La decisione di un giudice federale americano contro un famoso patent troll, riapre, e forse chiude, la questione della brevettabilità del software
I brevetti sul software sono un peso morto per l’economia del paese e minacciano la libertà d’espressione protetta dal primo emendamento.
Queste parole, pronunciate da una Corte d’appello federale potrebbero mettere una pietra tombale sul tema della brevettabilità del software e anche sulle tradizionali tutele imposte attraverso il copyright.
Nessun brevetto su quegli antivirus
Quello su cui venerdì scorso è stata chiamata a decidere una corte federale (15-1769-opinion-9-28-2016-1) è uno dei primi casi che coinvolge il settore della cybersecurity in quanto la decisione si riferisce a una causa intentata da Intellectual Ventures a due famose compagnie produttrici di anti-virus: Symantec e Trend.
A completare il quadro la definizione, sempre della corte, di “patent troll” riferita agli appellanti, che nell’ambiente sono noti per sfruttare vecchie idee, brevettarle e poi usarne il riconoscimento di proprietà per fare causa ad aziende che invece il software lo producono per davvero.
La rivendicazione di questi brevetti è stata una volta ancora definita astratta per un motivo: le idee non possono essere brevettate e, ancora di più non possono esserlo se non rappresentano un miglioramento dei computer stessi.
Come sottolinea il giornalista di Fortune che per primo ha riportato la vicenda, esiste una sentenza della Corte suprema americana del 2014 che avrebbe dovuto mettere fine al dibattito riferendosi a un procedimento che riguardava il funzionamento stesso di Internet noto come “Alice”. Ma il pezzo forte della decisione è questo: “Il software si situa nell’anticamera delle invenzioni brevettabili. Questo perché il software genericamente implementato è una “idea” collegata in maniera insufficiente a una struttura fisica diversa da un computer standard, ed è solo il precursore della tecnologia ma non la tecnologia stessa.”
Brevetti software, una minaccia per il Free Speech
La decisione è significativa poiché il giudice ha affrontato il tema nel contesto più ampio della tecnologia e dei monopoli governativi affermando che la proprietà intellettuale può limitare la libertà d’espressione garantita dal primo emendamento e dal concetto di fair use che andrebbe applicato anche ai brevetti. Anzi è andato oltre, dicendo che tale salvaguardia può essere individuata nella Sezione 101 del Patent Act, la legge sui brevetti, che dice che “le idee astratte non possono essere brevettate”.
Il giudice Mayer, citando la American Civil Liberties Union e la Electronic Frontier Foundation, ha scritto testualmente:
“As the most participatory form of mass speech yet developed, the Internet deserves the highest protection from governmental intrusion.” […] A robust application of section 101 at the outset of litigation will ensure that the essential channels of online communication remain “free to all men and reserved exclusively to none.” Most of the First Amendment concerns associated with patent protection could be avoided if this court were willing to acknowledge that Alice sounded the death knell for software patents.
Il linguaggio non si brevetta
Insomma, il software è un tipo di linguaggio e la proprietà intellettuale dovrebbe essere limitata a libri e musica. In effetti , pensate cosa accadrebbe se qualcuno brevettasse l’alfabeto, i dialetti o le lingue. Saremmo costretti a pagare per il sistema operativo basico della nostra società, e ogni parola che ci consente di sopravvivere e cooperare. Una tesi cara a Richard Stallman, creatore del free software e Bruce Perens, che ha coniato insieme ad altri la Open Source Definition.
Il giudice Mayer inoltre non ha rinunciato a criticare l’attuale sistema brevettuale statunitense che è costoso e danneggia le compagnie che producono prodotti e offrono lavoro.
Fortunatamente da più parti si registra come questo accade in un contesto in cui compagnie come Intellectual Ventures hanno raccolto miliardi di dollari per sfruttare brevetti ma le decisioni delle corti e il cambiamento di alcuni processi del Patent Office hanno reso il patent trolling meno profittevole.