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Perché tra genitori e figli è tanto difficile parlarsi e, ancora di più, capirsi? Perché tante volte i dialoghi in casa finiscono per imboccare la strada a fondo cieco dell’incomunicabilità e, dunque, per scavare distacchi? Le ricerche del filosofo e psicologo dell’intelligenza James Flynn sono andate a esplorare queste parole apparentemente carenti, inespressive o incomprese tra genitori e figli, scoprendo che i ragazzi parlano un linguaggio oggi disallineato rispetto al linguaggio parlato dai loro genitori e che, dunque, i genitori non possono capire. Più nel dettaglio, secondo Flynn, gli studi quantitativi dicono che il vocabolario degli adulti è andato via via arricchendosi, mentre la ricchezza lessicale dei loro figli si è a un certo punto inceppata.     

Come mai si sta restringendo il vocabolario giovanile? 

Secondo Flynn, ma non solo lui, la capacità di imparare parole nuove non è trasmessa dalla scuola, ma in famiglia, dai genitori, perché sono le interazioni e le conversazioni a fare germogliare le parole. Ora, conclude lo studioso, se i ragazzi hanno visto rimpicciolire il loro vocabolario è perché, evidentemente, non hanno goduto di un adeguato  volume di conversazioni, più che con gli amici, con i loro padri e con le loro madri. Spiega a proposito su Huffington Post l’epistemologo Gilberto Corbellini che, in virtù del ridursi del dialogo in famiglia e dell’interesse reciproco tra genitori e figli, «gli adolescenti hanno cominciato a sviluppare delle loro subculture linguistiche, si sono chiusi in un loro mondo e non hanno più condiviso sviluppi ed evoluzioni linguistiche con i loro genitori, smettendo anche l’interazione che è quella che permette l’arricchimento del vocabolario».

Cosa fare per ridurre il gap linguistico con i figli?

Secondo Corbellini, bisogna recuperare il ruolo genitoriale di educazione al linguaggio, «lasciando parlare i giovani, non interrompendoli, ascoltandoli in primis. E correggendone il linguaggio, dove necessario. Che è un altro modo per fare sì che si impadroniscano e prendano dimestichezza e si costruiscano una struttura nell’uso del vocabolario da arricchire con nuove esperienze, anche lontane da quelle genitoriali».  

E se fossimo tutti quanti – giovani e meno – a parlare peggio? 

Secondo James Flynn c’è un legame diretto tra quoziente intellettivo e capacità di comprendere il significato di parole difficili: quanto più gli individui sono capaci di interpretare termini complessi, tanto più cresce il quoziente intellettivo. Visto che il quoziente intellettivo medio della popolazione occidentale sta via via diminuendo da vent’anni a questa parte, la ragione potrebbe essere – tra le altre – che si parla un linguaggio sempre più povero. 

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Sentite cosa scrive, in maniera efficace, Christophe Clavé, docente di stratégie & management all’INSEEC di Bordeaux, riprendendo la tesi di James Flynn: «Diversi studi dimostrano la diminuzione della conoscenza lessicale e l’impoverimento della lingua: non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso. La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di “colpi mortali” alla precisione e alla varietà dell’espressione… Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile… Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro? Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto?». La riflessione è aperta. 

Photo credit: Pexels – Brett Sayles