Secondo uno studio, una buona parte dei tweet scambiati prima dell’election day (circa il 20%) non sono stati scritti da umani ma da robot
“L’unico posto dove sentiamo che Donald Trump sta perdendo è nei media o nei sondaggi. La situazione è diversa nei social media, dove Donald Trump è 3 volte più popolare di Hillary Clinton su ogni piattaforma social.” Così descriveva la situazione pre-elettorale il commentatore politico Scottie Nell Hughes. Pochi giorni dopo le elezioni hanno dato ragione ai social, lasciando a bocca aperta i sostenitori democratici sicuri della vittoria. Se con Barack Obama la Casa Bianca è sbarcata ufficialmente su Twitter (nel 2009), con il neoeletto Donald Trump abbiamo assistito alle prime presidenziali native digitali in USA. I social media non hanno rappresentato solo un’alternativa alla stampa ed alla tv, ma un canale preferenziale con cui diffondere viralmente ogni gesto, frase e pensiero legato alla campagna dei candidati. Nella tempesta digitale precedente le elezioni un dato merita la nostra attenzione. Il 20% dei tweet riguardanti le elezioni americane non sono umani. Ben 400 mila tweet sono stati postati da bot. Si tratta del risultato pubblicato proprio il giorno prima delle elezioni da uno studio condotto da Alessandro Bessi ed Emilio Ferrara dell’University of Southern California Information Sciences Institutes per First Monday, rivista online specializzata nella ricerca su Internet. “Oltre a essere numerosi, sono anche abbastanza influenti, e capaci di distorcere l’opinione pubblica online”- sottolinea Emilio Ferrara raccontando la sua ricerca al MIT Technology Review. Di chi li abbia realizzati e programmati non si hanno notizie certe. Si sa tuttavia che la maggior parte di essi è stata chiaramente a favore di Trump, quando allo stesso tempo i tweet riguardanti Hillary Clinton si sono dimostrati più neutri che positivi. Un fiume di tweet e post di cui è ancora difficile stimare l’impatto reale sul consenso pubblico, ma che inevitabilmente ci spinge a riflettere sul potenziale del “lato robotico” delle elezioni.
Siamo in grado di distinguere tra umani e bot?
Ogni tweet può diventare talvolta e in maniera imprevedibile fonte di dibattito e scambio di opinioni. Tra noi umani s’intende. I grandi numeri che li caratterizzano, più che avere un effetto definito, riescono tuttavia a polarizzare l’opinione pubblica, aggregando il sentiment di tendenza (o rendendolo tale) a favore degli indecisi, offrendo un riferimento a chi si sente spaesato in un’epoca di limiti continuamente infranti, nuovi partiti, stacchi confusionari rispetto ai modelli tradizionali. Ferrara sottolinea un aspetto importante quanto inquietante emerso dallo studio: “Misuriamo quante connessioni ogni account sviluppa con altri account e quanti diversi user retwittano l’account stesso. Quel che abbiamo scoperto è che le persone non sono molto in grado di determinare se la fonte delle informazioni a cui sono esposti siano umani o artificiali”.
Sempre più intelligenti
Arricchiti dall’intelligenza artificiale, i bot sembrano sempre più umani. Le risposte diventano organiche e più personali, mentre da parte nostra siamo sempre meno in grado di distinguere post umani da quelli generati da bot. Stanno persino sviluppando abitudini e ritmi “simil umani”, come spegnersi durante le ore notturne oppure attivarsi perodicamente durante la giornata come se fossero lavoratori in pausa caffè. La loro efficacia è una crescente sfida al dibattito vero, quello umano.
Nei suoi studi sulla Psicologia delle masse, all’inizio del 1900 Gabriel Tarde dichiarò: “Oggi, una penna è capace di azionare milioni di lingue.” Si riferiva alla stampa, la comunicazione più virale a quei tempi. Oggi, è un tweet a poter azionare milioni di conversazioni. Se non addirittura i pulsanti con cui votare il proprio candidato alle presidenziali, come accaduto una manciata di giorni fa in USA.