Intervista al capo di IBM Europe per i Big Data che racconta il modello della multinazionale per conquistare il mercato dei dati, grazie alle startup
Se la crescita esponenziale dei Big Data è un elemento ormai acquisito (nel 2013 se ne sono prodotti 28 mila gigabyte al secondo e per il 2018 se ne prevedono 50 mila), la corsa è verso gli strumenti in grado di tradurre l’enorme mole di dati prodotti in ogni ambito della digital life, perché le aziende possano utilizzarli. Per le imprese è caccia alle startup e ai talenti della Data Driven Innovation: un approccio, un percorso di quelle aziende che fondano i propri processi decisionali sulle conoscenze generate dai dati.
All’Università Roma Tre, in questi giorni, c’è il Data Driven Innovation Rome 2016 Open Summit, appuntamento organizzato da Codemotion e Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei” per fare il punto sul tema. Sostenitori dell’iniziativa IBM, Google, TIM #WCAP Accelerator e Cerved. Fra gli speaker anche Stefano Stinchi, 52 anni, originario di Napoli, fino al 2015 Vice President Cloud Software IBM Europe, ora Digital Transformation Leader Enterprise IBM, da 25 anni nel colosso dell’informatica. «IBM considera i Big Data – ha detto – un enorme opportunità di business. A oggi l’80% di queste informazioni sono dark, riuscire a scoperchiare questo vaso di Pandora è determinante». Con Stefano Stinchi abbiamo parlato di Big Data, di cloud, talenti, startup e di come si ci sia «bisogno del contributo di tutti» per crescere.
Big Data, da dove si comincia?
Prima di tutti i Big Data non vanno affrontati secondo il paradigma computazionale con cui si sono gestiti i computer finora. La Legge di Moore, basata sulla separazione fra harware e software, non può essere utilizzata per i Big Data. Serve un approccio cognitivo.
Che vuol dire approccio cognitivo?
I dati crescono molto più velocemente della potenza computazionale (quella dei computer). O rallentiamo, o creiamo computer sempre più potenti. Una partita persa. Il computer cognitivo è invece un computer che ragiona, comprende e impara. Così si affrontano i Big Data.
Come Watson il computer cognitivo a cui state lavorando?
Dopo aver sviluppato Watson, anziché chiuderlo in un cassetto, lo abbiamo portato su Cloud, aperto le API, messo tutto su una piattaforma che si chiama Bluemix. In questo modo startup e sviluppatori possono far crescere questa tecnologia. E’ una strada lunga e abbiamo bisogno del contributo di tutti.
Talenti e startup, che rapporto ha IBM con l’open innovation?
Con le startup facciamo scouting continuo, abbiamo uno smart camp con cui le selezioniamo, offrendo loro un programma che mette a disposizione la nostra piattaforma. Un rapporto molto intenso, direi. Con due centri di eccellenza, in Inghilterra e Israele.
Ci può fare qualche esempio di startup entrata nell’orbita IBM?
L’israeliana Optibus, che ha sviluppato su Blue Mix appunto una piattaforma per la definizione degli orari dei bus e dei trasporti pubblici. L’esigenza è come gestire una rete di trasporti complessa. “E’ la prima startup in cui non ho la stanza dei server” mi ha detto il CEO quando ci siamo incontrati.
Che tipo di rapporto ha IBM con Optibus?
Non è un acquisizione, IBM gli ha fornito tecnologia, è una partnership. In generale, vogliamo continuare a fare partnership e costruire un network di startup. Per trarre il massimo beneficio dall’intelligenza della folla.
Un altro esempio di rilievo di partnership con una startup?
Lavoriamo con Trailze, una startup il cui lavoro comincia quando finisce il manto stradale, che mappa percorsi non consueti. Un navigator per passeggiate a piedi. Anche in questo caso, IBM ha fornito la propria tecnologia, la startup ha fatto il secondo giro di founding con i venture capital.
Due partnership nello stesso settore.
Il settore della mobilità è molto vivace.
Quanto investe IBM ogni anni in open innovation?
Il dato è riservato, posso solo dire che è rilevante. Vogliamo portare quanti più sviluppatori possibile sulla nostra piattaforma Blue Mix.
Tre caratteri che deve avere una startup per colpire l’attenzione di IBM?
Deve lavorare nel cognitive computing. Deve essere il più disruptive possibile. Deve avere un piano di business: avere cioè un piano per un impatto reale e importante sul mercato e sulla società.