Vogliono il mercato, i clienti delle startup. Ma c’entra anche un trend nel mercato digitale che vede il food sempre arrivare per ultimo. Cosa è successo in questi mesi secondo tre esperti del settore
Quattro exit tra le startup del food in pochi mesi. E chi segue le dinamiche del mercato digitale da vicino assicura: ne arriveranno altre. L’ecommerce dei prodotti della tavola in questi primi mesi del 2015 è di sicuro il settore più attivo (subito a seguire il turismo e l’inizio dell’anno messo a segno da Bravofly). Ma cosa sta succedendo alle startup del cibo italiane? Abbiamo provato a chiedere a ventures, business angels, ed esperti di economia digitale di spiegare quello he i numeri raccontano come un fenomeno (anche se a volte sembrano esaurita) ma che in realtà risponde a delle dinamiche precise. Corsi e ricorsi dell’economia, trend che ci colpiscono, anche se marginalmente rispetto a mercati più evoluti. E poi c’è l’effetto Expo, declinato sui temi del food e della sostenibilità. Ma è un effetto piuttosto marginale.
Cellini: «Food ultimo nel digitale, ma è un classico»
«Si sta ripetendo la stessa dinamica di qualche anno fa. Dobbiamo immaginare le dinamiche del mercato digitale come un’onda» spiega Paolo Cellini, docente di marketing strategico alla Luiss di Roma. «Negli anni 2000 ha cominciato a crescere partendo dai settori più tradizionali: editoria, gaming, moda. E poi il food. Quell’onda è diventata risacca in quel periodo per motivi ben noti (la bolla dot-com, ndr), oggi si sta riproponendo lo stesso meccanismo. Abbiamo avuto una prima ondata ancora in editoria moda e altri prodotti, e adesso di nuovo il cibo». Il food è ancora l’ultimo anello di una catena che parte da settori più facilmente pensabili sul digitale. «Questo perché la gente comune è più lenta ad associare qualcosa come il cibo all’acquisto online e al digitale. Si preferisce sempre andare di persona al ristorante. Specie in Italia. Fino a quando il trend, e l’abitudine non cambia». E l’Italia è pronta per questo cambiamento? «Come mentalità forse ancora no, ecco perché quello che si muove è ancora poco. E poi abbiamo la più alta percentuale europea di ristoranti e pizzerie sotto casa. Non da ultimo una legislazione che di certo non facilita lo sviluppo delle consegne a domicilio. Ok per la pizza, ma per i servizi che promettono di portarti il ristorante a casa la vedo molto difficile attecchire. Poi c’è l’Expo, che magari un po’ avrà influito, ma si tratta di trend generali che vanno al di là di eventi singoli».
Magrini: «Cosa vogliono dalle startup? I clienti»
A proposito di pizza, il caso più emblematico è PizzaBo. E un’exit a Rocket Internet che alcune indiscrezioni non confermate vorrebbero di 55 milioni (altre invece 5 milioni). Per un’azienda che ne fattura 400 una cifra che sembra eccessiva sia a Cellini che a Massimiliano Magrini di United Venture: «Non la conosco bene ma i numeri che stanno circolando sembrano eccessivi». Ma cosa si stanno comprando gli investitori da queste startup? «Il mercato, si comprano i clienti. Vale per PizzaBo, come per RestOpolis e MyTable vendute a The Fork. Queste società quando investono da queste parti portano le loro competenze e dalle nostre startup si comprano il go to market». In assenza di altri portafogli in grado di fare altrettanto in Italia hanno gioco facile. Rocket Internet è stata di recente annoverata dalla Harvard Business Review come una delle società di e-commerce più promettenti al mondo. Unica in grado di contrastare i giganti asiatici e americani. Un terzo polo europeo dell’e-commerce che passa da Berlino e che vede pochi altri competitor nel continente. E non solo. La strategia di Rocket è worldwide. In Italia si è mossa su PizzaBo. Ma è una delle 9 acquisizioni fatte tra Asia e Europa. Altri nomi? Delivery Hero, HelloFresh, Nevera Roja. 700 milioni di euro di investimento in una manciata di mesi. Tutti servizi di commerce nel food, tasselli per offrire un servizio che copra quanti più paesi possibile. L’unico portafogli in grado di poterlo fare è lì. Stiamo perdendo un treno come quello del food che ci dovrebbe vedere in prima linea? «In Italia mancano i soldi», spiega Cellini. «O meglio, i soldi ci sarebbero pure, ma manca fiducia e strategia per investirli. Il confronto con gli altri paesi è ancora imbarazzante».
Bicocchi Pichi: «Ci manca una Luxottica delle startup»
Vogliamo provare a vedere il bicchiere mezzo pieno? «L’Italia torna ad essere un panorama vitale». A parlare è Marco Bicocchi Pichi, business angels e delegato all’internazionalizzazione per Italia Startup. «Torniamo ad essere appetibili ma… Io sto tornando adesso da una conferenza a Berlino e l’impressione è che siamo ancora a livello della Romania e del Portogallo per quanto riguarda il mercato digitale». Una situazione che porta qualche vantaggio, se così si può definirlo: «I nostri talenti costano poco. Il nostro mercato pure». 55 milioni non sono pochi però: «I prezzi delle exit che girano? Ci credo poco. I giganti dell’ecommerce vedono nell’Italia un mercato da 60 milioni di persone che dovranno seguire il trend del go digital. Nessuno ha la forza di creare un polo qui. Lo fanno loro comprandosi i clienti delle piccole startup». Verrebbe da dire, è la globalizzazione, bellezza. «E’ un po’ come il mercato dell’acqua. La Nestlè si compra la San Pellegrino? Tripadvisor My Table, Rocket PizzaBo. Ed altre ne verranno». Ma perché non lo fa nessuno player italiano? «In Italia siamo poco portati a questo genere di operazioni. Parlando più in generale lo fa solo Luxottica come grande azienda. Per le startup avviene lo stesso. Solo che non abbiamo nemmeno una Luxottica delle startup»