoraggiare gli investimenti in società competitor, Anthropic in testa.
Chi ha investito nel mega round di OpenAi?
Il round da 6,6 miliardi di dollari è stato guidato da Thrive Capital, fondo che ha investito in OpenAI quasi 18 miliardi di dollari. Sono diversi poi i big che hanno partecipato all’operazione: Microsoft, Nvidia, SoftBank, Khosla Ventures, Altimeter Capital, Fidelity e MGX. La valutazione post money è di 157 miliardi di dollari, il che pone l’ex startup tra le più importanti venture degli ultimi anni, al pari di aziende come SpaceX.
OpenAI, ora inizia la salita?
La strada potrebbe sembrare in discesa per OpenAI, ma secondo Benedetto Buono i prossimi anni saranno decisivi per valutare se di bolla AI si tratta oppure no. «Il Financial Times ha evidenziato come da parte degli investitori ci siano state richieste e clausole. Finora nessun’azienda ha individuato una killer app legata all’Intelligenza artificiale. Dunque tutti questi soldi dovranno trovare un ritorno interessante».
ChatGPT non sorprende più, i software che creano immagini partendo da un prompt testuale men che meno. Dove sta dunque la next big thing? «In 18 mesi dovranno dimostrare che la cosa tiene». L’esperto sottolinea che, nonostante l’hype, i grandi nomi della tecnologia fanno business su altri tipi di settori. «Il grosso delle revenue deriva da ambiti come cloud e pubblicità. Per soggetti che fanno closed innovation – Apple in primis – l’AI rappresenta una parte marginale».
Sam Altman imita i giapponesi?
Come anticipato, secondo la lettura di Buono, quanto sta imbastendo OpenAI sul fronte investimenti ricorda alla lontana i Keiretsu, ossia gruppi di aziende giapponesi interconnesse attraverso partecipazioni incrociate, relazioni commerciali strette e spesso legami bancari comuni. Questa struttura permette alle imprese di sostenersi a vicenda sia finanziariamente sia operativamente.
«Sono un unicum – commenta Buono in merito ai Keiretsu – si sono sviluppati in una cultura molto diversa da quella occidentale. Grandi famiglie imprenditoriali hanno formato partecipazioni incrociate. Con un duplice scopo: protezione e possibilità di co-sviluppare insieme i prodotti. Richiede fedeltà e valori condivisi molto profondi». Secondo quanto ha riportato la stampa sembra che Altman abbia richiesto agli investitori dell’ultimo round una condizione: non investire nei competitor, Anthropic in primis.
«Questo porta a rischi importanti. Microsoft e Nvidia si riavvicinano alla closed innovation. E poi gli investitori finanziari rischiano di sbagliare, di perdersi una IPO». In altre parole, di puntare sul cavallo sbagliato. La strategia potrebbe dare i suoi frutti, anche se sul fronte opposto i competitor si muovono lo stesso. «Anthropic ha tra gli investitori Amazon e Google, che tra di loro conducono uno scontro da tempo su pubblicità e cloud. Le aziende di AI si stanno dividendo molto bene gli investitori». E che dire di Mistral, l’unicorno francese da molti definito il campione europeo dell’AI? «Sta andando su feature che non sono così centrali. Ci si concentra sugli small model, tailorizzati».
Vedremo dunque un film già visto? Poche multinazionali che dominano il mercato anche sul fronte AI? «Credo che diventerà una partita per grandi e nell’arco di 5 anni sarà a totale appannaggio dei big che stanno prendendo i capitali. Nascerà una pletora di soggetti che vivranno della filiera. In tanti settori oggi nascono diverse startup che vanno a usare modelli di ChatGPT tramite API. Ma quella non è vera innovazione».
Il team originario di OpenAI era composto da personalità che poi hanno preso strade differenti nel settore. Elon Musk, il più noto degli ex co-founder, ha fondato xAI che alcuni mesi fa ha raccolto 6 miliardi di dollari; Dario Amodei se ne è andato per fondare insieme alla sorella Daniela Anthropic; hanno lasciato la scrivania anche Ilya Sutskever, ex chief scientist officer, e Mira Murati, ex CTO. «Ritengo che l’isterismo e la velocità di questi soggetti si stia riverberando sulla permanenza delle persone – conclude Buono -. Sicuramente il clima o la cultura all’interno di OpenAI vengono messi a dura prova».