Matteo Troìa, fondatore di CoderDojo FVG, all’Innovation week di Roma per “rubare” quanti più spunti possibili per importarli nella sua regione e renderla migliore
Sono su un Frecciargento destinato a Roma, che se tutto dovesse filare liscio dovrebbe recapitarmi alla capitale fra poche ore, salvo ritardi. Volutamente scrivo “recapitarmi” come fossi un pacco postale, e un po’ così mi sento. Più che un pacco, che insomma, non è una grossa ambizione, mi sento un contenitore, pronto ad essere riempito di stimoli, di esperienze, di parole sagge, di sorrisi speranzosi e di spunti innovativi.
Sono diretto a Roma, all’Innovation Week, dove nei prossimi giorni grandissimi esperti si confronteranno sulle nuove frontiere della tecnologia, tramite convegni, summit, talks, workshop, per concludere la settimana in bellezza con la Maker Faire. A questi eventi partecipo fondamentalmente per due motivi: il primo è perché studio informatica e mi appassiona la cultura digitale, il secondo è perché vorrei “rubare” quanti più spunti possibili per importarli nel paese da dove provengo, di ottomila anime nella settentrionale regione Friuli Venezia Giulia.
Sono uno dei fondatori di CoderDojo FVG. Anche questo è uno dei motivi per cui scendo a Roma. So che alla Maker Faire ci saranno diversi eventi legati al mondo dei bambini: da Codemotion Kids a CoderDojo Roma, capitanati dagli amici Agnese Addone e Carmelo Presicce che si occupano di queste iniziative nella capitale. Questa settimana innovativa e la Maker Faire sono ancora tutte da vivere; i bilanci e le riflessioni si fanno alla fine. Provo tuttavia ad immaginare a priori cosa vorrà dire per la regione Friuli Venezia Giulia, dare la possibilità ad un movimento come CoderDojo di diffondersi e di insediarsi sul territorio.
Della filosofia del CoderDojo mi piace l’invito a “mettersi a disposizione“. Mi piace il condividere e trasmettere le proprie conoscenze, e mi piace che si faccia in maniera gratuita. Dopo gli Open Data e l’Open Government, dovremmo coniare l’Open Consciousness, che oltre ad essere uno scioglilingua, è anche il concetto per cui si mettono a disposizione le proprie conoscenze caricandole in una banca dati aperta ed accessibile. Un po’ come va Wikipedia.
In CoderDojo di bello c’è che i destinatari sono i bambini, troppo spesso sottovalutati. Io credo che i bambini siano “energia potenziale” che nella fisica è quell’energia pronta ad essere trasformata in altro, pronta ad esplodere in qualcosa di nuovo, potenziale appunto. CoderDojo alla fine fa un po’ questo: rende consapevoli i bambini delle loro potenzialità e della loro energia. Fa scoprire loro quanto può essere producente mettere in moto la creatività, e usarla per trovare soluzioni ai problemi. Fa scoprire loro l’arte del “mi arrangio” e non il “so tutto dalla vita“. Non sto fermo a guardare, mi rimbocco le maniche, provo, con quello che ho e con quello che so, a risolvere una questione, a proporre un’alternativa, provo a pensarci e a ragionarci prima di arrendermi.
Ecco, credo in CoderDojo perché credo nelle parole di Mitch Resnick, che al TedX di Beacon Street, dice che insegnare ai bambini a programmare, significa insegnare ai bambini ad imparare. Di questo hanno bisogno i bambini, che sono il futuro, che sono il domani. Di imparare. Ed imparare é uno di quei verbi “in movimento” che a me piacciono molto, perché non condannano a stare fermi. Imparare deriva dal latino, e significa “procurare“, procurarsi dunque una notizia, un’informazione. Ai bimbi e a tutti noi, l’augurio di tornare ad essere capaci di imparare.
di Matteo Troìa