Che le startup stiano rivoluzionando il mondo dei soldi è ormai un dato di fatto. Quello che ci si chiede è: come? All’interno di questo mondo in ancora in divenire c’è un intero mercato che in Italia è ancora in fase iniziale ma vanta un enorme potenziale: quello dei mobile Pos per il quale si prevedere entro il 2016 un transato totale intorno ai 2-3 miliardi di euro.
Il termine Point of Sale (POS) indica il luogo dove viene completata una transazione al dettaglio, ovvero il punto in cui il cliente effettua un pagamento ad un commerciante. Intuitivamente affiancargli la parola mobile significa scorporare il momento del checkout da un luogo fisico specifico, permette di accettare pagamenti appunto in mobilità. Tecnicamente gli m-POS non sono altro che dispositivi, veri e propri lettore di carte, che, collegati a uno smartphone o a un tablet, permettono l’accettazione di pagamenti con carta. Il loro ruolo è visto dagli esperti del settore come fondamentale per la diffusione delle transazioni elettroniche anche in ambiti dove tradizionalmente continua a prevalere il contante.
In particolare i principali produttori di m- in Italia (Jusp – leggi la nostra intervista – , Payleven, Wallet-E) potranno giovare del Decreto Sviluppo Bis, pubblicato il 27 Gennaio 2014 sulla Gazzetta Ufficiale che renderà effettivo l’obbligo per “i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito“. Le condizioni di attuazione della norma prevedono l’obbligo per importi superiori a 30 euro e per i soggetti il cui fatturato risulti superiore a 200mila euro. Questo dunque interesserà professionisti e commercianti come tassisiti, pony express, artigiani che effettuano interventi a domicilio, idraulici, elettricisti, imbianchini, ma anche medici, avvocati, notai. Non solo. Perché il mobile Pos è anche un’opportunità per chi pur avendo già in negozio un Pos tradizionale sente l’esigenza di innovare il tradizionale concetto di punto vendita permettendo ai propri clienti di evitare lunghe file alla cassa, come sottolineato da Valeria Portale ricercatrice del Politecnico di Milano. E se da un lato il cliente potrà migliorare la propria esperienza d’acquisto, l’esercente potrà accettare pagamenti senza dover necessariamente vincolarsi a stringenti contratti con le banche. Ecco che entrano in gioco le startup la cui offerta conviene anche economicamente. Rispetto al Pos tradizionale il m-Pos non ha costi fissi per l’esercente e non richiede un canone mensile. Si paga solo all’utilizzo una commissione sul transato, che si aggira intorno al 2,5%. A livello di pricing, per quelle categorie che ancora devono dotarsi di un POS, la soluzione è chiaramente incentivante. Alle startup dunque ancora una volta va il merito di aver dinamizzato il mercato. Perché per reagire alla minaccia le banche e i circuiti tradizionali si sono mossi in modo molto più proattivo. Nascono così le offerte di m-Pos di Intesa Sanpaolo, BNL e Ingenico.
Anche se dall’estero arriva un segnale interessante: nascono cioè alleanze tra aziende bancarie e startup per lo sviluppo congiunto di servizi (negli Usa Square con JP Morgan; in Germania DZ Bank con iZettle). Non potendoli battere insomma hanno deciso di unirsi a loro. È pur vero che nel mondo il fenomeno appare più consolidato che nel nostro Paese. L’Osservatorio del Politecnico di Milano ha contato più di 70 operatori di mobile Pos nel mondo e il loro uso si è esteso anche a quei settori come la grande distribuzione che nelle prime analisi non erano risultati il principale target di riferimento. Nelle città di Austin, New York, San Francisco, Square ha appena firmato una accordo con Whole Foods Market per consentire ai clienti di fare acquisti presso singoli stand e le diverse aree dell’ipermercato anziché fare un’unica lunga fila alle casse. Non a caso la zona in cui i mobile Pos sono cresciuti (25% l’anno) è quella nordamericana dove ad oggi quelli attivi approssimano i 3 milioni. Il motivo sembra essere duplice: l’uno legato all’offerta, l’altro culturale. Negli States infatti non solo sono presenti e consolidate soluzioni come PayPal Here, Square, Intuit GoPayment che non sono ancora sbarcate nel mercato italiano, ma è anche culturalmente più diffuso l’utilizzo delle carte di pagamento rispetto al contante.
L’ostacolo principale al infatti al successo di queste soluzioni in Italia resta la scarsa propensione all’uso dello strumento carte nel nostro Paese, nonostante l’accelerazione normativa. Innovazione e tecnologia potrebbero offrire una soluzione per superare l’impasse. In altre nazioni è stata avviata la sperimentazione di un dispositivo che permette di accettare pagamenti su mobile POS senza necessità di strisciare la carta grazie all’utilizzo delle proprie impronte digitali. In Spagna è già attivo, presso l’Ushuaïa Ibiza Beach Hotel di Ibiza, PayTouch che si serve delle già note tecniche di lettura biometrica delle impronte digitali per mettere a punto un processo di identificazione e di autenticazione che si basa sull’unicità, l’universalità e l’invarianza nel tempo delle impronte. La transazione viene completata in 5 secondi, basta una sola registrazione (anche via Web tramite il sito del produttore) e si possono collegare alle impronte più carte di debito/credito. Anche in Francia 900 consumatori hanno sperimentato per 6 mesi questa tecnologia in Villeneuve-d’Ascq e Angoulême, due cittadine nei pressi di Lille a Nord dell’Esagono. il 90% di questi utenti si è detto soddisfatto di un metodo di pagamento che ha trovato sorprendentemente comodo, veloce e sicuro. Non ci resta che sperare che arrivi anche in Italia.