Il nuoto ha salvato lei e altri 20 migranti che stavano per affondare nel mare Egeo: Yusra Mardini oggi è nel team ROA, composto da atleti rifugiati
Agosto 2015: l’allora 17enne Yusra Mardini sta scappando con la sua famiglia dalla guerra in Siria. Si trova su un gommone diretto in Grecia, alla fine di un viaggio durato un mese, tra spostamenti da Damasco a Beruit, Istanbul e Izmir. Ma a un certo punto la barchetta affollatissima sta per cedere, il motore si spegne: così lei, nuotatrice esperta, sua sorella Sarah e un’altra donna si tuffano in acqua e trainano il gommone fino a riva. Le tre ragazze nuotano incessantemente per oltre tre ore finché non arrivano all’isola di Lesbo salvando le 20 persone a bordo. Loro erano le uniche su quella barca a saper nuotare, le uniche che potevano compiere l’impresa. E ce l’hanno fatta. 5 agosto 2016, cominciano le Olimpiadi di Rio e Yusra Mardini competerà nella sua specialità, il nuoto. Fa parte di quella che è la prima squadra dei rifugiati della storia.
La squadra dei rifugiati
Per la prima volta nella storia l’International Olympic Commitee ha annunciato la creazione del team dei rifugiati, composto da atleti che altrimenti si troverebbero senza una bandiera. Il team ROA (Refugee Olympic Athletes) invece sarà rappresentato dalla bandiera olimpica. Oltre 40 atleti avevano fatto richiesta di partecipare ma la squadra sarà composta da 10 sportivi: oltre a Yusra, ci saranno un altro nuotatore siriano emigrato in Belgio, un maratoneta etiope che ora fa il tassista a Lussemburgo, due lottatori di judo provenienti dal Congo che ora vivono in Brasile e 5 corridori dal Sud Sudan.
Dalla guerra a Rio (passando per le piscine tedesche)
Cresciuta a Damasco, Yusra Mardini si è allenata in Siria per anni, e ha rappresentato la sua nazione ai FINA World Swimming Championships. Nel 2012 la sua casa è stata bombardata ed anche il centro dove si allenava ha subito gravi danneggiamenti dagli attacchi. Nel 2015 i giornali hanno raccontato la sua impresa, mettere in salvo le persone che erano sulla barca con lei con la forza del suo sport. “Ho pensato che sarebbe stato veramente il colmo per una nuotatrice morire annegata” ha detto a una conferenza a Berlino lo scorso marzo. Dalla Grecia, le sorelle Mardini sono riuscite a stabilizzarsi a Berlino, dove sono state messe in contatto con lo Wasserfreunde Spandau 04, uno dei più antichi club per nuotatori in città. Yusra è così tornata ad allenarsi: in qualche mese ha fatto progressi enormi, tanto da far pensare al suo allenatore, Sven Spannekrebs, che sarebbe stata in grado di competere alle Olimpiadi di Tokyo 2020.
Una medaglia in più
Ma il tempo ha ricompensato Yusra per le sue sofferenze in Siria e le ha aperto la possibilità di far parte del team dei rifugiati già quest’anno: “Un sacco di persone avrebbero potuto prendere Yusra come un modello” ha detto il coach “lei è molto concentrata, sa quali sono i suoi obiettivi e vi dedica tutta la sua vita”. Infatti per prepararsi all’Olimpiade Yusra ha lavorato sodo: si allena in una grande piscina vicino alla sua scuola, due volte al giorno: si sveglia alle 7, si allena per 2-3 ore, poi va a scuola prima e dopo pranzo e poi ricomincia gli allenamenti.
Una vita di sacrifici che tutti gli atleti conoscono bene, ma che gli sportivi del team ROA conoscono anche meglio, perché il loro allenamento è stato segnato da spostamenti, interruzioni, bombardamenti della piscina (come nel caso di Yusra). Arrivano a Rio con storie travagliate e allenamenti saltuari. Ma ci sono, e sfileranno al Maracana proprio dietro la nazionale brasiliana. Una medaglia l’hanno già vinta.