Medasense, società biomedicale guidata da una donna, ha realizzato uno strumento per monitorare il dolore di una persona in coma o sotto anestesia. Per utilizzarlo basta un dito.
Medasense Biometrics, una società biomedicale israeliana, ha messo a punto un dispositivo che si chiama PMD100™, in grado di misurare l’intensità del dolore provato da una persona. La forma dello strumento ricorda quella di un manicotto ed è sufficiente infilarlo sul dito per ottenere la misura di pressione sanguigna, pulsazioni, sudorazione e temperatura. Le informazioni vengono raccolte attraverso una sonda che monitora i cambiamenti nei parametri fisiologici, sia prima che dopo l’assunzione di farmaci. Successivamente, un algoritmo, frutto di oltre 7 anni di ricerche, elabora i dati fisiologici e li converte in un “Index Pain”, un indice del dolore. Il tutto in maniera totalmente non invasiva, un processo semplicissimo.
Chi ha creato Medasense
Dietro alla fondazione di Medasense c’è una donna: Galit Zuckerman, oggi CEO della società, laureata con lode in ingegneria all’università di Tel Aviv e con 15 anni di esperienza alle spalle nel campo dell’industria high-tech, passando per piccole startup e colossi come Nokia-Siemens. Durante questo suo percorso lavorativo certamente non comune, Galit si rende conto che il monitoraggio e la valutazione del dolore sono due ambiti assai promettenti nel settore del biomedicale, poiché capire con precisione quanto dolore sente il paziente aiuta gli operatori sanitari a inquadrare meglio le condizioni di salute del malato. Non è un caso se un dolore persistente è il motivo principale per il quale ci rechiamo dal medico. È così che nel 2008 nasce Medasense, che oggi, dopo 7 anni, è stata nominata “Innovative Medical Device Company of the Year”, per il 2015 del noto concorso “WOW” rivolto alle startup e promosso dalla Israel Advanced Technology Industries (IATI) Biomed Conference.
A chi servirà
Il dispositivo dovrebbe consentire ai medici di migliorare la gestione del paziente ospedalizzato con la corretta e tempestiva regolazione dei farmaci per il dolore e riducendo al minimo gli eventi avversi. Questo è il suo impiego principale. Ci sono infatti situazioni in cui determinare il dolore di un malato diventa fondamentale, poiché egli non è in grado di raccontare se prova dolore, e se sì quanto intenso è questo dolore. Si tratta dei neonati, dei pazienti in coma o di chi è stato sottoposto ad anestesia. In questi casi una valutazione del dolore può favorire una migliore comprensione della situazione clinica, riducendo sia il rischio di sotto trattamento, che quello di sovra trattamento.
Una volta in commercio faciliterà le cure?
Al momento il dispositivo non è ancora in commercio, ma secondo secondo quanto si apprende sul sito web, la società si aspetta di ricevere l’approvazione da parte dell’Unione europea nel giro di pochi mesi. Non appena sarà messo in commercio, questo dispositivo potrà permettere a chiunque, tasche permettendo, di interpretare il proprio dolore come un numero: agli ospedali, alle cliniche, ai professionisti della salute.
E tuttavia, sebbene device come questi rappresentino certamente un notevole passo in avanti per la comprensione di molte situazioni cliniche, va sottolineato che tutto questo rappresenta solamente uno degli aspetti, per quanto clinicamente rilevante, della gestione della sofferenza. Come sottolineano tra i i fautori della cosiddetta “medicina narrativa” infatti, il benessere, così come il malessere, sono comunque qualcosa di soggettivo, dove il dialogo fra medico e paziente, e soprattutto l’ascolto del primo verso il secondo non possono e non devono venire meno, quando di mezzo c’è una questione così complessa come la percezione del dolore.
@CristinaDaRold