Un chip che funziona come un’impronta digitale. Obiettivo dichiarato: rivoluzionare l’autenticazione digitale di prodotti, persone e macchine.
Come mandare in rovina l’industria del falso? Con un chip. Questa almeno è l’idea di Srini Devadas, docente di Ingegneria Elettrica e computer science che sulle sue ricerche sta costruendo un vero e proprio business. Che si tratti di un passaporto, di un badge o di una borsetta, l’eclettico ingegnere è convinto di farcela e non esclude altre applicazioni.
L’idea di Devadas è semplice e soprattutto low cost: costruire dei minuscoli chip che abbiano la stessa peculiarità dell’impronta digitale umana: essere cioè unici. Come? Introducendo delle variazioni quasi impercettibili all’interno degli stessi chip in fase di fabbricazione, che li rendano l’uno diverso dall’altro. Differenze che devono essere piccolissime e soprattutto impossibili da prevedere. Questi chip anti contraffazione sono inoltre fatti di silicio, che li rende una tecnologia assolutamente a basso costo, facilmente utilizzabile all’interno di etichette con identificazione a radio frequenza.
L’azienda che sta trasfomando l’idea di Srini in realtà si chiama Verayo ed è un’azienda nata nel 2005 in seno al MIT, proprio grazie a lui. Da anni l’azienda lavora nella direzione di mettere a punto nuove tecnologie per combattere la piaga della contraffazione basandosi sulla cosiddetta PUF technology, inventata proprio da Devadas durante il suo lavoro al MIT. La PUF technology non è altro che un insieme di circuiti elettrici estremamente sensibili a variazioni minime, che possono essere incorporati nel chip per renderlo unico, come un’impronta digitale umana. Questi semiconduttori sfruttano quindi questa sorta di “biometria del silicio”, e dato che le variazioni prodotte sono imprevedibili, permanenti e impossibili da replicare, ogni chip diventa non clonabile e i parametri utilizzati diventano segreti dal punto di vista della sicurezza.
Verayo, ricordatevi questo nome
Questo nuovo chip low cost è in realtà solo l’ultima punta di diamante di Verayo. Altre soluzioni, tutte basate sulla PUF technology, sono state sviluppate in questi anni, come per esempio software per l’autenticazione, fra cui alcuni che prevedono anche il coinvolgimento dei consumatori, piattaforme di analisi dei dati di back-end, fino alla generazione di chiavi crittografiche.
Verayo è dunque oggi un’azienda da tenere d’occhio perché tutt’altro che secondaria nel panorama della sicurezza informatica mondiale. Non è un caso che sia stata finanziata da Khosla Ventures, compagnia leader nel finanziare aziende promettenti nel settore dell’informatica e delle tecnologie al silicio. Così come non è un caso che al momento, grazie al comitato di esperti e ricercatori che è riuscito a riunire intorno al proprio tavolo, questa fu costola del MIT vanti relazioni nientemeno che con il Dipartimento della Difesa Americano.
Secondo i dati del Censis, nel 2012 il mercato della contraffazione in Italia avrebbe prodotto 6,5 miliardi di euro di fatturato, ma se l’idea di Devadas funzionasse l’industria del falso sembra destinata alla rovina.
@CristinaDaRold