I numeri raccontano di società in continua crescita, capaci di un cash flow enorme per future acquisizioni e espansioni: ecco i segreti in cifre delle multinazionali del software secondo un rapporto di Mediobanca
Sono le più piccole tra le multinazionali. E le più giovani. Ma sono anche quelle che crescono più veloci. Parliamo delle grandi aziende software e web: Google, Microsoft, Facebook, Amazon, Alibaba e altro nomi noti, tra cui però non troviamo Apple, il cui fatturato deriva in gran parte dall’hardware. Le grandi firme tech muovono 366 miliardi e hanno triplicato la loro dimensione negli ultimi 5 anni, spesso con le acquisizioni e il possesso di marchi e brevetti. Grazie alla ricerca, primeggiano per redditività (assieme al settore farmaceutico). Sono assai liquide e creano molta più occupazione rispetto agli altri settori. Ma devono decidere che forma prendere nel futuro: strutturarsi come delle multinazionali tradizionali o restare delle startup, seppure di dimensioni giganti?
L’analisi dell’Area Studi Mediobanca presenta il comparto in tutta la sua dinamicità, e lascia intravedere un cambiamento di scenario: dal predominio americano all’ascesa delle imprese asiatiche. Unica europea del quadro: la tedesca SAP (Systems, Applications, Products), fondata da quattro ex impiegati dell’IBM.
TANTE ASSUNZIONI, TANTISSIMI RICAVI
Le multinazionali software e web hanno un giro d’affari di 366 miliardi. Sono più piccole rispetto alle multinazionali tradizionali (media: 26,8 miliardi di attivo contro 38), ma con ricavi in crescita del 145% nell’ultimo dal 2009 ad oggi. Anche la forza lavoro è aumentata in modo verticale: nello stesso periodo di tempo, il web (che assume più del software) ha prodotto quasi 500 mila posti. La media di circa 22.700 occupati per azienda è quasi tre volte più grande di quella dell’industria (8.500 persone).
Microsoft, che pure ha licenziato il 20% dei dipendenti, resta il nome più grande, con Google e Oracle. Ma le società cinesi – Alibaba, Jd.com e Baidu in testa – hanno margini in rialzo più del doppio rispetto alle statunitensi. E lo scettro del fatturato è passato dal 2014 ad Amazon, dominatrice del 20% del mercato con oltre 73 miliardi, mentre Facebook è la più redditizia (ma Alibaba, con 31,8% di utile sul fatturato 2014, ha la miglior redditività netta). Una lezione importante è che i soldi si fanno con la ricerca. Le società digitali ci spendono il 13.3%, e ciò porta la loro redditività operativa al 20.8%, su livelli di gran lunga superiori a quelli degli altri settori, a parte quello farmaceutico.
FINANZA ALLEGRA (PER DAVVERO)
A livello finanziario, stiamo parlando delle compagnie più solide dopo quelle energetiche: le più capitalizzate, dato che il capitale netto di solito è superiore a oltre tre volte i debiti finanziari. La medaglia d’oro spetta a Nintendo, che non ha debiti finanziari: ha scelto l’autofinanziamento, pratica molto diffusa nell’economia giapponese. Yahoo, dopo essere scesa al 15% di Alibaba in seguito all’IPO (presto la quota verrà scorporata in una nuova società), ha triplicato il proprio patrimonio netto. Per quell’operazione, pagò 3 miliardi di tasse: più o meno quanto versato dall’internet economy italiana, presa per intero.
Le software e web, più legate a investitori privati che a banche, sono peraltro le multinazionali più liquide. E dato che risultano essere le uniche con liquidità superiore ai debiti finanziari, hanno una maggiore possibilità di effettuare acquisizioni in futuro. Il leader, dal punto di vista della cassa, è Facebook con 9.2 miliardi a disposizione, seguito dall’e-commerce cinese JD.com e da Google. Non c’è insomma da stupirsi che la borsa ami il web. Tra giugno 2012 e giugno 2015, nessuna delle multinazionali software & web è arretrata nei listini. Per capitalizzazione, Google ha appena sorpassato Microsoft: Facebook, che chiude il podio, è in crescita fin dal 2013 (dopo le stranezze dell’ingresso, avvenuto un anno prima). A fine 2014, erano invece in rosso Yahoo (-22.9%), Alibaba (-20%) e Baidu (-12.6%).
FONDATORI CARISMATICI E CAPITALE DUAL CLASS
Aziende così vivono d’innovazione. Eppure, la struttura di controllo è spesso di tipo tradizionale, con la maggioranza del capitale nelle mani dei soci fondatori. Oltre la metà di loro ha meno di 50 anni e, al di là della posizione, possono essere figure ispiratrici per la filosofia dell’azienda e non solo: basti pensare a Bill Gates (oggi ufficialmente di scena), Jeff Bezos, Jack Ma – per non citare Steve Jobs, forse il caso più clamoroso.
Un aspetto innovativo si può però rintracciare nel modello dual class del capitale, introdotto da Google nel 2004 e poi seguito da tutte le altre società del settore. Si fonda su due categorie di azioni. Le Classe A, ordinarie, quotate, sono one share one vote. Le classe B, speciali e non quotate, sono a voto multiplo: in genere, ognuna vale 10 voti. Di solito, queste ultime sono in mano ai fondatori, che si garantiscono così il governo societario delle “controlled company”. Il voto multiplo fa sì che, ad esempio, Larry Page, Sergej Brin e Eric Schmidt controllino il 60% dei diritti di voto possedendo soltanto il 7% del capitale di Google (che ora ha anche azioni di Classe C). Il colosso di Mountain View è esemplare anche sotto un altro lato: i fondatori Brin e Page hanno saputo aprire a un terzo socio, Schmidt, pure lui diventato protagonista della transizione da motore di ricerca a laboratorio a tutto campo del futuro.