Questo post non è un contenuto redazionale ma è a cura di Andrea Landini e Marcello Coppa (co-fondatori di CrowdChicken)
Questo post non è un contenuto redazionale ma è a cura di Andrea Landini e Marcello Coppa (co-fondatori di CrowdChicken)
Dall’11 al al 13 maggio 2016 presso l’Hotel Parchi del Garda (Pacengo di Lazise, nelle vicinanze di Gardaland) si è tenuto il Festival del Fundraising. Il Festival, giunto alla nona edizione, è l’evento clou in Italia per il mondo dei fundraiser e delle organizzazioni non profit per conto delle quali questi professionisti operano, con competenze a cavallo tra la comunicazione, il marketing e le pubbliche relazioni.
Per noi di CrowdChicken è stata la prima volta: dopo più di un anno di lavoro insieme a organizzazioni come Terre des Hommes, Emergency, Vidas, Intersos e Coopi, la nostra presenza al Festival ha segnato il crocevia verso la sfida più grande: rendere accessibili a tutte le non profit gli strumenti di fundraising online avanzati come quelli utilizzati oltreoceano da charity:water, Watsi e Pencils of Promise.
L’innovazione digitale nel settore non profit se vuole generare impatti tangibili non può essere riservata solo alle organizzazioni di grandi dimensioni.
Il grande protagonista di questa edizione è stato lo storytelling: ad esso sono state dedicate le sessioni plenarie d’apertura e di chiusura. Il video secondo Mark Zuckerberg sarà nei prossimi anni la prima forma di fruizione di Internet e YouTube ha già superato Google come motore di ricerca nelle giovani generazioni. Come tutto ciò potrebbe non influenzare chi fa del migliorare il mondo, una storia alla volta, il proprio lavoro?
Quando nel 1991 George Holliday filmò con la propria videocamera i pestaggi da parte della polizia di Los Angeles ai danni del tassista afro-americano Rodney King, fermato per eccesso di velocità, qualcosa cambiò per sempre: la forza di quelle immagini risiedeva nella loro autenticità e nel coinvolgimento diretto di chi le aveva riprese.
L’episodio accadde davanti all’abitazione di Holliday: la sua testimonianza filmata generò la consapevolezza sul ruolo che ogni persona avrebbe potuto svolgere come citizen journalist con una videocamera in mano. Su queste basi nacque Witness.org, un’organizzazione non profit che negli ultimi vent’anni è stata impegnata per la diffusione dei diritti civili in più di 80 Paesi abilitando le persone impegnate in prima fila alla realizzazione e alla diffusione di video come potente agente di cambiamento sociale.
See it. Film it. Change it.
Il punto è come raccontare delle storie in grado di informare e scuotere le persone dal torpore nel quale ciascuno di noi tende a normalizzare i problemi e le ingiustizie vicine o lontane. Non attraverso i sensi di colpa e i luoghi comuni.
Indicativo in tal senso l’impegno profuso da Abigail Disney con la sua Fork Films: il suo ultimo film The Armor of Life, è un viaggio nell’America del binomio paradossale delle persone che si definiscono allo stesso tempo pro-vita e pro-armi.
Dagli storytellers agli storymakers: il Festival si è concluso con le storie di Kumi Naidoo e Alberto Cairo. Il primo, attivista sudafricano e direttore esecutivo di Greenpeace fino al 2015, ci ha insegnato attraverso la sua testimonianza come il pretesto della legalità sia stato e sia tuttora talvolta utilizzato per istituzionalizzare le ingiustizie e alimentare inerzia verso la messa in discussione dello stato delle cose.
Possiamo ripensare cosa riteniamo accettabile e cosa non accettabile nella nostra vita e nel Mondo.
Alberto Cairo, fisioterapista e direttore del programma ortopedico della Croce Rossa in Afghanistan, dove vive e lavora da oltre 20 anni, è uno di quegli italiani dei quali andare profondamente fieri. Sotto la sua guida i centri riabilitativi oltre ad essere diventati sette e a fornire assistenza non solo alle vittime di guerra ma a tutti coloro che ne necessitano, sono evoluti in luoghi di lavoro per le persone che hanno subito menomazioni che oggi ricoprono il 97% del personale addetto. Discriminazione positiva e disabili che riabilitano altri disabili. La riabilitazione come esseri umani non passa solo da una protesi, ma necessita del lavoro che restituisce dignità e dello sviluppo delle relazioni e del tempo libero, anche in Afghanistan, anche per chi vive in uno scenario di guerra. Con una motivazione così forte puoi arrivare ovunque, anche ad organizzare da zero un campionato nazionale di basket per paraplegici che ha consentito dopo alcuni anni all’Afghanistan di avere una squadra in grado di accedere ai giochi paralimpici, guidata da Alberto Cairo in veste di team manager.
A prescindere da come la pensiate l’invito di queste due persone a sognare, andare avanti, fare mille cose, uscire dalla comfort zone quotidiana di ciascuno di noi fatta di limiti e consuetudini, ha lasciato un segno indelebile in chi li ha ascoltati.
In mezzo a questi giganti che hanno scandito l’apertura e la chiusura del Festival, c’è stato davvero molto in termini di know how nelle sessioni e nei tavoli tematici paralleli: major donors, donazioni ricorrenti, profilo dei non donatori, sviluppo di una fundraising proposition in grado di muovere le masse, user experience digitale per sostenitori e molto altro. Contenuti e tecniche spiegate da professionisti della comunicazione e responsabili comunicazione e fundraising delle ONG presenti. Da un lato è stata un’occasione per apprendere e farsi contaminare dall’esterno e dall’altro per mettere a terra e condividere quanto sperimentato all’interno delle organizzazioni non profit nell’ultimo anno, con risultati e lezioni imparate annesse.
Il profilo dell’organizzazione non profit per il presente e il prossimo futuro che esce da questo Festival è: agile, orientata al digitale, in grado di raccogliere e analizzare i dati per comprendere le motivazioni che spingono le persone ad agire e ad offrire sostegno e, soprattuto, coraggiosa abbastanza per orientare le proprie scelte in tal senso quando si tratta di comunicazione e fundraising. L’abbandono dell’auto-referenzialità in cambio di un approccio data-driven. Il modo migliore per perseguire la propria missione con una grande visione condivisa internamente e comunicata all’esterno tramite uno storytelling che utilizzi i codici e i linguaggi della contemporaneità. Potranno rinnovarsi in tal senso le organizzazioni di medie e grandi dimensioni oggi già attive, oppure rischieranno di perdere terreno e a tendere di sparire. Non potranno che svilupparsi in questa direzione le piccole organizzazioni e quelle non ancora nate ma che verranno, nel solco di quelle che negli Stati Uniti sono state definite le charitable startups. E che da charity: water a DoSomething.org stanno facendo scuola. Organizzazioni che hanno gettato le fondamenta per l’affermazione della Lean Non Profit, un modello nel quale crediamo e per il quale vogliamo dare un contributo come CrowdChicken alla sua diffusione in Italia. Uno spazio di contaminazione che si apre tra il mondo dell’innovazione e delle startup con quello delle organizzazione dedite a migliorare il mondo con fini sociali. Chi desidera confrontarsi da subito su questi temi non manchi di dircelo, troverà in noi degli interlocutori attenti e disponibili per fare le cose e farle sapere.
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Una nota di merito finale al fundraising speed dating introdotto quest’anno: 2 minuti per interagire con chi hai di fronte, suono della campana, avanti il prossimo spostandosi di un posto lungo un’infinita tavolata, un’esperienza di networking totale. Bravi, gli organizzatori del Festival, a tenere insieme in meno di 3 giorni sogno e pratica, racconto e tecnologia, opportunità e testimonianza.
Noi torniamo a casa carichi di entusiasmo e di nuovi stimoli, per i fundraiser e le organizzazioni presenti mi auguro sia lo stesso perchè su questa base si potranno fare cose nuove da domani. In attesa di rivederci e di poterci confrontare tutti insieme tra un anno, al prossimo Festival.