Il potere non gode di buona fama. Affermazioni come «meno potere e più leadership», elenchi di distinzioni tra l’essere capo e l’essere leader (tutte, naturalmente, a favore di quest’ultimo) e ricette preconfezionate su come condurre un gruppo al successo riempiono libri, articoli, post.
La realtà è però ben diversa.
Il potere esiste, eccome. Alimenta le decisioni, innerva le relazioni, influisce sui comportamenti. Spesso peraltro in modo positivo. Il mio libro Fate pace con il potere è dedicato a questo convitato di pietra, per comprenderlo nei suoi elementi costitutivi, per capire come agisce, per misurarlo, conquistarlo quando è necessario, ed esercitarlo in modo efficace.
Partendo da alcune domande:
- Che cosa è il potere?
- Che relazione c’è tra leadership e potere?
- In che cosa consistono i giochi di potere?
Che cosa è il potere?
Definisco il potere, in prima approssimazione, come la capacità di un attore sociale di determinare la condotta di un altro attore sociale: il potere è, quindi, una forma di causazione sociale. In altre parole, un soggetto A ha potere su un altro soggetto B nella misura in cui è in grado di essere il fattore determinante di una sua condotta.
Il manager di un’azienda (A) ha potere sui suoi diretti riporti (B) nella misura in cui è in grado di ottenere da loro attività, servigi, impegno, azioni. Lo stesso vale per un padre su un figlio, per un politico sui suoi elettori, per il leader di un’associazione sui suoi membri.
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Questa capacità di determinare una condotta non va intesa soltanto in senso positivo (un fare), ma anche in senso negativo (un non fare). Ma non bastano queste caratteristiche per ottenere una definizione completa: se, per esempio, un soggetto B permettesse ad un soggetto A di determinare un suo comportamento per un puro atto di cortesia, saremmo in presenza, sì, di una causazione sociale, ma non di una relazione di potere.
Mettiamo il caso che durante una cena tra amici un commensale (A) interrompa una conversazione con un colpo di tosse, ed un altro (B) gli versi un bicchiere d’acqua invitandolo a bere ed a schiarirsi, così, la voce. È evidente che il comportamento di B è stato determinato da A, ma è altrettanto chiaro che non necessariamente si è trattato, da parte di A, di un esercizio di potere e, da parte di B, di un atto dovuto al fatto di subire un potere. In questo esempio, il comportamento di B potrebbe essere determinato soltanto da un atto di cortesia e di attenzione verso un ospite e un amico.
Per caratterizzarsi come relazione di potere, una causazione sociale deve determinarsi come l’espressione di una disuguaglianza di risorse. Chi detiene potere, quindi, è in grado di determinare il comportamento altrui in quanto in possesso di risorse in quantità significativamente superiore rispetto a chi subisce il potere stesso.
Il potere, però, non è puro possesso di risorse. Serve anche che, da un lato, il detentore delle risorse (A) sia disponibile ad utilizzarle per acquisire ed esercitare un potere e sia capace di farlo in modo efficace, dall’altro che il soggetto B sia sensibile a queste risorse tanto da essere disposto a modificare la propria condotta per effetto della disuguaglianza appena descritta.
La definizione si articola, quindi, in questo modo: il potere è la capacità di un attore sociale (A) di determinare la condotta di un altro attore sociale (B) dovuta ad una disparità di risorse in favore di colui che determina la condotta stessa.
Da questa definizione consegue che i rapporti di potere possono riguardare campi molto diversi: un medico detiene un potere sui suoi pazienti nell’ambito della cura e della salute, un insegnante sui suoi allievi nell’ambito dell’apprendimento, un superiore in azienda nell’ambito professionale, un arbitro in una competizione sportiva, un genitore nella vita domestica.
Anche all’interno di una stessa organizzazione, il potere può essere distribuito in modo diverso a seconda dei ruoli ricoperti, per cui un certo soggetto può detenere potere in un determinato ambito, mentre altri soggetti ne detengono in ambiti diversi.
Che relazione c’è tra leadership e potere?
La prima, fondamentale, distinzione nelle forme che può assumere il potere discende proprio dalla tipologia di risorse possedute dal soggetto A: forza, risorse materiali o risorse simboliche.
- Forza, intesa come la possibilità di privare la controparte di un qualcosa che per lei abbia un valore o un rilievo. Detiene questo tipo di potere, quindi, un soggetto A che, in virtù di una posizione gerarchica, di leggi o consuetudini, oppure del possesso della vera e propria possibilità di arrecare danni fisici alla controparte, sia in grado, nel caso B non adeguasse le proprie condotte, di sottrargli elementi che per lui hanno un qualche valore, oppure di impedire che B li acquisisca, come invece desidererebbe.
Chiamo il potere che si basa su una disparità nella disponibilità di questa risorsa potere coercitivo.
- Risorse materiali, intese come beni o denaro a disposizione di chi detiene il potere, che egli può e vuole utilizzare al fine di determinare i comportamenti della controparte.
In questo caso, il possesso di questi beni da parte di A, unito al fatto che B desidera che A ne ceda una parte in cambio di una sua determinata condotta, è il fondamento della possibilità di A di determinare il comportamento di B.
Il potere che si basa su una disparità di risorse materiali è il potere economico;
- risorse simboliche, intese come risorse immateriali che influenzano la relazione con il soggetto B, che sarà disposto a mettere in atto le condotte desiderate da A pur di poter attivare uno scambio basato proprio su queste risorse.
Un esempio di risorsa simbolica potrebbe essere la conoscenza: A è in grado di determinare i comportamenti di B perché quest’ultimo riconosce in lui una fonte di conoscenza e, pur di poter continuare ad accedere a questa fonte, mette in atto comportamenti desiderati da A.
Quest’ultima tipologia di risorse è senza dubbio la più ardua da definire: la sua specificazione, infatti, richiede di sondare a fondo la relazione tra chi esercita il potere e chi lo subisce alla ricerca di merci di scambio che, per la peculiarità della loro natura, sono spesso difficili da individuare e, ancor più, da misurare.
Definisco il potere basato su risorse di tipo simbolico con il termine leadership. Se si accettano queste definizioni, quindi, la leadership non è un concetto o una pratica contrapposta al potere, ma piuttosto, semplicemente, una delle sue forme. Come per il potere coercitivo ed il potere economico, infatti, in gioco c’è la capacità da parte di un attore sociale di determinare la condotta di un altro attore sociale dovuta al fatto che il primo detiene determinate risorse.
Il dato che queste ultime siano di tipo simbolico rende, certamente, la leadership una forma di potere caratterizzata da una serie di peculiarità che vanno indagate. Resta, però, la constatazione che i meccanismi sono gli stessi che regolano le altre forme del potere, e con gli stessi strumenti vanno indagati ed analizzati, a partire dalla “moneta” con cui si esprime lo scambio tra chi detiene e chi subisce la leadership: il consenso.
Cosa sono i giochi di potere?
Per comprendere quale sia l’essenza di ciò che definiamo “gioco di potere” è necessario condividere una distinzione fondamentale espressa da due aggettivi legati alla parola potere: potenziale e attuale:
- potere potenziale: è quella serie di condotte che il soggetto A potrebbe potenzialmente ottenere dal soggetto B in una relazione di potere, sia in senso positivo (un fare), che in senso negativo (un non fare). La definizione di potere potenziale ha, quindi, a che vedere con la possibilità da parte di A di determinare le condotte di B.
Un manager (A), per esempio, avrebbe un potere potenziale su un suo collaboratore (B) nel momento in cui fosse in grado di fargli eseguire un compito qualora glielo chiedesse. Il limite ed il perimetro del potere potenziale di A sono rappresentati, quindi, da quel novero di azioni e comportamenti che B sarebbe disposto a tenere come conseguenza della disparità di risorse che caratterizzano la relazione con A.
Il fatto che il soggetto A ne abbia, però, la possibilità non implica necessariamente che la trasformi in azione: potrebbe rimanere una pura possibilità, che non si concretizza in una condotta.
- potere attuale: è ciò che A trasforma da potenzialità in azione: i comportamenti e le condotte concreti (in senso positivo o negativo) che A ottiene da B in virtù del proprio potere. È la trasformazione della potenza in atto, per usare il linguaggio aristotelico da cui derivano i due aggettivi.
Nel momento in cui il manager del nostro esempio chiedesse al collaboratore di eseguire il compito, trasformerebbe un potere potenziale in potere attuale.
Questa trasformazione viene definita esercizio del potere.
Sulla base di queste definizioni, uno dei significati di ciò che si definisce comunemente gioco di potere poggia su questi presupposti:
- l’esercizio del potere (la trasformazione, quindi, di un potere potenziale in potere attuale) ha sempre un costo, che, tipicamente ma non necessariamente, è rappresentato dal trasferimento da A a B di una certa quota della risorsa che A detiene in funzione di concambio dei comportamenti richiesti a B;
- chi è in grado di amministrare in modo efficiente il proprio potere riesce a minimizzare questo costo, rendendo così il più efficiente possibile l’esercizio del potere;
- dall’altro lato, potrebbe essere interesse di chi subisce il potere rendere il più costoso possibile il suo esercizio, in modo così da equilibrare quella disparità di risorse che, come abbiamo visto, è alla base delle relazioni di potere.
Quindi, una gestione efficiente del potere consente di ottenere i comportamenti desiderati pagando il minor prezzo possibile: in questo si estrinseca una delle abilità fondamentali di chi detiene il potere.
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare Luca Baiguini, docente di People Management and Organization alla School of Management del Politecnico di Milano, con il suo libro “Fate pace con il potere” edito da Egea, ci invita a superare la retorica della leadership e a fare i conti con un elemento fondamentale delle relazioni umane. Solo accettando e comprendendo davvero il potere, infatti, possiamo imparare a leggere le organizzazioni per come sono davvero, e non per come ci piacerebbe che fossero.