Notai contro startupper: la firma digitale può mettere a rischio l’intero sistema societario italiano. Cantamessa (Pni Cube) «La paura non può bloccarci, atteggiamento retrogrado da parte dei notai». Ecco perché
Basterà la possibilità di costituire una startup con la sola firma digitale (non autenticata) a scardinare l’intero sistema di sicurezza delle società italiane? Secondo i notai, sì. Da loro infatti è partito l’allarme appena è stata diffusa la notizia della presentazione di un emendamento al decreto legge Investment Compact (ora in discussione al Senato) che prevede di poter mettere in piedi una startup innovativa o un incubatore – che sono comunque società vere e proprie – senza dover più ricorrere al lavoro di un notaio, ma solo utilizzando un modello standard con firma digitale. Ma chi si occupa di startup non la pensa allo stesso modo, visto che contemporaneamente alla nota stampa del consiglio nazionale del notariato ne è stata pubblicata un’altra dai contenuti radicalmente opposti. A firmala ci sono Assolombarda, IBAN, PNICube, Polo Italiano del Venture Capital e Roma Startup, secondo i quali:
“Tutte queste misure (comprese negli emendamenti dedicati alle startup, qui la sintesi ndr) sono di fondamentale importanza per consentire di proseguire sulla strada dell’agevolazione di questo modello di impresa, che tuttora soffre dei limiti di un sistema-paese uso a drenare valore dalle imprese prima ancora che queste siano in grado di sostenersi sulle proprie gambe”.
Qual è il problema?
“Si tratta di facilitare l’uso di falsa identità perché l’utilizzo della firma digitale senza nessuna verifica e nessun controllo non garantisce assolutamente nulla dell’identità della persona che la sta usando, inoltre favorisce la crescita esponenziale di furti d’identità”. Spiega a Startupitalia! il notaio Eliana Morandi, che aggiunge come l’ anonimato delle società (che potrebbe derivare dall’utilizzo esclusivo della firma digitale non autenticata per costituire un startup innovativa) “venga riconosciuto da molti anni, anche all’estero, come un problema grave, perché consente l’utilizzo delle stesse società per tutta una serie di reati, compresi riciclaggio, evasione fiscale e corruzione”.
Proprio la sfiducia dei notai nei confronti della firma digitale ha colpito Marco Cantamessa, presidente di Pni Cube, che intervistato da Startupitalia! ha dichiarato “non deve essere la paura che qualcuno possa fare qualcosa di sporco a bloccare l’intera popolazione italiana. Mi sembra un atteggiamento assolutamente retrogrado”. E riferendosi invece all’emendamento contestato dei notai, sottolinea “nessuno proibisce alla startup innovativa di andare dal notaio, semplicemente si offre la possibilità di una strada accelerata e a costo zero, poi se il notaio dà un valore aggiunto va benissimo”.
Secondo Cantamessa non tutte le realtà economiche sono la stessa cosa, “quindi è anche ragionevole che per la piccola startup che sta partendo esista comunque una scorciatoia che permetta di accelerare e anche alleggerire dal punto di vista economico gli oneri, i tempi e le procedure che sono connesse alla sua costituzione”.
«Il problema è la trasparenza delle società»
Il problema segnalato dai notai “non sta nella startup in sé, ma nel fatto che questo provvedimento preveda la possibilità di creare delle società potenzialmente anonime. Ecco quindi che attraverso le startup si apre una strada verso un numero indefinito di s.r.l. di cui sarà difficile stabilire con certezza la proprietà. Scardinando così un sistema civilistico reputato sicuro anche da questo stesso governo”, spiega il notaio Morandi.
L’attuale situazione, infatti, secondo un documento del Comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell’Economia:
“non mostra rilevanti e intrinseche criticità legate alla trasparenza: la stringente normativa civilistica che regola la governance e il vasto patrimonio informativo, veicolato peraltro da notai e dottori commercialisti, disponibile tramite il Registro delle imprese fanno sì che il problema di accedere a informazioni sulla titolarità effettiva si possa porre per circa l’1% delle 6 milioni di imprese registrate”.
Le cose però potrebbero cambiare radicalmente e secondo il notaio Morandi potrebbero avvicinarsi all’attuale situazione del Regno Unito, dove “a causa della mancanza di controlli preventivi, per risalire all’identità del rappresentante legale di una società si arriva a spendere anche 500 sterline, contro i 7 euro che sono richiesti in Italia”.
Per questo motivo e per il fatto che si siano recentemente verificati molti furti d’identità, in Inghilterra si sta cercando di modificare il diritto commerciale (qui delle dichiarazioni del premier Cameron già nel 2013, qui invece un documento del Governo britannico sulla trasparenza delle società e sui trust) “proprio nella direzione del sistema civilistico italiano, dal quale noi invece rischiamo di allontanarci”, segnala Eliana Morandi.
Quanto si risparmia non andando più dal notaio?
Per il lavoro dei notai non esistono tariffe fisse, quindi i costi dipendono dalla coscienza del notaio stesso, a cui sta la valutazione di richiedere o meno a dei giovani startupper la stessa cifra che si farebbe pagare da una multinazionale. Molto dipende però anche dal luogo in cui si trova la startup. Nel senso che se ci si trova in un contesto in cui il mondo delle startup è abbastanza vitale è normale che gli oneri siano pochissime migliaia di euro. Viceversa, ci sono luoghi in cui le startup sono meno diffuse e magari il notaio meno avvezzo a questa clientela potrebbe applicare lo stesso tariffario di un realtà molto più strutturata.
Attenzione però al fatto che il compenso del notaio sia spesso molto diverso dalla cifra totale che bisogna pagare per un atto di costituzione di società. Per quelle a responsabilità limitata, che si tratti o no di startup, “i costi fissi (imposte che la società comunque avrebbe) sono tra i 700-800 euro. Quindi, può anche succedere che su circa 1800 euro di spesa, spesso al notaio ne vadano in media, al massimo, mille euro lordi”, fa presente il notaio Morandi.