Sviluppato da una giovanissima startup innovativa, questo videogioco ci riporta ai pomeriggi degli Anni ’80, trascorsi col pad del NES in mano
Per capire quanto la serie di The Legend of Zelda abbia segnato profondamente il mercato videoludico e milioni di persone, tra “semplici” gamer e arrembanti sviluppatori, basta vedere il numero di cloni che affollano il mercato Indie, di cui questo Saga of the Moon Priestess rappresenta solo l’ultimo, riuscito, esponente.
L’esercito di Hyrule
L’ultima volta che siamo tornati in lande virtuali che ricordavano parecchio la Hyrule dei bei tempi andati è stato con Super Dungeon Maker (qui la nostra recensione) sviluppato con amorevole cura da Julian e Linda Treffler (tengono molto a far sapere che hanno contribuito anche i loro pappagallini e il loro cagnolone) della startup familiare Firechick che permetteva nientemeno di crearsi i propri dungeons, sulle orme della principessa Zelda e degli stivali infangati del prode Link.
Ma i cloni, dueddì o 3D, non si contano. Come per esempio Anuchard, sviluppato dalla startup indonesiana stellar-Ø o stellarNull che aveva preceduto di qualche mese Ocean’s Heart firmato Nordcurrent. Final Sword Definitive Edition (qui la nostra recensione) da Zelda aveva perfino preso le musiche, tanto che ha dovuto sostituirle in fretta è furia per non incorrere in seri guai legali. Resta comunque un dolore atroce, tanto alla vista, quanto per il nostro ego videoludico. Stategli lontano.
È andata meglio a Oceanhorn 2 (qui la nostra recensione), che ha deciso di scopiazzare un capitolo in particolare, almeno per lo stile grafico, cioé Skyward Sword (che nel frattempo è arrivato su Switch, come The Legend of Zelda Skyward Sword HD ). Non male, ma il titolo originale resta su altri livelli. Rogue Heroes: Ruins of Tasos (qui la recensione) si è invece ispirato allo spin-off multiplayer Zelda: Four Swords Adventures, ma è sicuramente andata meglio a Ary and the Secret of Seasons (lo abbiamo testato qui) che, nonostante i limiti, ha saputo divertirci.
Bocciato su tutta la linea, invece, il noiosissimo Windbound (lo abbiamo recensito qui). Pure diversi team italiani si sono cimentati nell’impresa: da un lato abbiamo Baldo: The Guardian Owls (qui la recensione), che non si è rivelato proprio all’altezza delle aspettative, ma è senz’altro tra i cloni che sono riusciti a distinguersi, dall’altro Racoonie (qui l’anteprima), un titolo tuttora in via di sviluppo che speriamo possa far parlare bene di sé.
The legend of… ah no, Saga of the Moon Priestess
Tutto questo per dire che sono davvero tanti i titoli che si mettono in scia al capolavoro creato da Nintendo. Saga of the Moon Priestess lo fa in modo palese, presentando non solo il medesimo impianto grafico a metà tra il primo The Legend of Zelda e quello di A Link to the Past per SNES, ma anche le stesse meccaniche di gioco.
Ci si alterna tra differenti biomi falciando fili e fili d’erba, sollevando pietre e rompendo giare. Nel mentre si passano per le armi tonnellate di nemici (scarafaggi, scarabei, lumachine…) e si aprono scrigni rimasti ad ammuffire nel fondo di dungeons tenebrosi. L’opera della piccola startup innovativa che risponde al nome di Pixel Trash non sembra avere alcuna pretesa di innovare.
In compenso, nonostante il riciclo di idee, soluzioni ludiche, enigmi e combattimenti, il gioco seppur derivativo mantiene desta l’attenzione dell’utente e si lascia giocare, dimostrandosi snello e divertente. Viaggiare per Lunaria è piacevole perché recupera dai primi Zelda l’immediatezza e la libertà d’azione. Non ci sono fronzoli e si è subito sulla breccia, pronti a passare a fil di spada mostri di vario tipo e far saltare muri e quant’altro a suon di bombe.
A voler essere pignoli potremmo sottolineare la pochezza grafica, con sprite malamente animati e scarsamente dettagliati persino per un titolo che emula il NES. Si registra per esempio un certo divario qualitativo tra gli alberi, che paiono di A Link to the Past e i nemici, che sembrano invece disegnati con Paint. Ma a parte questo, di Saga of the Moon Priestess abbiamo apprezzato gli enigmi nei dungeons e le sfide proposte. Non si farà ricordare, perché non è affatto innovativo, ma fa più che bene il compitino.