E’ un’app italiana e… no, Do Eat Better non è Tripadvisor. Primo, perché usa solo le recensioni positive. Secondo, perché valuta il piatto
Andare in un ristorante che si vuole provare da tempo e ritrovarsi davanti il piatto sbagliato: è un’esperienza che probabilmente è capitata a tutti. C’è chi però da questa esperienza fastidiosa ha deciso di trarne un business. Daniele Tardivelli, dopo l’ennesima cattiva scelta a cena, dopo l’ennesimo piatto che si è trovato a invidiare al suo vicino, ha pensato: e se tutte le foto di cibo disponibili sui social potessero servire ad evitare questo passo falso, a creare una guida? La risposta è un’app, Do Eat Better.
A imbarcarsi in questa avventura con Tardivelli ci sono Nicola Dongo, 33 anni, esperto in ricerche di mercato e marketing, e Giorgio Montefusco, stessa età ed esperto di marketing digitale.
Un’app che considera solo le recensioni positive
«Oggi online ci sono più di 300 milioni di post dedicati al cibo. Ci siamo fatti una domanda: e se postare sui social, oltre che essere divertente, diventasse utile? E abbiamo iniziato a lavorare alla nostra app», spiega Tardivelli. L’avventura comincia con 15 mila euro di capitale sociale e il know how di 3 persone abituate a lavorare con numeri, marketing e digitale. «Ci sono tanti portali che indicano i piatti top italiani, ma di solito si tratta di indicazioni generiche o di ristoranti stellati. Vogliamo offrire una guida per tutte le tasche, offrendo visibilità anche alla piccola trattoria, se sa fare il suo lavoro. Il marchio di qualità è creato e offerto dagli stessi consumatori».
Qualcuno potrebbe dire che per quello c’è TripAdvisor, ma sbaglierebbe. «Innanzitutto su TripAdvisor non sempre viene indicato il piatto che si è consumato e che è piaciuto. Si parla del servizio, della location, non solo di cibo. Inoltre non ammettiamo recensioni negative: chiediamo all’utente di segnalare solo i piatti che gli sono piaciuti, in modo da creare un servizio win-win sia per i clienti che per i ristoratori». Quindi ciò che non c’è su Do Eat Better, o non è recensito o non è all’altezza.
Tre modelli di business (ispirati da Facebook)
Il modello di business imiterà Facebook: «Qualora si riuscisse a raggiungere una massa critica di pubblico, su Do Eat Better proporremo annunci targettizzati verso le persone interessate al mondo del food, che vanno a cena fuori. Rispetto a Facebook però andremo molto più in profondità, riuscendo a segmentare il pubblico anche in base a quale portata preferiscono», spiega l’ideatore del progetto. Ma c’è un’altra strada che l’app potrebbe imboccare per sviluppare un modello di business vincente. «Vorremmo esplorare la possibilità di offrire ai ristoratori un servizio di customizzazione della propria pagina sul nostro portale. Con un abbonamento basso, 3 euro al mese, si potranno anche fare offerte speciali». La terza opzione permetterà ai ristoranti di rientrare tra i “consigliati dalla redazione».
Raccontata così, sembra che Do Eat Better sia nata per sedurre i ristoratori, ma in realtà il trio che ha progettato l’app si sta concentrando sugli utenti: «Cerchiamo food blogger, persone abituata a recensire i piatti, li stiamo coinvolgendo come ambassador per creare un database e portare attraverso loro, l’app ai ristoratori». Il passo successivo sarà quello di arrivare agli utenti via social e attraverso i ristoranti, invitando i clienti a provare l’app. Progetti come Do Eat Better fanno presumere che il futuro dell’economia food, più che sulle tavole, si giochi fra app, web e social: «Abbiamo capito che fotografare il cibo è una moda molto diffusa soprattutto all’estero. Inoltre il web sembra dominare le scelte del consumatore, noi vogliamo orientarla ancora di più».
Stefania Leo
@StefaniaLeo