Uno dei più grandi player europei nel settore delle rinnovabili e dell’energy management spiega la sua strategia. «Non ci limitiamo a finanziare l’innovazione delle newco ma ne diventiamo parte attiva»
Quando il Gruppo Italeaf cominciò la sua strategia di open innovation, fece quello che fanno un po’ tutti: una call aperta per cercare progetti interessanti nel suo settore di specializzazione, il cleantech. Italeaf nasce nel 2012 dalla riorganizzazione del Gruppo Terni Research che, attraverso la controllata TerniEnergia, è uno dei più grandi player europei nel settore delle rinnovabili e dell’energy management. Già alla prima call, in Italeaf si accorsero che c’era qualcosa che non andava: «Non sono arrivati progetti concepiti su scala industriale, c’erano pochi team adeguati e tante idee senza un modello di business o una strategia di sviluppo», spiega Federico Zacaglioni, Head communication manager, che ci fa da guida nell’articolata visione del gruppo. «Da allora il nostro percorso», spiega Zacaglioni, «è andato per tentativi ed errori».
Per comprenderlo, il primo aspetto da prendere in considerazione è il territorio, l’Umbria meridionale, uno dei luoghi della prima industrializzazione d’Italia, che ha scontato la crisi delle acciaierie, una regione cuscinetto tra Nord e Sud, terra di investimenti di multinazionali straniere oppure di aziende familiari. È questo il contesto in cui nascono Terni Research e TerniEnergia, nel 2005, poi Italeaf, nel 2012, con la nuova sede in un’area industriale di 24 ettari dove si producevano fertilizzanti e prodotti chimici di base.
Dalla crescita impetuosa all’azionariato diffuso
Nei primi anni di attività del gruppo, Terni Research era la controllante e TerniEnergia la società operativa. Ha vissuto un’iniziale crescita impetuosa con l’installazione di impianti fotovoltaici, settore nel quale è stata negli anni del boom italiano tra i primi dieci system integrator nel mondo sia per impianti che per megawatt. Nel 2008 c’è stata la quotazione di TerniEnergia in Borsa (segmento STAR), poi nel 2010 l’acquisizione della grande area industriale il cui ultimo utilizzatore era stata la norvegese Yara che opera nel settore dei fertilizzanti.
Siamo a Nera Montoro, comune di Narni, a quattro chilometri dal casello autostradale di Orte. Questa acquisizione real estate è stata il primo passo per la strategia di diversificazione e open innovation: contenitore che aspettava il contenuto. Nel 2012 c’è stata la riorganizzazione nel gruppo (che nel frattempo con Terni Green aveva sviluppato anche un fiorente business nel riuso dei pneumatici e nel waste management) ed è nata Italeaf, quotata al NASDAQ First North di Stoccolma. Oggi Italeaf ha un azionariato diffuso con più di 100 azionisti e il Gruppo ha prodotto ricavi nel 2015 per 371 milioni di euro, con un utile netto consolidato di 2,5 milioni di euro.
Il company building e la fabbrica di fabbriche
Il metodo sviluppato “per tentativi ed errori” ha prodotto quello che Stefano Neri, presidente di Italeaf, definisce «un nuovo paradigma collaborativo tra industria e startup. Non ci limitiamo a finanziare l’innovazione delle newco ma ne diventiamo parte attiva, mettendo in comune idee, beni e proprietà intellettuale, condividendone rischi e benefici».
La base è un modello di scouting lontano da quello che si usa di solito nell’ecosistema innovativo italiano: «Non ci interessano le startup da pitch, insomma», è la sintesi di Zacaglioni. «Con questo tipo di realtà, dialogano meglio i fondi di venture capital, noi siamo più grandi di un business angel e non ci interessa mettere il chip in piccole società, abbiamo bisogno di idee su scala industriale e siamo impegnati in business che, per loro natura, sono spesso capital intensive».
È così che nasce il modello di “company building” di Italeaf: «Ci consideriamo proprio così: una fabbrica di fabbriche, la dimensione industriale è il primo aspetto che andiamo a guardare». Tecnicamente, secondo la legge sulle startup innovative, non si tratta nemmeno di startup (non possono esserlo il tipo di aziende che mira a creare Italeaf) ma di newco innovative ad alto tasso di crescita. Per crearle, Italeaf non fa call ma uno scouting diretto e informale, con le università, con partner come Italia Startup, IBAN, Unicredit e Intesa Sanpaolo, che la porta a valutare più di 100 progetti ogni anno.
L’acquisizione di Greenled Industry
Il caso che spiega meglio come lavora Italeaf con l’innovazione è quello dell’acquisizione di Greenled Industry, la prima in ordine di tempo di questo piano di open innovation. Greenled nasce da un prodotto sviluppato all’interno di una PMI in Umbria, una lampada LED capace di illuminare grandi complessi energivori con temperature difficili da reggere: forni, vetrerie, cementifici.
Il prodotto era una “bella addormentata” all’interno di un’azienda che non aveva né le dimensioni né il business model per passare dal prototipo all’industrializzazione. Intorno a questa “bella addormentata” è stato creato uno spin off ed è nata nel giugno 2013 Greenled, che nel tempo è diventata il primo fornitore di TerniEnergia e poi da TerniEnergia è stata acquisita nel gennaio 2016 per 3,5 milioni di euro.
Tra i futuri sbocchi di mercato, anche l’illuminazione stradale e quella industriale. Dopo l’acquisizione, Nicola Romito, allora amministratore delegato di Italeaf (oggi impegnato passato a guidare l’advisor Power Capital), ha dichiarato: «Questa operazione è un ottimo esempio di “open innovation”, paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso ad idee esterne e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche».
Un turnover di 8 startup in 3 anni
Secondo il piano industriale, a regime, l’open innovation di Italeaf dovrebbe avere un turnover di 8 startup nel triennio. A oggi, oltre a Greenled, sono stati tre gli investimenti in newco fatti dal gruppo. C’è Skyrobotic, che nasce dalla collaborazione con Siralab Robotics, uno spin off dell’Università di Perugia con quasi un decennio di esperienza nella ricerca e sviluppo e nell’engineering. Il risultato dell’investimento è stato la creazione di Skyrobotic, con in pancia il know how dei cofounder e gli investimenti di Italeaf, che oggi è un’azienda leader nella produzione di droni mini e micro (sotto i 25 kg) con certificazione areonautica, da utilizzare nella raccolta dati e nel monitoraggio ambientale, dai vigili del fuoco al cantiere di Expo.
La terza newco è Wisave, che nasce dall’esperienza di Energy System, una engineering boutique di Lecce, il cui team di ingegneri aveva sviluppato il brevetto per un termostato intelligente «alla Nest», adatto a gestire la temperatura di grandi cluster di edifici. L’ingresso di Italeaf con un seed iniziale di 120mila euro e un successivo round di equity financing da 600mila euro ha permesso uno sviluppo industriale massivo, che guarda all’Asia Pacifico e che è partito dall’installazione nell’Hong Kong Science and Technology Park. Infine, Numanova.
Una società che produce polveri di metallo per la manifattura 3D, capitalizzata da Italeaf 2,3 milioni di euro (è stato appena chiuso un aumento di capitale da 650mila euro) e creata dalle esperienze e know-how di un gruppo di ingegneri, promotori della startup innovativa Seamthesis, cofounder della newco con Italeaf. L’obiettivo è diventare leader nazionali, in una domanda, quella dei materiali per stampa 3d, che cresce a doppia cifra e un futuro investimento per arrivare alla produzione di 10/12 milioni di euro. Numanova è interessante anche perché chiude il cerchio del rapporto con il territorio, la tradizione metallurgica dell’Umbria che arriva nella modernità e diventa un fornitore per la manifattura digitale e l’industria 4.0.