Al +Lab, laboratorio del Politecnico di Milano, usano i banconi che furono di Giulio Natta, Premio Nobel per la chimica nel 1963. Sopra ci sono stampanti 3D e intorno progetti innovativi e l’atmosfera della vera ricerca. Qui la storia di un luogo speciale, fatto di stagioni e musica.
«Sì, sono proprio loro. I banconi originali del laboratorio di chimica analitica di Giulio Natta». Li guardo. Lievemente sfioro il legno e provo a immaginare. Su quelle superfici sono state scritte pagine importanti della storia scientifica del nostro Paese. Ritraggo la mano, istintivamente. Come se con il mio gesto potessi rovinare il lavoro di uno dei più grandi luminari italiani, Premio Nobel per la chimica nel 1963.
Oltre cinquant’anni dopo, sopra quegli stessi banconi, ci sono stampanti 3D e tecnologie di ultima generazione. Mi guardo intorno, l’atmosfera non è cambiata. Giovani scienziati, con il loro camice bianco, sperimentano e creano, unendo tradizione e innovazione.
Il futuro scalpita, rumoroso e brulicante di idee.
«Benvenuto al +Lab» mi dice Marinella Levi, professoressa del Politecnico di Milano e responsabile di uno dei laboratori più stimolanti che abbia mai visto.
Esistenze, stagioni, vita.
La prima cosa che colpisce di Marinella Levi sono, senza dubbio, i capelli rossi. L’ultima, quella che non si scorda, è la tenacia nel voler cambiare il mondo che la circonda. Con grande forza di volontà ed estrema gentilezza. Con la formazione, lo studio, la pratica. Attraverso l’essenza vera della ricerca, quella che porta risultati esaltando l’intelligenza e le capacità degli allievi.
«Abbiamo lottato per questo luogo. Anche di fronte a scetticismi e ostruzioni». Per accedervi bisogna superare una porta rossa, un po’ nascosta, al quarto piano del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica che porta il nome dello stesso Natta. «Sarebbe dovuto nascere qualcosa di ancora più importante, con il supporto di alcuni imprenditori, nell’estate del 2012. Poi, all’ultimo, si sono tirati indietro. Sono ripartita da zero. Ma alla fine ho incontrato dei ragazzi che mi hanno dato una grande mano. Ed eccoci qua».
Siamo davanti ad una vecchia Ultimaker, conservata come una reliquia senza teca: «Siamo partiti da qui, da questa stampante 3D». Insieme a un gruppo affiatato di giovani talenti, a cui ne sono seguiti altri.
Come le stagioni. Armoniche e ritmiche. Realmente musicali.
La prima stagione: la nascita di +LAB
«Tutto cominciò ad un evento. Lo organizzarono Zoe Romano e Costantino Bongiorno, oggi a capo di WeMake. Il titolo me lo ricordo ancora, nonostante gli anni: Illustra ai tuoi nonni le meraviglie della stampa 3D».
Quella che mi viene raccontata è una giornata strana, un po’ sfocata, in cui avviene l’inimmaginabile. Le stampanti portate da casa dai partecipanti s’inchiodano quasi tutte. Si salvano tre Wasp, le stampanti di Massimo Moretti, che funzionano a pieno regime.
Alla fine è una giornata di quelle che non si dimenticano. Sliding doors, le chiamano. Marinella Levi incontra due giovani ragazzi, Francesco e Tiziano. Sono maker della prima ora e appassionati di quel mondo nuovo che cercava di affermarsi anche in ambito universitario. Bastano poche chiacchiere e il progetto iniziale rinasce grazie alla loro voglia e alla loro dedizione: «A gennaio del 2013 invitammo Massimo Moretti a tenere una lezione al Politecnico. Tra gli studenti c’erano anche Sara e Francesca che si unirono alla nostra squadra». Il totale? quattro musicisti e una direttrice d’orchestra.
C’è molto da fare. Si recuperano i banconi, si allestiscono gli spazi. Si comprano le prime macchine e se ne assemblano di nuove: «Abbiamo sposato il low cost per due motivi: il budget basso, certo, ma anche la possibilità di sporcarsi le mani, fin da subito». A novembre, dopo mesi di sacrifici, si inaugura festosamente il +Lab. Da quel momento i ragazzi iniziano a sviluppare i loro progetti di tesi contribuendo alla crescita dell’ecosistema. «Sai… oggi Francesco è diventato un artista vero! È in Svizzera e stampa in 3D opere in ceramica».
La seconda stagione: artigianato, fiere e un pizzico di brevetti.
I primi ragazzi si laureano o, a malincuore, prendono la loro strada. Il +Lab è un luogo di passaggio in cui si lascia una traccia, un’orma, prima di ripartire per il proprio viaggio. Ma gli strumenti, che nel frattempo si sono più che moltiplicati, vengono presi in mano da nuovi interpreti. È il 2014. Tra le nuove leve ci sono Valerio e Gabriele. Sono ancora loro a guidare lo staff attuale, fatto da 5 figure stabili e molti altri collaboratori: «Nessuno di loro lavora qui gratis, ci tengo a sottolinearlo. Ogni giorno vengono per scoprire nuove cose, rimboccarsi le maniche, raggiungere dei risultati e coltivare i loro sogni».
Gabriele lavora su materiali compositi a fibra lunga. Soprattutto in ambito nautico. La sua soluzione ha generato un brevetto che, nel prossimo futuro, potrebbe diventare una startup: «Il nostro approccio è al 90% open source» confida la Prof Levi (così la trovate su Facebook): «Il restante 10% serve a far sì che i ragazzi possano trasformare il loro lavoro di ricerca in qualcosa di concreto e costruirsi un futuro solido. È una protezione».
Valerio, invece, ha dedicato i suoi studi ad approfondire il rapporto tra artigianato e stampa 3D: «Abbiamo partecipato alla seconda Maker Faire Rome» ricorda la professoressa Levi. «Durante quelle giornate Valerio ha conosciuto Angelo Bongio responsabile del FaberLab di Varese. Stringendo un’intesa con lui è diventato un vero e indispensabile punto di riferimento per le aziende del territorio».
Sì alle fiere, no ai convegni
Fin da subito, il +Lab fa una scelta netta: «Non partecipiamo ai convegni ma alle fiere». Andare da chi sa fare oltre che parlare; da chi si sporca le mani oltre che reggere un microfono tra le mani: «Il primo fu il MECSPE di Parma. Con il nostro banchetto raccontammo cosa facevamo e cosa avremmo voluto fare. Capimmo che quello era il nostro posto».
In fondo è una questione di mentalità e di decisioni da prendere, pavimenti da calpestare e mani da stringere.
Poi sono arrivate le varie edizioni delle Maker Faire, il 3D Print Hub e altre manifestazioni. Vivere l’evoluzione dell’industria 4.0, passo dopo passo.
Terza stagione: un concerto in divenire
Nel 2015 il laboratorio si popola ancora. Sempre più studenti chiedono alla Professoressa Levi di essere seguiti nella tesi e di mettere piede in laboratorio. Così il +Lab ampia il suo impegno su più fronti: lavora con le aziende, porta avanti progetti per l’Università, si occupa di venire incontro alle esigenze dei disabili, anche collaborando a iniziative pregevoli come la torinese Hackability, una gara non competitiva tra team composti da persone con disabilità, maker e designer.
Dai tutori stampati in 3D, e termoformati a caldo sull’arto dell’utente, alle forchette il cui design è studiato per adattarsi alle esigenze delle persone con disabilità; dallo stivatappi che supporta coloro che soffrono di patologie reumatiche al cursore che si fissa sulle zip, facilitando l’afferraggio e l’apertura.
E contemporaneamente arrivano le collaborazioni anche con enti pubblici e musei. Un esempio? Al +Lab hanno stampato in 3D l’intera città di Paperopoli con tanto di Deposito e mappa reale: dalla casa di Paperino a quella di Archimede. Un plastico reale, credetemi, capace di far tornare tutti bambini.
Un progetto ambizioso: la 3DTeca
Ma il lavoro più affascinante, dal mio punto di vista, è la 3DTeca. Si tratta di un progetto di riordino dei più rilevanti lavori di stampa 3D effettuati al +LAB. Un catalogo tassonomico, fisico, con una tangibile presenza che possa però evolversi nel tempo. Uno schema preciso e organizzato in base alla tipologia di ogni singolo pezzo, oggi singolo materiale. Una sorta di enciclopedia in completo divenire.
E c’è di più: «Con Sara abbiamo costruito un percorso analitico, Il senso della Z. Oltre a studiare tutti gli attori che calcano il palcoscenico della stampa 3D, abbiamo cercato di fornire delle linee guida che potessero descrivere tutte le caratteristiche, le opportunità, le qualità espressive e sensoriali di questo mondo».
Una mattinata volata, una sinfonia
Chiacchiero con la professoressa Levi da un paio di ore. Ho sfogliato le tesi di laurea che, in realtà, sono veri libri. Opere allergiche alla polvere. Sento il rumore delle stampanti che producono, le voci dei ragazzi che si confrontano. Ogni tanto, qualcuno di loro entra in ufficio, mostra un oggetto e riparte.
Sembra un concerto studiato a tavolino e invece è la realtà.
Tra qualche mese alcuni di questi ragazzi completeranno il loro percorso di studi e applicheranno quello che hanno imparato nel mondo che sta al di là di quella porta rossa. Al loro posto, però, arriverà una quarta stagione. Insieme a nuove macchine, nuove commissioni, nuovi esperimenti. Così saluto la professoressa Levi augurandole di non cambiare mai. Volgo il mio sguardo, un’ultima volta, a quei banconi e penso che Giulio Natta, in fondo, non sarebbe stato affatto dispiaciuto dell’uso fatto della sua “fisica”, e non solo, eredità.
Alessandro Frau