Intervista al presidente di i3P di Torino, che candida le sue 5 migliori startup del 2015 e avverte: «Le startup sono fonte di innovazione imprescindibile aziende e PA»
In vista dell’Open Summit di StartupItalia! del 14 di dicembre, cominciamo una serie di interviste per capire tramite i protagonisti dell’ecosistema italiano delle startup cosa ci lascia il 2015. Trend, cose positive e cose da migliorare. Cominciamo con Marco Cantamessa, dal 2008 presidente di I3P, incubatore del Politecnico di Torino.
Com’è stato il 2015 delle startup secondo il tuo osservatorio?
Un anno in crescita, sicuramente positivo. Sono aumentati del 20 percento tutti i nostri numeri. Le domande, i progetti incubati. Ma soprattutto abbiamo registrato un notevole incremento negli investimenti seed, che sono arrivati a 3 milioni. Altra cosa interessante è l’esser riusciti ad attrarre startup dall’estero, oggi sono 4. Nate negli Stati Uniti, e che poi hanno scelto Torino come sede operativa in Europa. Anche l’interesse da parte delle aziende per le startup è cresciuto. E’ quello che vogliamo, ed è un bene. Ma si porta con sé anche alcune ombre. Perché ad oggi è difficile far chiudere degli accordi commerciali tra startup e imprese. O si fanno in tempi troppo lenti.
Se l’innovazione fosse cibo, avremmo una situazione in cui ci sono cuochi che ne preparano, e tanto, di fronte una platea di anoressici
Invece in generale, guardando all’insieme dell’ecosistema italiano?
«Anche qui vedo un progresso significativo. Abbiamo visto qualche investimento in più, anche robusto, e anche delle exit importanti. Questo vuol dire che questa cosa che chiamiamo ecosistema startup si può fare. Anche in Italia. E il fatto che grossi round di investimento siano stati fatti con fondi esteri ne è la conferma. Abbiamo riacquisito credibilità all’estero. Anche sul lato investimenti, anche se nel nostro piccolo».
Quali sono le 3 startup che hanno fatto bene nel 2015 dal tuo osservatorio, e perché?
«Ne indico 4. Safen, Pony0Emissioni, W4E (Wave for energy), Scloby, Actions. Sono quelle che più sono maturate nei numeri e nelle prospettive».
Tra queste quale candideresti a «startup dell’anno»?
«E’ difficile, ma direi W4E (Wave for energy), magari meno sexy di tutte, ma è quella che più mi ha colpito. Ha saputo trasformare i risultati di una ricerca pluriennale in una soluzione concreta e di grande interesse per la generazione di energia rinnovabile».
Cosa ti aspetti dall’Open Summit?
«Che sia una festa delle startup da dove emerga bene l’energia che c’è in Italia in questo settore. E ce n’è tanta, davvero».
Cosa può migliorare nel 2016?
«La domanda di innovazione in Italia. Bisogna far sì che le aziende e le pubbliche amministrazioni abbiano il coraggio di comprare beni e servizi dalle startup, e che capiscano che quello è un modo molto efficace per diventare competitivi. Oggi in Italia abbiamo 4mila startup, e tutte insieme fatturano circa mezzo miliardo di euro, segno che le altre aziende comprano ancora pochissimo dalle startup. E’ che manca la cultura dell’innovazione, che ti porta a sperimentare nuove soluzioni per diventare più competitivi. Azzardo una metafora: se l’innovazione fosse cibo, avremmo una situazione in cui ci sono cuochi, magari un po’ inesperti, che ne preparano, e tanto, e di fronte una platea di anoressici. E’ vero, sono cuochi in erba. Ma aziende e PA dovrebbero imparare a fidarsi di più e passare dalle parole agli ordini».
Arcangelo Rociola
@arcamasilum