Esteban crea dei robot dai rottami e dai rifiuti. Come Wall-E. Ora coltiva il sogno di studiare e migliorare le sue doti. Storia di un talento che ha trovato la sua via e che migliorerà il mondo.
Esteban Quipse ha 17 anni e abita in un piccolo paese della Bolivia dal nome difficile: Patacamaya. È una zona rurale, di soli 12mila abitanti, non molto lontana dalla capitale La Paz. Qui, nella sua camera, il giovane si circonda di scarti, rifiuti, cose gettate via e raccattate dalla discarica: cavi, lampadine, lastre di metallo. «Mi servono per costruire i miei robot». Dice. Da autodidatta perché nessuno gli ha insegnato come si fa: «Alla fine è solo una questione di pratica». Basta osservare, provare, sbagliare. E sognare quello che il mondo intorno a te non ti concede.
Il fascino dell’America e un amico speciale
In un luogo così povero non ci sono grandi possibilità per i ragazzi come Esteban. Ed è facile, allora, rimanere affascinati dalla cultura, dal cinema, dall’animazione prodotta dal mondo occidentale. Un mondo luccicante, fato di echi e richiami, che in Bolivia arriva anni dopo. Un mondo che, in fondo, non è così difficile da imitare. Ad esempio, sulla scrivania della sua camera, c’è una macchina giocattolo che è stata costruita seguendo il modello di KITT, l’automobile del telefilm Knight Rider, visto nella vecchia televisione di famiglia.
Ma la vita di Esteban cambia grazie a un lungometraggio animato. Wall-E, il robot della Pixar. Per il ragazzo è come trovarsi davanti a uno specchio. Così decide di costruirlo, di avere un amico identico, fatto con le sue mani. Ci riesce, in pochi anni, e vince anche un premio scolastico. Quel progetto è una molla, una spinta. E non stupisce capire il perché. In fondo Wall-E ha lo stesso desiderio di Esteban: combattere la solitudine costruendo un mondo alternativo. Anche dai rifiuti.
Non è per caso che Esteban si è concentrato sulla raccolta dei rifiuti elettronici: «Sono più pericolosi, dannosi per l’ambiente, facili da riutilizzare. Ma la gente qui non capisce l’importanza di differenziare e riciclare». Ci sono altri problemi, altre priorità.
Sono un po’ come Wall-E. Vorrei davvero che la Bolivia fosse un paese meno inquinato e più ricco
Un talento scoperto nell’infanzia
Esteban ha costruito il suo primo robot a 10 anni. Pochi mesi dopo è già in strada a vendere i suoi piccoli artefatti meccanici. Come un ambulante. Basta un tavolo, una sedia, le persone si avvicinano naturalmente. Sono stupite. Non è facile vedere prodotti simili in giro.
Le opere, perché si tratta di arte e non solo di prodotti, sono originali, nuove. Accanto a Esteban ci sono il fratello più giovane, Hernan, e alcuni suoi amici. Si cresce così. Vendendo i frutti del proprio talento e portando un piccolo contributo a casa: «I miei genitori, con quei soldini, ci compravano i libri per la scuola». Un investimento, fruttuoso. Un aiuto, importante.
La discarica come seconda casa
Un paio di volte a settimana, Esteban ha un appuntamento fisso. Esce di casa per percorrere le vie sterrate che collegano la sua casa alla discarica. Fruga e raccoglie. Mette da parte, immagina. Colleziona oggetti a cui promette di dare una seconda vita: lampadine di ogni dimensione, cavi elettrici, piastre di metallo, viti e bulloni.
«Non è l’ideale. Ma qui, in questa discarica, trovo tutti quei materiali che non potrei permettermi. Sono gratis perché nessuno ha pensato di dare loro una seconda opportunità. Non so bene cosa farò degli oggetti che trovo ma, alla fine, ognuno di loro si rivela utile per qualche progetto».
Non c’è neanche tanta concorrenza. Esteban è l’unico, in tutto il territorio, a costruire robot.
Un software per Wall-E
Il rapporto con Wall-E è lo stesso che ciascuno di noi ha avuto, da bambino, con il proprio peluche preferito. Per farlo muovere Esteban ha dovuto studiare come non mai e sviluppare un rudimentale software con il suo telefonino: «Ora risponde ai comandi. Non sempre, certo. Però si muove, reagisce. Sembra vivo».
Sacrificio dopo sacrifico e aiuto dopo aiuto, il progetto Wall-E cresce. Sono molte le persone che hanno conosciuto la storia del 17enne e che cercano di aiutarlo come possono. L’obiettivo è quello di migliorare il robot, far sì che possa riconoscere i comandi vocali e agire di conseguenza: «Spero un giorno di poterne vendere tanti. A quanto? circa 11mila bolivianos». Ovvero, poco più di 1500 dollari americani.
Una borsa di studio da La Paz
La storia di Esteban è arrivata fino all’Università della Capitale. A settembre inizierà il suo percorso accademico, lungo cinque anni, in elettromeccanica: «Non vedo l’ora. Sarà la prima volta che lascerò, per davvero, Patacamaya». Il trasferimento in una grande città, i coetanei, l’apprendimento e la crescita personale e professionale.
Con la speranza di andare oltre e di sbarcare, una volta laureato, in Europa.
«Amo il mio Paese ma sento che in un luogo diverso, più avanzato tecnologicamente, avrei potuto inventare altre cose. Inventarle prima, inventarle meglio. Tutti qui inquinano, nessuno pensa a salvaguardare il Pianeta. Per farlo credo che dovrò andare via e poi tornare più forte e consapevole di quello che c’è da fare per far crescere la Bolivia».
Un esempio, un mondo migliore
Sono molti i giornali che si sono occupati della sua storia. Esteban è consapevole di aver fatto qualcosa che, nel suo Paese, è assai raro. Ed è per questo che spera che il suo esempio possa smuovere altri ragazzi.
«Ho lavorato con Wall-E per diversi anni, sempre in mezzo ai rifiuti. Ma è solo dopo la borsa di studio che i giornalisti si sono accorti di me. Non voglio essere famoso ma spero che la mia storia possa arrivare ad altre Università. Mi piacerebbe viaggiare ancora e imparare altre cose». Sempre con l’idea di sbagliare, migliorare e cambiare il mondo.
Alessandro Frau
@ilmercurio85