Vincenzo Di Nicola è un ingegnere abruzzese di 36 anni e per un decennio, dopo un master in Computer Science, è stato in Silicon Valley con incarichi in Yahoo! e Microsoft. Ma abbiamo sentito parlare molto di lui quando, nel 2013, ha venduto ad Amazon la sua startup, GoPago, un sistema di pagamento cloud-based co-fondato con Leo Rocco e partecipato da JP Morgan Chase. Il team di sviluppo è stato incorporato all’interno del colosso americano dell’eCommerce e la tecnologia integrata nel mondo retail fisico. Di quella exit non si è mai saputo l’importo, così come negli ultimi anni si erano anche perse un po’ le sue tracce, ma oggi rieccolo, Di Nicola, con un nuovo business: si chiama Conio, ed è una startup che promette di “aprire” i bitcoin a tutti.
Dove eravamo rimasti
Per tre anni è stato lontano dai riflettori. Rientrato a Teramo dopo l’exit, ha portato avanti anche un progetto di storia digitale nel suo ex liceo. «Insegnare e divulgare la propria esperienza alle nuove generazioni è qualcosa che dà una gioia difficile da descrivere», spiega Di Nicola. Con un gruppo di studenti ha voluto immaginare come sarebbe stata raccontata quotidianamente la tragedia della prima Guerra Mondiale se Twitter fosse esistito all’epoca.
Nessun rimpianto per la sua “ex”, GoPago, la tecnologia di mobile payment assorbita (insieme a tutto il team) da Amazon, all’interno di un nuovo sistema di pagamenti, il Local Register. Ma ora il founder teramano sta scaldando i motori per una nuova avventura imprenditoriale, in Italia.
Perché i bitcoin
Dopo essere rientrato dagli Usa inizialmente voleva dedicarsi al foodtech. «Da quando avevo 12 anni – racconta – cioè da quando la televisione si fermò per dare notizia della strage di via D’Amelio, ho sempre avuto come obiettivo dare il mio contributo per il mio Paese. Prima ritenevo che il foodtech fosse il settore giusto per farlo, perché notavo l’incredibile gap di percezione tra la grandissima qualità dei prodotti italiani e la conoscenza della loro stessa esistenza all’estero, e stavo valutando come migliorarlo. E invece…». Invece è tornato al primo amore, il fintech, quando un suo contatto a Singapore gli chiede reperirgli dell’olio di oliva e nota quanto nonostante le barriere comunicative siano state abbattute fosse ancora complicato per lui effettuare un pagamento internazionale. Alla fine l’ostacolo è stato superato facendosi pagare in bitcoin. Da lì la voglia di dedicarsi anima e corpo a fare un prodotto bitcoin, per tutti, proprio dall’Italia dove moneta e commercio hanno fatto storicamente la fortuna di Venezia, Genova e Firenze, per poi dare vita al Rinascimento.
A Conio lavorano anche sviluppatori 18enni
«Come Paese siamo stati ciclicamente all’avanguardia ed è ora finalmente di ripartire con un uno ciclo», dice l’ingegnere di Teramo. «E’ vero che è molto più difficile in Italia – ammette Di Nicola – ma è quando vedo la tenacia e la bravura di alcuni dei miei ex studenti di 16-18 anni che ora lavorano come sviluppatori software a Conio (completando le scuole superiori la sera) che mi rendo conto di aver ragione».
Certo lui che ci è stato ammette che sull’innovazione in generale, è lampante la supremazia degli Usa, che hanno anche prima di altri il valore strategico dell’informatica nel terzo millennio ed investito tanto sul settore, ma, detto questo, gli Usa non sono necessariamente il Paese di riferimento per ogni settore. Ad esempio, per quanto riguarda i mobile payments è il posto nel mondo che sta facendo di più e meglio di tutti è il Kenya.
Quello delle valute virtuali è un mondo nuovo, globale per definizione, in cui non esistono ancora chiari centri di eccellenza. Alcuni governi (come ad esempio quello britannico) ne hanno capito le potenzialità e spingono per poterne diventare il fulcro innovativo. In Italia si sta creando un ecosistema molto interessante (addirittura il prossimo mese Milano ospiterà Scaling Bitcoin, la più importante conferenza tecnica mondiale relativa ai bitcoin, di cui la startup di Di Nicola è sponsor.
In Italia meno tasse sui bitcoin
Inoltre l’Italia è all’avanguardia in materia fiscale. Primo Paese in Europa, che ha dato una interpretazione chiara sulla compravendita dei bitcoin grazie all’interpello proprio del team di Conio a cui l’Agenzia delle Entrate ha dato una risposta chiarendo la normativa fiscale sulla compravendita dei bitcoin. Con la grande notizia: non si paga alcuna tassa sui capital gain. In questo senso l’Italia si è catapultata anni luce avanti agli Usa, dove i bitcoin sono tassati, la normativa fiscale è a dir poco nebulosa e i commercialisti fanno fatica, ogni anno, a capire come adempiere alle richieste del fisco.
Questo darà un boost non indifferente all’adozione dei bitcoin in Italia. Prima si pensava che i capital gain dovessero essere dichiarati alla voce “redditi diversi”: processo assai complesso, che implica dover ricordare i prezzi di carico, venendo poi tassati all’aliquota marginale.
Ora invece è possibile comprare e vendere bitcoin sapendo di fare le cose in regola alla luce del sole e senza pagare neanche un euro di tasse: è quindi possibile effettuare acquisti di prova per piccoli importi senza complicazioni amministrative.
Next step is top secret
Conio propone di «aprire» bitcoin, considerato per lo più ancora un prodotto “di nicchia”: «Negli anni – spiega Vincenzo Di Nicola – tanti prodotti sembravano ristretti solo alla cerchia “tech-nerd”, eppure in questo esatto momento stiamo leggendo facilmente questo articolo su un browser ignorando l’estrema complessità di Internet sottostante…».
E a proposito di tecnologia sottostante, anche per Conio non è dato ancora sapere di più al momento. Ma è prossima al lancio e con un grande partner alle spalle, per affinare tutti i dettagli del prodotto (ancora riservatissimi). Obiettivo: mettere il cliente al centro, secondo il mantra delle startup early stage “break things and move fast” e con un team (dal personale amministrativo a quello di infrastruttura) ha «un’operosità “cinese” e un’ossessione “americana”» di creare un prodotto di facile utilizzo.
Emanuela Perinetti
@manuperinetti