Nelle scorse settimane, abbiamo visto (qui e qui) quanto sia difficile scrivere un Curriculum Vitae che valorizzi non solo le competenze acquisite e le esperienze fatte, ma la persona che sta dietro al CV. Da anni, infatti, assistiamo ad almeno un paio di paradossi. Primo: la moltiplicazione – in rete e fuori – di tutorial e corsi su “come scrivere un CV”, invece di aiutare le persone a dare il meglio di sé, le spinge a produrre CV sempre più omologati. Secondo: persino chi ha studiato materie umanistiche, che pure dovrebbe avere buone capacità di scrittura, finisce in questo appiattimento. Ho cercato dunque di dare alcuni suggerimenti per non correre questi rischi, anzitutto in generale e poi sulle parti del CV più difficili: la bio, le soft skill e, per chi ha fatto studi umanistici, le hard skill.
Gli Applicant Tracking Systems o ATS
Ma c’è un limite importante. Le indicazioni che ho dato sono utili quando si manda il CV a imprese piccole e micro, che in Italia sono la stragrande maggioranza. Se invece si vuole entrare in un’azienda di grandi dimensioni o nella localizzazione di una multinazionale, le cose sono un po’ diverse. Infatti, le organizzazioni che, quando aprono una posizione, ricevono centinaia o addirittura migliaia di CV, per sostenere nel lavoro di selezione chi, al loro interno, si occupa di nuove assunzioni (le cosiddette HR o Risorse Umane), affidano la prima scrematura – e altre fasi dell’attività – a sistemi automatici denominati Applicant Tracking Systems o ATS. In prima battuta, questi software servono a scartare i CV che non presentano certi requisiti (ad esempio le competenze, conoscenze ed esperienze richieste dalla posizione) e/o ne dichiarano altri che non sono pertinenti per il profilo professionale che l’azienda cerca (percorsi di formazione non lineari, esperienze di lavoro disparate, interessi personali fuori dalla norma).
Ora, i requisiti che un’azienda chiede sono inseriti in un ATS con parole, locuzioni ed espressioni che il software va poi a cercare espressamente nei CV che vaglia. Inoltre, allo stato attuale delle tecnologie adottate dalle imprese italiane ed europee, il lavoro di matching non è ancora integrato con sistemi di Intelligenza Artificiale, per cui le corrispondenze sono strettamente legate alle espressioni che si usano. Ciò significa che, affinché sia più probabile oltrepassare il vaglio automatico, bisogna inserire nel CV le stesse parole che l’azienda ha esplicitamente e letteralmente usato per descrivere, da un lato, il lavoro che offre (ruolo, livello, mansioni, ecc.), dall’altro, le caratteristiche che desidera in chi si candida (formazione, competenze tecniche, soft skill, ecc.).
Come superare i sistemi di selezione automatica o ATS
Insomma, la ricerca di originalità e la spinta verso la personalizzazione del CV,di cui pur avevo sottolineato l’importanza, non servono a superare la selezione automatica, anzi, possono essere un boomerang. In altri termini, i limiti dei più diffusi ATS, non ancora sostenuti dall’intelligenza artificiale (almeno per ora), rendono necessario ridurre il CV a una versione rudimentale assai poco creativa.
Come fare, allora, per scrivere un “CV a prova di ATS”? Ecco qualche accorgimento. Per cominciare, gli ATS non riconoscono molti elementi grafici. Perciò bisogna eliminare font e sfondi colorati, loghi, icone, immagini, tabelle, grafici e simili. Anche la foto profilo, utile nei CV destinati ad aziende piccole e micro, diventa qui irrilevante perché l’ATS non la vede (anche se non eliminerà il CV per questo).
Per quel che riguarda gli elementi testuali, gli ATS non capiscono abbreviazioni non standard, date espresse in formati strani, caratteri speciali, e leggono pochi font, per cui è sempre meglio attenersi ai classici Calibri, Tahoma, Arial. Infine, non leggono i link, per cui è inutile rimandare nel CV al proprio portfolio, a siti web e pagine social.
Quanto allo stile di scrittura, contro ogni buon suggerimento di copywriting, più le parole del CV sono standard, più è probabile che siano riconosciute dall’ATS. È dunque meglio, ad esempio, non intestare la sezione sulle esperienze di lavoro con locuzioni tipo “Cosa ho fatto nella vita” o “Il mio passato da freelance”: titoli come “esperienze lavorative” o “esperienze professionali” sono certo più banali, ma più sicuri per la loro riconoscibilità da parte dell’ATS.
Infine, occorre fare attenzione a come si descrive ciò che si è studiato, imparato, fatto: se non si usano parole che l’ATS riconosce come pertinenti al lavoro per cui ci si candida e corrispondenti ai requisiti richiesti, il CV rischia di essere scartato subito, in fase preliminare, per cui non si passerà al primo colloquio.
Dove mettere la personalizzazione
Tutto ciò sembra contraddire quanto avevo detto a favore della necessità di personalizzare al massimo il proprio profilo, per distinguersi dall’omologazione diffusa. In realtà non è così, perché l’originalità funziona sempre, anche con le grandi aziende e le multinazionali. Dove metterla, dunque, se dal CV va eliminata? Nella lettera di motivazione o cover letter, ad esempio, che si può aggiungere al CV in un unico file. E in qualunque altro spazio la selezione permetta di aggiungere testi liberi.
Ma la personalizzazione passa soprattutto da una strategia parallela, che è sempre bene avviare, se davvero si tiene a entrare in un’azienda. In cosa consiste? Cercare un contatto diretto, al di fuori dell’ATS, con la persona responsabile delle HR, o almeno della selezione che vogliamo passare. Il che non vuol dire “farsi raccomandare”, ma trovare online come si chiama e contattarla su LinkedIn o via mail. Nel modo giusto, con le parole giuste e lo stile giusto, dopo aver studiato lo stile e i valori che ha più a cuore, mettendosi nei suoi panni. Non risponde? Succede. E allora riprovi. Con gentilezza, con parole giuste e con personalità. Risponderà. Lo testimoniano tutte le migliori aziende. E le migliori storie di assunzione.