I ponti sono fatti per esser attraversati, ma il bello è fare avanti e indietro a più non posso. Questo è quel che penso oggi: il primo giorno dopo la fine della Mind the Bridge Startup School. Un giorno che sono passata in bicicletta pedalando sul Golden Gate, poi a Sausalito e poi di nuovo sul Golden Gate. Dopo Thanksgiving si riparte per l’Italia e già non vedo l’ora di imboccare di nuovo anche quel ponte che mi riporterà qui a San Francisco.
Ieri è arrivato il momento della graduation. In presenza dei mentor la classe si è esibita in un pitch finale completamente diverso da quello fatto il primo giorno. Fare palestra serve, basta solo una buona dose di costanza. Sia Charles Versaggi che Marco Marinucci hanno apprezzato la metamorfosi evolutiva portata avanti da ogni startup. Adesso le strade di separano, con la consapevolezza che ci seguiremo sempre tutti, a vicenda, con affetto ed entusiasmo.
Immagino vogliate sapere cosa porterò con me, nel complesso, dopo quest’esperienza. Bene, ecco tutto ciò che ho imparato.
Che l’aiuto più prezioso può arrivare anche se non richiesto. Arriva puntuale, generoso, sorridente come Stefano Contiero e le ragazze di CucinaMancina, Lorenza Dadduzio e Flavia Giordano. Che fare startupper è un’impresa soprattutto se lo fai mentre cresci tuo figlio piccolo, come il divertente team di YouAreU: Salvatore Fonzo e Liliya Kolesnikova. Che tempestività ed innovazione sono sempre una ricetta vincente sul mercato; lo sanno bene Simone Giacco e Luigi Fidelio di VMS.ME. Che tutti noi startupper vogliamo in fondo portare novità nel mondo, tagliando costi, agendo di velocità, arricchendo il digital; ma che quando ti occupi di curare il cancro o migliorare le città in cui viviamo – come Gianluigi Franci di EpiC o Jason Boon e Gilberto Cavallina di ComuniChiamo – dovremmo tutti inchinarci. Che l’entusiasmo della continua scoperta che provi agli inizi della tua startup è uguale a quello che provi quando inizi una nuova storia d’amore: l’ho letto sul volto di Luca Sini di GuideMeRight e di Lorella Di Vuono quando parla di editoria digitale.
Che prenderti un impegno in più, anche quando senti che il tempo non basta mai, può comunque essere sempre un piacere: grazie, Riccardo, per aver chiesto il mio racconto da vanitosa digitale. Che il supporto degli italiani che vivono e lavorano qui da tempo è prezioso: grazie Paolo Pontoniere per avermi inclusa nella fellowship Unite the Two Bays.
San Francisco è un luogo dove percepisci l’empatia nella differenza. Le startup fioriscono ogni minuto ed abbracciano l’intero scibile umano, con una predilezione per la tecnologia. Genetica, biologia, social media, smart cities, design. Un big bang che genera milioni di potenzialità differenti. Eppure, ciò che muove e sostiene questo magma è l’empatia: tutti vanno nella stessa direzione, usano le stesse parole e conoscono le stesse evoluzioni. Tutti sanno già quel di cui stai parlando. Big idea, pain points, startup, business model, traction, exit. Sappiate però che quest’empatia nella differenza va oltre la sfera startup: a San Francisco la percepisci quando vedi gli homeless su ogni marciapiede, in ogni quartiere. La leggi nella storia della città, che ha empaticamente accolto qualsiasi diversità al suo interno.
Italia, arrivo. Vedo una montagna di lavoro davanti a me e davanti a SetLife. È il momento di rimboccarsi le maniche. Carpe diem!