È l’ attesa quarta rivoluzione industriale. Cos’è l’Industria 4.0, in cosa si caratterizza, e perché sarà un termine a cui dobbiamo abituarci. Con uno scenario sul futuro del lavoro secondo Federico Pistono e Paul Graham
Anno 2007. La crisi finanziaria cominciava già a colpire l’Italia, ma in certe aree del Paese la contrazione della produzione industriale mordeva già da cinque anni almeno. I distretti industriali del tessile e del calzaturiero avevano cominciato a vendere meno. Specie quelli del Sud. Puglia, Campania, Sicilia. Gli imprenditori ne erano coscienti. Negli anni 70, 80 e 90 erano loro la «Cina d’Europa». Prezzi bassi, manodopera a basso costo, e esportazioni garantite anche dalla politica monetaria italiana. Molte di quelle aziende hanno ridotto la produzione. Moltissime hanno chiuso. Qualcuno ha delocalizzato a Est per cercare manodopera a costi ancora più bassi. Quello che restava in Italia erano (e sono) zone industriali semi desertificate.
Anno 2016. Adidas dopo 20 anni di delocalizzazione in Asia, annuncia di voler tornare a produrre in Europa. In Germania, ad Ansbach, in Baviera. Niente più manodopera a basso costo (complice il fatto che in 20 anni il costo del lavoro si è alzato anche lì) ma robot e operai iperspecializzati. Un cambio di paradigma impensabile meno di dieci di anni fa. Ma succede. E’ successo. E apre, per la prima volta concretamente, nuovi scenari nella produzione di beni e servizi. E del lavoro. La chiamano industria 4.0.
«Don’t be late for school again, boy»
Finora abbiamo assistito a 3 rivoluzioni industriali. Per lo meno, 3 sono entrate nei libri di scuola.
- XVIII secolo. Quella dell’energia idroelettrica, con il crescente uso della forza vapore e lo sviluppo di macchine strumenti.
- XIX secolo. Quella dell’elettricità e della produzione di massa (assemblaggio in linea);
- XX secolo. Quella dell’automazione e in particolare dell’elettronica e dell’informatica.
- XXI secolo. Quella ancora non entrata nei libri di scuola, quella che stiamo vivendo. E che Adidas in qualche maniera ci ricorda rischiando di diventarne un caso paradigmatico. Si tratta della rivoluzione digitale. L’industria 4.0.
La chiamiamo così anche se la definizione non mette ancora d’accordo tutti (la prima volta che si è usato questo termine è stato ad una fiera di elettronica, ad Hannover, nel 2011). Ma tagliando concetti con l’accetta possiamo definirla come un processo che porterà alla produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa (mutuo in parte questa definizione da quella data su CheFuturo! da Gianni Potti) .
In cosa si caratterizza l’industria 4.0
Quando parliamo di industria 4.0 generalmente ci si riferisce ad una serie di cambiamenti nei modi di produzione (come si producono beni e servizi). E forse, come scenario possibile, anche dei rapporti di produzione (tra datore di lavoro e lavoratore, per esempio, ma qui si apre un altro capitolo).
A voler individuare i cardini intorno ai quali ruota questa “rivoluzione” possiamo dire che riguarda:
- L’utilizzo dei dati come strumento per creare valore. Perché intorno ai dati si muove la potenza di calcolo delle macchine. Tutti i temi realativi ai big data, i dati aperti, IOT, cloud etc…
- Analytics. Ovvero, una volta raccolti i dati, come si possono effettivamente far fruttare.
- Rapporto-interazione uomo-macchina. Come comunichiamo con le macchine, strumenti, interfacce, linguaggi.
- Il ponte tra digitale e reale. La manifattura. La produzione di beni e servizi. Cioè una volta avuti i dati, analizzati, processati e resi strumento per “istruire” le macchine, l’ultimo passaggio è trovare i modi, gli strumenti per produrre i beni. E quindi stampa 3D, robot, interazioni tra macchine.
I robot ci ruberanno il lavoro, ma forse è meglio così. Dicono
Il caso Adidas riattualizza la discussione sui robot e sulla possibilità che brucino posti di lavoro. Indubbiamente sarà così. Qualcuno in Asia non produrrà più scarpe. Ma qualcuno in Europa controllerà le catene di produzione, le macchine, la loro manutenzione. Secondo una ricerca presentata World Economic Forum nei prossimi cinque anni spariranno 7 milioni di posti di lavoro, ma ne verranno creati 2. Numeri confermati anche dalle ricerche di un 28 italiano negli Usa, Federico Pistono e dalla Oxford Martin School e dal Mit. Oltre il 47% dei lavori in Europa e negli Stati Uniti sono a rischio di automazione in meno di 20 anni. Ma Pistono vede la cosa in maniera positiva. Lui è autore di un libro che ha fatto molto discutere, e riflettere, negli Stati Uniti. «I robot ci ruberanno il lavoro, ma è molto meglio così». Ha fatto riflettere anche Larry Page, ceo di Google, che ha parlato apertamente del tema in un’intervista all’FT. Page ha letto Pistono. E ha il suo libro autografato in casa.
Quando Paul Graham ci diceva: «Ci sarà più lavoro»
In un’intervista a StartupItalia.eu, Paul Graham ci ha raccontato la sua visione. Quando gli abbiamo chiesto il futuro del lavoro nell’epoca dei robot e dell’automazione della produzione, ha risposto.
«Io credo che il fatto che alla fine il saldo dei posti di lavoro sarà positivo, è uno schema così antico e consolidato, che l’onere della prova del contrario spetta a chiunque lo contesti. E io francamente non vedo perché dovrebbe accadere».
Cosa sta facendo l’Italia per non perdere il terreno dell’Industria 4.0
A novembre 2015 il ministero per lo Sviluppo economico ha detto che sta lavorando ad un testo intitolato: «Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero». Il sottotitolo spiega meglio l’obiettivo del testo. on sottotitolo, ovvero: «Come fare della trasformazione digitale dell’industria una opportunità per la crescita e l’occupazione». In sintesi il documento individua alcune aree dove intervenire per tenere anche l’Italia al passo con una epocale trasformazione in atto.
- Rilanciare gli investimenti industriali in ricerca e sviluppo;
- Aiutare la crescita delle imprese, ovvero: piccolo non è per forza bello;
- Favorire le nuove imprese innovative (leggasi, startup);
- Definire criteri di azione condivisi a livello europeo;
- Cybersecurity e tutela della privacy;
- Migliorare le infrastrutture di rete e diffondere conoscenze approfondite sull’industria 4.0
Il documento è uno di quelli su cui si è più speso il direttore generale per la politica industriale Stefano Firpo. Le vicissitudini di questi mesi al Mise (le dimissioni del ministro Federica Guidi e la nomina del nuovo, Carlo Calenda) ne hanno gravemente rallentato la realizzazione e l’operatività. Tornerà tra le priorità, assicurano dal ministero. Ed è ora che accada, perché per tutti è l’unica strada per ripensare il rilancio della manifattura italiana.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum
Scheda: Cosa vuole essere una fabbrica 4.0 (e i campi in cui agire)
In un’analisi pubblicata su CheFuturo! Gianni Potti, imprenditore e esperto di digitale, elencava una serie di azioni da fare per pensare un’industria 4.0.
Il minimo comune denominatore è che Fabbrica 4.0 tende ad enfatizzare l’idea di una consistente digitalizzazione collegata con tutte le unità produttive dell’economia:
1. Sistemi e mercato cyber-fisico
Nella produzione non basterà più solo parlare di IT, ma di sistemi complessi che interagiscono continuamente con la produzione e con il mercato grazie ad un massiccio utilizzo della rete, sempre più connessi ai sotto sistemi, con controlli in tempo reale.
2. Smart robot e nuove macchine
Sal 2004 i robot nelle aziende europee sono raddoppiati. Ungheria e Cekia sono capofila. Sistemi sempre più intelligenti, interagiscono tra loro. Non solo in sostituzione dell’elemento umano, ma con nuove funzioni e opportunità).
4. Big data
Raddoppiano nel Mondo anno su anno.
Sui dati aperti, siamo buon ultimi in UE.
Dalla lettura e analisi dei dati nasce un nuovo approccio al mercato e una nuova impostazione delle aziende. Il cloud computing aprirà strade inaspettate per stoccaggio, lettura, condivisione dei dati. Dalla capacità di lettura rapida dei dati verrà modificata on line la produzione.
5. Efficienza energetica e decentramento
Il cambio climatico e la scarsità di risorse sono megatrend con cui dovremo sempre più fare i conti.
6. Industrializzazione virtuale
Ogni processo viene prima simulato e verificato in virtuale; solo quando la soluzione finale è pronta potrà partire la mappatura fisica. Ciò significa che tutto il software, i parametri, le matrici numeriche, vengono caricate nelle macchine che controllano la produzione.
Piante virtuali possono essere progettate e facilmente visualizzate in 3D, così come lavoratori e macchine interagiscono.