Diego pubblica in rete una tesi e rischia il carcere (nella settimana dell’open access). Una storia proposta da Andrea Zanni e che fa riflettere
Diego Gomez ha 26 anni, è uno studente colombiano e si occupa di biodiversità. Come milioni di ragazzi simili a lui (come me, come te) Diego studia, va in Internet, legge articoli.
Come milioni di ragazzi fuori da università europee ed americane, Diego fa fatica ad avere accesso a determinati articoli, blindati dietro accessi a pagamento delle gigantesche case editrici accademiche. Se la tua università non può pagare questi grandi database, un singolo PDF costa mediamente 20-30 euro. Ovviamente questo è il caso di migliaia di università non solo nel terzo mondo, ma anche in Europa e negli Stati Uniti (nel 2012 l’università di Harvard dichiarò di non potersi più permettere i 3,5 milioni di dollari degli abbonamenti alle riviste). I prezzi delle riviste scientifiche sono in costante aumento da decenni. Ma quando le persone vogliono accedere all’informazione, non ci sono barriere che tengano: in un modo o nell’altro gli articoli vengono pubblicati online, scambiati fra i ricercatori, messi su torrent o in siti appositi.
Diego (come me, come te) quando vuole trovare qualcosa si rivolge a Internet: dopo aver trovato una tesi di master importante per il suo settore l’ha caricata su un sito per permettere anche ai suoi colleghi di leggerla. Per questo rischia ora dai 4 agli 8 anni di carcere.
Seguendo l’assurda logica di chi lo ha denunciato, un semplice atto di pratica accademica e sociale (passare un articolo importante ai colleghi, per servire la propria comunità scientifica) diventa “pirateria” e “violazione di diritti economici“. E’ difficile giustificare in qualche modo il suo accusatore.
L’open access (il movimento che promuove l’accesso aperto alla letteratura scientifica) è una realtà in continua crescita, e sempre più università e governi ne riconoscono la necessità. I numeri parlano da soli: l’open access cresce ovunque e non si fermerà. Di fronte ad un dato di realtà (da una parte un mercato accademico ritenuto insostenibile da chiunque, dall’altra parte un nuovo sistema che premia la condivisione e la trasparenza che guadagna terreno ogni giorno che passa) è il sistema che deve cambiare, non la pratica quotidiana e inoffensiva di migliaia di ricercatori.
Ne ha parlato anche Massimo Mantellini recentemente nel suo ultimo libro: violare il copyright è ormai naturale, perché le leggi sul diritto d’autore non si sono evolute a quel nuovo, rivoluzionario ecosistema che è Internet. Non il mondo digitale, ma le leggi devono adattarsi, per garantire il giusto riconoscimento agli autori, ma garantire anche il sacrosanto diritto delle persone alla condivisione di conoscenza. Ricordiamolo ancora una volta: non stiamo parlando di scaricare film o serie tv per piacere, parliamo del puro diritto a studiare, imparare e fare ricerca.
Questa è la settimana internazionale dedicata all’accesso aperto: potete trovare svariati eventi in tutta Italia, informarvi se volete saperne di più, parlare con i bibliotecari della vostra università, scoprire i servizi che offre a riguardo.
Infine trovate qui la petizione a favore di Diego. Cliccate, firmate, condividete. E’ forse banale da dire, ma non ci servono altri martiri dell’open access. Abbiamo già avuto Aaron Swartz.
Articolo precedentemente pubblicato su CheFuturo!
di Andrea Zanni