Nel corso degli anni hai messo insieme una playlist sulla tua carriera. Hai una playlist per tutte le tue relazioni. Una playlist alla quale credi profondamente sulle tue speranze, una sui tuoi sogni, una sui tuoi obiettivi e su ogni altro aspetto della tua vita. Se ascolti un pensiero abbastanza a lungo, esso diventa parte della tua playlist personale. Le playlist musicali hanno la capacità di trasformare completamente un momento. Nei ristoranti lo sanno. Chi fa film lo sa bene. Anche nelle palestre lo sanno.
La strategia di Jon Acuff per pensare meglio
Senza offesa per Slash, ma le playlist fatte di pensieri sono ancora più potenti, molto più della semplice musica di sottofondo. Come dice David Goggins, Navy SEAL in pensione: “Le tue conversazioni più importanti saranno sempre quelle che avrai con te stesso. Ti svegli con loro, vai in giro con loro, ti metti a letto con loro e alla fine impari ad agire in base a loro. Che siano belle o brutte”. Se le playlist che ascolti sono positive, i tuoi pensieri possono essere i tuoi migliori amici, suggerendoti nuove avventure con grandi dosi di creatività e speranza. Se trascorri la giornata a ripensare troppo alle tue brutte playlist, i tuoi pensieri possono essere il tuo peggior nemico, impedendoti di mettere in atto tutte le cose che desideri veramente nella vita.
Decenni prima del Bluetooth e del Sirius XM, il mio compagno di stanza al college, Stu, aveva un’auto con una radio scassata che riceveva una sola stazione: Disney Radio. Non è un problema se sei un genitore, perché una qualsiasi Peppa Pig andrà benissimo in ogni situazione, ma è un po’ inquietante girare per il campus e a un tratto spari a tutto volume Hannah Montana. Il mio compagno di stanza non aveva alcun controllo su quella playlist, e la maggior parte delle volte è così che pensiamo di poter fare con i nostri pensieri. Non pensiamo di poterli cambiare, quindi tendiamo a lasciar andare a caso le nostre playlist. Sfortunatamente, quando non crei, curi e scegli quali playlist ascoltare, la musica non si ferma e così finisce che ascolti solo un sacco di brutte canzoni.
Cominciamo con qualcosa su cui siamo tutti d’accordo: tu e io abbiamo un cervello. Un cervello è capace di fare cose sorprendenti: calcolare, ragionare e All I Want for Christmas Is You di Mariah Carey. Quella canzone le ha fruttato circa 60 milioni di dollari in royalty, quindi non osare dirmi che non è sorprendente. Una delle cose che il nostro cervello è capace di fare benissimo, però, è anche pensare troppo. È la capacità di avere pensieri persistenti e ripetitivi. Il pensare troppo, in pratica, è quando il tuo cervello gira e rigira su un pensiero o un’idea più a lungo di quanto vorresti. Sfortunatamente, questo pensare troppo tende a essere negativo. Lasciato a se stesso, graviterà naturalmente verso quelle cose sulle quali non vorresti soffermarti. Ti farò alcuni esempi. Ti è mai capitato di non riuscire a ricordare qualcosa di stupido che hai detto molto tempo fa? Hai proprio bisogno di una lista per riportare alla memoria quella situazione imbarazzante in terza media, anche se ormai hai trent’anni? Hai forse bisogno di una nota sul calendario per assicurarti di dedicare l’intero fine settimana a pensare al motivo per cui il tuo capo ti ha convocato questo lunedì mattina?
“Ho un bell’attacco di panico in programma proprio per questo sabato pomeriggio alle 2!” È quello che hai fatto o quei pensieri sono comparsi inaspettatamente, senza alcun legame con ciò che stavi facendo in quel momento? Quelle sono le brutte playlist, storie negative che ti racconti su te stesso e sul tuo mondo. Saltano fuori automaticamente, senza alcun invito e senza sforzo da parte tua. Non costa fatica ricordarsi una paura. E neanche un dubbio. Anche l’insicurezza non richiede alcuna fatica da parte nostra.
So tutto su queste brutte playlist, perché mi sono costate sette anni di opportunità. Ho aperto il mio primo blog nel 2001. Condividevo online i miei ridicoli contenuti personali tre anni prima di Facebook, quattro anni prima di YouTube, cinque anni prima di Twitter e sedici anni prima di TikTok. Non ero un pioniere delle tecnologie, perché non avevo abbastanza felpe col cappuccio, ma ero molto più avanti rispetto alla media. Le case discografiche si stavano interessando, i lettori trovavano i contenuti in modo organico e stavano germogliando i primi deboli accenni di slancio. Le cose stavano iniziando a marciare, ma poi ho iniziato a pensare troppo a tutto. “E se qualcuno scoprisse che non so veramente che cosa sto facendo?” “Dove mi porterà tutto questo?” “Che senso ha, se non ho neanche un piano per farlo crescere?” Quelle tre playlist e mille altre mi hanno buttato fuori da Internet per sette anni. Non ho aperto un altro blog fino al 2008. Chissà dove sarei arrivato se avessi dedicato quei sette anni a far crescere il mio pubblico e i miei contenuti… La cosa più frustrante è che tutte quelle brutte playlist sono comparse nella mia vita senza invito.
Paul Rozin, professore di psicologia all’Università di Chicago, studiò questo fenomeno quando si rese conto che nella lingua inglese non esiste una parola che significhi l’opposto di “trauma”. Roy F. Baumeister, collaboratore di Rozin, ha spiegato il perché nel suo libro The Power of Bad: How the Negativity Effect Rules Us and How We Can Rule It: “Non esiste l’opposto di trauma, perché nessun evento positivo ha un impatto così duraturo. Puoi ricordare consapevolmente i momenti felici del tuo passato, ma quelli che ti vengono in mente all’improvviso e senza essere invitati – i ricordi involontari, come li chiamano gli psicologi – tendono a essere quelli infelici”.4 Il tuo cervello sviluppa l’abitudine a pensare troppo alla negatività facendo altre tre cose: 1. ti mente sui tuoi ricordi; 2. confonde i falsi traumi con i veri traumi; 3. crede a ciò in cui già crede. A volte pensiamo che la nostra memoria sia come una GoPro, che cattura le cose mentre accadono in tempo reale, per permetterci di rivederle successivamente. Cose semplici, cose complesse, cose felici, cose dolorose: è tutto solo un lungo film della nostra vita, al quale potremo poi accedere in seguito. Se solo fosse vero… Nel suo podcast “Revisionist History”, di fama mondiale, Malcolm Gladwell racconta la sua visione sul tema della memoria. In un episodio, fa qualcosa di inaspettato e tenta di difendere il giornalista Brian Williams. Williams stava andando alla grande come conduttore di NBC Nightly News quando tutta la sua carriera è crollata a causa di una assurda bugia. Il 23 marzo 2013, ha detto a David Letterman che dieci anni prima era stato su un elicottero Chinook al quale avevano sparato le truppe nemiche in Iraq. Sembra il genere di cose che si ricordano bene. Per esempio, so bene di non essere mai stato su un elicottero contro il quale è stato lanciato un razzo. Probabilmente la stessa cosa vale per te. Ma Williams era convinto di sì. Come poteva sbagliarsi così tanto con qualcosa di così grosso?
Nel suo episodio del podcast, Gladwell ha intervistato vari esperti sul campo della memoria, che hanno espresso empatia per Williams. Hanno parlato della considerevole ricerca svolta sui cosiddetti ricordi flash, esperienze drammatiche che creano un vivido ricordo nella nostra testa. Alcuni ricordi flash sono perfino condivisi da un intero Paese. William Hirst e un team di ricercatori hanno condotto uno studio decennale sui ricordi che le persone hanno dell’11 settembre. Se ti chiedessi adesso dov’eri quando sono crollate le torri, probabilmente te lo ricorderesti. Io ero senza lavoro, a casa ad Arlington, Massachusetts, e stavo ascoltando la radio. Il problema è che, mentre Hirst studiava i ricordi dei partecipanti nel corso degli anni, scoprì qualcosa di sorprendente: i ricordi erano cambiati. Col passare del tempo, i dettagli di ciò che ricordavano si erano trasformati. E non solo un po’. Hirst ha riscontrato in media “un calo del 60% nella consistenza dei ricordi. Il significato è che il 60% delle risposte era cambiato nel tempo”.5 La cosa strana è che, mentre la precisione dei nostri ricordi diminuisce, la nostra fiducia in essi no. Nel 1986, il giorno dopo l’esplosione dello Space Shuttle Challenger, Nicole Harsch e Ulric Neisser chiesero agli studenti di psicologia come avevano saputo della tragica notizia. Gli studenti hanno scritto le loro risposte. Quasi tre anni dopo, i ricercatori hanno posto la stessa domanda agli stessi studenti. Oltre il 40% degli studenti ha risposto in modo differente la seconda volta, perché i loro ricordi erano cambiati. I ricercatori hanno rivelato ai partecipanti che i due ricordi che avevano scritto erano differenti. Hanno mostrato loro i ricordi iniziali che loro stessi avevano scritto. I partecipanti, confusi, hanno ammesso che la calligrafia era la loro, ma non hanno ammesso che i loro ricordi fossero imprecisi. Hanno detto: “Sono convinto che sia la mia calligrafia. Sono sicuro, devo averlo scritto io. Non so dire perché ho mentito, perché ricordo chiaramente che ero al pensionato, mentre questo foglio dice che ero in mensa”.6 Una delle cose che causano ricordi flash è “il numero di volte in cui il ricordo dell’evento viene ripetuto, cioè quanto spesso le persone si trovano a dover ricordare l’evento”.7 Questa è musica alle orecchie di chi pensa troppo. Riesci a immaginare qualcosa che ti torna alla mente più delle playlist negative? Questo è esattamente quello che fa il pensare troppo: trova una playlist negativa e poi la riproduce ancora e ancora. Ho ascoltato Sweet Child O’ Mine migliaia di volte. E ho ascoltato centinaia di migliaia di volte anche “Quell’amico non ha risposto al tuo messaggio perché ce l’ha su con te”. E il ricordo non deve necessariamente essere tragico come l’11 settembre o l’esplosione del Challenger. Sei mai stato licenziato? Sei mai stato mollato? Un collega ti ha mai urlato nel corso di una riunione?
Ti è mai capitato di perdere un volo perché ti sei svegliato tardi? Potrebbero non sembrare eventi significativi rispetto alle grandi tragedie, ma è proprio lì che il tuo cervello trova la seconda ragione per cui è un vero idiota: non ti aiuta a distinguere un vero trauma da un falso trauma. I ricercatori della University of Michigan Medical School hanno scoperto che, quando sperimentiamo un rifiuto sociale, il nostro cervello rilascia lo stesso tipo di oppioidi che rilascerebbe a causa di un trauma fisico. Anche quando i partecipanti sapevano in anticipo che quel rifiuto sociale era simulato e faceva parte di uno studio, il risultato era lo stesso. Il nostro cervello preme il pulsante “Panico!” e scarica oppioidi nel nostro organismo, per aiutarci a sopravvivere al dolore emotivo percepito.8 Anche di fronte a un rifiuto falso, il tuo corpo rilascia sostanze chimiche vere. Come genitore, sarai tentato di dire ai tuoi figli che non è un grosso problema se condividono qualcosa che li preoccupa. Nel grande schema delle cose, perdere il tuo posto al tuo tavolo a pranzo mentre sei al secondo anno delle superiori è una cosa insignificante. Ma quello che sta succedendo è molto di più di un semplice malinteso in mensa. Quella figlia sedicenne viene inondata di veri oppioidi, che le indicano un pericolo reale. Per lei è davvero un grosso problema. Dunque, la nostra memoria ci mente e il nostro cervello fatica a distinguere tra un vero trauma e un falso trauma. Questi due difetti sono già abbastanza scoraggianti. Ora arriva il terzo membro del terzetto del pensare troppo: il pregiudizio (o bias) di conferma. Al nostro cervello piace credere alle cose in cui già crede. Siamo calamite per quelle informazioni ed esperienze che confermano le cose che già pensiamo su noi stessi e sul mondo. Se una delle tue playlist è che sei la mamma più disorganizzata del mondo, essere in ritardo di tre minuti al ritiro del doposcuola te lo confermerà. Anche se quella mattina hai portato entrambi i bambini a scuola in orario, hai svolto un lavoro a tempo pieno, hai programmato la cena e hai programmato di fare la tassista per la squadra nel fine settimana per il torneo di calcio, il tuo cervello ti convincerà comunque a ignorare qualsiasi nuova prova che non concordi con la tua brutta playlist.
Il potere è nelle tue mani
Ora che sai che il tuo cervello sa essere un vero idiota, vuoi davvero lasciare i tuoi pensieri al caso? Dove sarebbero le persone di successo se non avessero deciso di scegliere quali nuove playlist ascoltare? Pensa a tutte le opportunità e le avventure che perderai, se le tue azioni saranno guidate dalle tue brutte playlist. Le brutte playlist sono una delle forme di paura più persuasive, perché ogni volta che ne ascolti una, ti risulta più facile crederci la volta successiva. Hai mai giudicato un’idea troppo stupida anche solo per scriverla da qualche parte? È una brutta playlist. Ti sei mai raccontato la mia stessa storia sul perché qualcuno non ha risposto ai tuoi messaggi? È una brutta playlist. Ti è mai sembrato di avere con te una specie di giuria tascabile, che analizza ogni nuova opportunità fino a quando non osi più inseguirla? È una brutta playlist. La buona notizia è che tu sei qualcosa di più del tuo cervello. Il tuo cervello è solo una parte di te ed è sotto il tuo controllo, esattamente come un braccio o una gamba. Lo sappiamo, perché tu e io abbiamo la grande fortuna di vivere nell’era della neuroplasticità. La generazione dei tuoi genitori non sapeva di poter cambiare la forma e la funzione del proprio cervello. La generazione dei loro genitori pensava che le sigarette facessero bene ai ciclisti del Tour de France, perché la nicotina apriva i capillari dei polmoni. Forse la generazione dei miei figli capirà come fare in modo che il formaggio vegano non sappia di sabbia biologica. Ogni generazione impara qualcosa di nuovo. La neuroplasticità, che è il potere di cambiare fisicamente il nostro cervello modificando i nostri pensieri, fa sì che la soluzione al pensare troppo non sia smettere di pensare. Perché mai dovremmo sbarazzarci di uno strumento così potente ed efficiente? Non avrebbe più senso, semplicemente, far funzionare il nostro cervello con playlist differenti al posto di quelle brutte? Un aereo può sganciare bombe o cibo. Una siringa può contenere un veleno o un farmaco. Uno stallone può disarcionare o vincere una gara. Lo stesso vale per i nostri pensieri. Così come puoi preoccuparti, puoi anche immaginare. Come puoi dubitare, puoi anche dominare. Se riesci a rimuginare, puoi anche volare col pensiero. Allo stesso cervello che ti ha detto per anni che non potevi scrivere un libro puoi insegnare a dirti l’esatto contrario. “Certo che puoi scrivere un libro! Devi scrivere un libro! È ora di farlo!” Dovrei saperlo bene: ho pubblicato zero libri nei primi trentatré anni della mia vita. Poi ne ho pubblicati sette nei successivi undici anni. Come? Ho iniziato ad ascoltare una nuova playlist. Nel 2008, quando ho scelto di credere che avrei potuto diventare uno speaker professionista, non mi sono solo incoraggiato. Ho iniziato a cambiare le mie playlist in modi che hanno cambiato la forma del mio cervello. Non solo un giorno ma tutti i giorni, il che era sempre più facile grazie alla neurogenesi. Grazie alla neurogenesi, “ogni mattina al risveglio, mentre dormivi sono nate nuove cellule nervose, che sono lì a tua disposizione pronte a essere utilizzate per abbattere i pensieri tossici e ricostruire i pensieri sani”. Il tuo cervello ti aspetta ogni giorno. È in attesa che tu gli dica che cosa deve pensare. Aspetta di vedere che tipo di playlist sceglierai. È in attesa di vedere se vuoi davvero costruirti una nuova vita.
Cambiare i pensieri quando cambiano le circostanze
Una cosa è scegliere una playlist positiva e poi usarla per creare qualcosa di buono. Ma funziona anche al contrario? Le playlist possono anche aiutarci a sfuggire alle brutte situazioni? Che ruolo giocano quando la vita non va come vorresti? Puoi usare i tuoi pensieri anche per ricostruire qualcosa che è andato in pezzi? Colleen Barry ha dovuto affrontare queste domande quando ha perso il lavoro a Boston a causa del fallimento delle dot-com nel 2001. Ha dovuto accettare tre lavori per mettere insieme quello che era il suo precedente stipendio come ricercatrice e distributrice di documentari. Uno dei suoi lavori era rispondere al telefono come receptionist in un piccolo ufficio per Gibson Sotheby’s International Realty. “Non era esattamente quello che volevo fare”, mi ha detto: “Stavo cercando di spostarmi in un ambito creativo, non di rispondere al telefono per un salario minimo”. Il pensare troppo avrebbe potuto farsi sentire molto forte in quel momento, e produrre un numero enorme di playlist. Titolo: “Non dovrei rispondere al telefono; questo lavoro è al di sotto delle mie capacità”. Rimpianto: “Il mio vecchio lavoro era molto migliore di questi tre, e devo lavorare per poter tirare avanti”. Paura: “E se l’economia crollasse di nuovo e perdessi anche questi posti di lavoro?”. Colpa: “Non è colpa mia se ho perso il lavoro. La vita è così ingiusta”. Rassegnazione: “Le cose andranno avanti così per sempre”. Invece di ascoltare quelle brutte playlist, Colleen ha deciso di guardare la situazione con nuovi occhi: “Ho scoperto una cosa: stavo facendo questo lavoro non tanto per me quanto per loro”, ha detto: “Se avessi voluto crescere, avrei dovuto fare un percorso, ma non c’era un percorso che partisse dal semplice rispondere al telefono. L’azienda non me lo avrebbe concesso. Se volevo trovare un percorso e godermi la situazione, dovevo cambiare le cose”.
I sogni di Colleen erano stati mandati in frantumi, ma aveva deciso di assumere il controllo delle cose che poteva controllare. “Invece di sentirmi delusa per il fatto che la mia carriera aveva fatto un passo indietro, ho deciso di impegnarmi nel mio lavoro e offrire ai clienti il miglior servizio possibile.” Ha fatto una scelta. Invece di ascoltare una playlist che diceva “Ho un lavoro umile”, si è inventata una nuova playlist: “Il mio lavoro è offrire ai clienti il miglior servizio”. Mille altre persone in quella situazione avrebbero lasciato che le circostanze dettassero la loro playlist, come dimostra ogni panino servito da una persona scontrosa a un fast food, ma Colleen ha fatto esattamente il contrario. Una volta scelta la playlist giusta, diventa più facile scegliere anche le azioni giuste. Funziona sempre così. I tuoi pensieri potenziano le tue azioni, che a loro volta generano i tuoi risultati. “Ho sfruttato un contatto per procurarci una macchina da caffè e delle cialde. Ho offerto a ogni visitatore dell’ufficio un espresso o un cappuccino”, ha detto Colleen. I clienti stanchi e stressati hanno notato la differenza. Dopo una lunga giornata trascorsa a vedere costose proprietà in affitto in una città dove trovare un posto in cui vivere è una sorta di sport competitivo, i clienti stanchi tornavano all’ufficio immobiliare e venivano accolti dal caffè di Colleen. È una bella storia, vero? Colleen, rispondeva educatamente al telefono e offriva un caffè espresso ai clienti, i quali non si aspettavano un servizio clienti così eccezionale. Sì, ma la storia non finisce qui. Colleen è diventata amministratrice delegata. Per favore, cerca di non calpestare il microfono che mi è appena caduto. Sì: Colleen ha cambiato la sua playlist, il che ha cambiato le sue azioni, la sua vita e oggi è amministratrice delegata dell’azienda. È successo dall’oggi al domani? Ovviamente no. Ci sono voluti quindici anni. Per quanto possa essere buono il caffè, nessuno passa da barista della lobby ad amministratore delegato in una settimana. A me sono occorsi sei anni per diventare uno speaker a tempo pieno, anche se penso che il Nuovo inno del Capitolo 8 ti aiuterà a risparmiare un po’ di tempo, nel tuo percorso. Colleen ha ottenuto una posizione entry-level nel marketing. Poi ha finito per dirigere il reparto marketing. Successivamente, è passata al business coaching, il tutto mentre scriveva nuove playlist, che l’hanno sospinta avanti. Per esempio, quando arriva il lunedì mattina non vede solo dei “colleghi”: “Considero tutti quelli con cui lavoro come partner commerciali che sto cercando di aiutare a far crescere. E ho 350 partner”.
È sempre stato facile? No. Dice che dopo il fallimento delle dotcom, tutti erano piuttosto depressi: “Avevamo tutti guadagnato un sacco di soldi in uffici eleganti dotati di tavoli da ping-pong e da biliardo. Dovevi prendere una decisione: mi limiterò a riscuotere l’assegno di disoccupazione o farò il lavoro nel modo in cui voglio davvero farlo?”. Colleen non si è mai arrabbiata rispondendo al telefono? Certo che sì: “Ci sono stati momenti in cui è stato frustrante e ho pensato: ‘Davvero? Sono davvero scesa così in basso? Un anno fa ero a Cannes e proiettavo un film’”. Ma non ha continuato ad ascoltare quella brutta playlist. “Devo fare molta attenzione a non prendere una cosa che sto vivendo in questo momento e renderla permanente. Il nostro cervello è solito farlo, ma non è la tua nuova normalità, stai solo avendo una brutta giornata.” Capiteranno sempre quei momenti. Capita a tutti. Tre mesi dopo aver creduto di poter diventare uno speaker professionista, ho partecipato a un evento e ho pianificato un incontro per coloro che stavano leggendo il mio blog. Non avrei parlato all’evento, perché nessuno tranne me sapeva ancora che sarei diventato uno speaker, ma lo staff mi ha permesso di utilizzare una sala vuota. Ho stampato un migliaio di adesivi e ho portato un intero autocarro di Skittles, perché li avevo usati per scrivere una battuta che pensavo fosse divertente. Ho aspettato nella stanza che arrivassero i lettori, aspettandomi una folla enorme. In novanta minuti sai quante persone hanno attraversato quelle porte? Due. Uno era un amico di nome Mike Foster, che era presente all’evento. L’altro era un padre, che entrò e disse: “Io non leggo il tuo blog, ma mia figlia sì. Chiamala”. Poi mi ha passato il suo telefono, ho avuto una conversazione imbarazzante di trenta secondi con sua figlia e poi se n’è andato. Penso che abbia preso un adesivo. Se avessi ascoltato le mie brutte playlist, quel giorno sarebbe stato un totale fallimento. Solo due persone hanno partecipato al mio evento. Se la stessa cosa mi fosse accaduta quando avevo vent’anni, quell’imbarazzo sarebbe diventato un ulteriore promemoria del fatto che il pensare troppo mi raggiungeva ogni volta che provavo a fare qualcosa di coraggioso. Avrei abbandonato quel sogno insensato come avevo abbandonato il mio primo blog, sacrificando potenzialmente altri sette anni di stop. Ma questa volta è stato diverso. Avevo il controllo delle mie playlist, invece di lasciare che fossero loro a controllare me. Invece di arrendermi, ho scelto di ascoltare a tutto volume la mia nuova playlist: “PUOI ESSERE UNO SPEAKER E ANCHE UNO SCRITTORE!”.
Invece di sentirmi umiliato, quel giorno, l’ho riconosciuto per quello che era: un’opportunità di condividere un’esperienza con altre persone: il fallimento. Ho domandato al mio amico di scattarmi una foto circondato da un mare di sedie vuote. Quella notte ho scritto un post su quella esperienza, ed è diventato uno dei miei post in assoluto più popolari di sempre. Undici anni dopo, ero sul palco di fronte a ottomila persone e sorridevo per qualcosa che nessun altro sapeva. Ero nello stesso luogo in cui mi trovavo quando fallì il mio meeting. Ero a circa cinquecento metri dal punto in cui avevo dovuto ricaricare in macchina 999 adesivi. Per essere chiari, non avevo un piano perfetto che mi portasse dal meeting fallito al leggio del palco principale. Tutto quello che avevo era la mia playlist, che mi diceva che era possibile.
Sfruttare il potere del pensare troppo in tre passaggi
Tutto il mio mondo ha iniziato a cambiare quando ho deciso di scegliere quali playlist ascoltare. La cosa più bella è che il processo è molto più semplice di quanto ti potresti aspettare. Quando ho iniziato a trasformare il mio eccesso di pensiero, ho pensato che mi ci sarebbero voluti circa novantadue passaggi diversi, quattordici tecniche e almeno qualche decina di acronimi. Mi sbagliavo. Sono tre le azioni per trasformare i tuoi pensieri da un superproblema in un superpotere:
1. getta via le tue brutte playlist;
2. sostituiscile con nuove playlist;
3. ripetile finché non diverranno automatiche come quelle vecchie.
Getta via. Sostituisci. Ripeti. Questo è tutto. Non so quale sia il tuo sogno; probabilmente è diverso dal mio, ma una cosa la so: pensare troppo è d’intralcio. È ora di fare qualcosa.
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” Jon Acuff, autore di best seller del “New York Times” con sette libri, tra cui Start, Do Over e Finish ha dedicato ai nostri lettori un estratto del libro Pensa meno, pensa meglio – Crea la tua playlist di pensieri vincenti di Apogeo Editore.