In questa storia ci sono Groupon, Amazon, Uber, un colloquio di 3 mesi per arrivare a Google, 18 bitcoin speciali e una vita in continuo divenire. Una chiacchierata con Giulio Gagliano, 29 anni, catanese, che ora ha aperto un’acceleratore di startup a Milano: Magics Lab.
«Ci sono Groupon, Amazon, Uber e Google. E hai solo 29 anni». La risposta è una semplice risata, diretta e sincera. Di quelle che si sentono soprattutto al sud. «Sì, lo so, sembra una vecchia barzelletta. Ma la mia fortuna è stata quella di avere sempre lavorato per raggiungere traguardi specifici e di aver accettato sfide diverse». Giulio Gagliano è nato a Catania, nel 1987, e nonostante l’età, ha un curriculum davvero incredibile.
So già che questa sarà una di quelle interviste, piene di aneddoti, che non capitano tutti i giorni. Ha tutti gli ingredienti per diventare un libro: 18 bitcoin speciali, i droni di Amazon, il pesce (ottimo) della mensa di Google, un colloquio lungo tre mesi sparso per tutta Europa e la sacralità del Natale: «Tu, meridionale come me, lo sai benissimo. È una festa intoccabile» Sì, tanto da indurti a cambiare lavoro. Nel suo passato c’è anche una startup, Face to City, fondata in Sicilia, da cui ha imparato molto: «In particolare che, in certi momenti, è giusto staccare la spina e ripartire». Nel suo presente, invece, c’è un acceleratore d’impresa, Magics Lab, a Milano, il suo attuale progetto. Forse quello più ambizioso.
Insomma, ci sono tante cose, tutte insieme, da mettere in ordine. Accendo il registratore e mi preparo. «Ok, Giulio. Partiamo dall’inizio?».
Il primo pc e i 18 bitcoin usati su Second Life
«Il primo computer lo ricevetti a 10 anni. Era una Ferrari nelle mani di uno che non aveva la patente. Lo distrussi 7 volte». Appartiene alla generazione degli anni ’90, quella dei virus e degli anti-virus, delle canzoni messe su cd-rom, dei film scaricati e delle connessioni rumorose, mai del tutto scontate: «Emozioni di altri tempi». Giulio inizia a imparare i linguaggi di programmazione a 13 anni, da autodidatta: «Mentre gli altri si perdevano dietro a giochi come Fifa o Final Fantasy, io mi dedicavo a quelli di ruolo online. Per giocare bisognava accedere ad una piattaforma, era una vera magia. Il mio primo sito, fatto con Altervista, era il tentativo di costruire il mio gioco». Giulio è il classico ragazzino che a scuola ne sapeva più dei professori e che usava parole strane come php, database, html nativo: «Vedere cosa ci fosse dietro un sito web, quella cosa grigia e nascosta che non tutti erano in grado di capire, era il mio passatempo più grande».
Poi arriva Second Life e la possibilità vera di costruirsi un avatar: «Ottenni la mia prima postepay e con la ricarica comprai 18 bitcoin. Allora costavano 80 centesimi e mi servivano per avere alcuni accessori. Li spesi tutti. Oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se li avessi conservati…». Gli anni del liceo diventano quelli dei lavoretti e della costruzione dei siti internet. Uno dietro l’altro: «Ero il famoso cugino o nipote che ti faceva le cose a 100 euro…». Poi l’Università a Catania. Prima ingegneria gestionale e poi economia. Ma la laurea arriva più tardi, a Canterbury, in Inghilterra: «Sono gli anni in cui decido, definitivamente, di lasciare il mondo della programmazione per diventare consulente. Marketing e comunicazione diventano il mio pane quotidiano». In quel momento avviene l’incontro con Patrick Biella, oggi suo socio, che dopo un colloquio, lo porta dentro Groupon.
Groupon, Face to City e Londra
«Dai 19 ai 21 anni ho imparato quelle basi che oggi mi hanno portato dove sono. Ho capitato cosa fosse una startup, un venture, come si potessero sfruttare al meglio le potenzialità di internet». Giulio ha la fortuna di vivere, dall’interno, i due anni di massima ascesa dell’azienda, tra Catania e Milano: «In quel periodo tantissime realtà volevano collaborare con noi. I coupon erano ovunque. Facevamo quello che oggi sarebbe noto come marketing a performance ma che allora era molto più raro». Ma tanto fu rapida la salita quanto repentina fu la discesa. La vicenda è nota e fece scalpore. Le perdite, la quotazione Nasdaq, i licenziamenti in blocco, compreso quello del fondatore, Andrew Mason.
Giulio non si perde d’animo e decide di provarci. Da solo. Torna a Catania per fare il suo Groupon: «In California c’era un servizio, Groupon Now. Si trattava di accordi che venivano stipulati in tempo reale tramite app. Un servizio che in Europa non era mai arrivato». Così nasce Face To City per fare esattamente la stessa cosa: «Ma non avevo considerato i limiti tecnologici, al tempo i cellulari non avevano le stesse funzioni di oggi, i limiti burocratici e i limiti economici». Per mettere su un’azienda ci vogliono tanti soldi. Face to City raccoglie un primo grant, sviluppa la tecnologia necessaria e il prodotto. Ma è meno scalabile di quello che si poteva pensava all’inizio. Non c’è il secondo round di finanziamento: «Andai avanti per 8 mesi e ci rimisi un bel po’ di soldi. Ma imparai che quando giunge l’ora di chiudere non puoi far altro che voltare pagina e imparare quello che puoi».
Voltare pagina significa cambiare definitivamente aria. Giulio parte per Londra e ci rimane tre mesi: «I più belli della mia vita. Una libertà totale. Un’autogestione pura in cui, come si dice da noi, me la cantavo e me la suonavo. Un periodo in cui ho imparato l’inglese per davvero. No, non quello che ti insegnano a scuola, quello che ti permette di trovare lavoro e di mandare curriculum». Qualcuno gli risponde. È Amazon.
Amazon, il mondo dei droni e dei driver
Giulio lavora all’interno del settore logistico: «Quello che ti sei immaginato fino ad ora non sarà mai come la realtà. Ci sono depositi enormi grandi quanto dieci campi di calcio. È aperto 24 ore su 24, al chiuso, con rotaie ovunque». In quelle rotaie scorrono i droni, quelli che i giornali di tutto il mondo hanno raccontato con enfasi: «Dai 40 cm si alzano fino ai 3 metri e lavorano in maniera continua. È impressionante. Scorrono come carrelli sui binari e spostano pacchi da una parte all’altra del magazzino». Poi, non lontano, ci sono le persone che risolvono i problemi: «Sistemano gli errori fatti dai droni. Dall’etichettatura alle consegne, non eseguite o sbagliate». Un esempio chiarissimo di Industria 4.0.
Ma è alle 6 del mattino che il luogo si trasforma: «Le macchine sono spente, i dipendenti quasi tutti assenti. Arrivano i driver per le consegne con i loro mezzi. Devono prendere i pacchi e consegnarli. Prima iniziano e prima finiscono. Sono agguerritissimi e in quell’ora si scatena il caos». Giulio ha l’incarico di seguire 48 driver nella loro giornata risolvendo ogni tipo di problema e, qualche volta, anche di soccorrerli per strada: «Anche qui lavoravo per obiettivi, limitando al massimo gli errori. Target era la parola d’ordine. Ci rimasi un anno e mezzo. Poi, passai l’intera settimana di Natale a lavorare. Ogni giorno fino alle 11 di sera». Un periodo sacro che veniva sacrificato: «Capii che il mio tempo lì era finito». E allora ancora curriculum e application. Arriva un’altra risposta. Stavolta è Uber.
Uber e poi, finalmente, lo scouting per Google
Uber è la parentesi lavorativa più breve per Giulio: «Tre mesi e mezzo in un ambiente bellissimo. Tanti giovani e un super fatturato». viene preso come Marketing Specialist Junior. Uno stage, per iniziare, part-time, con successiva possibilità di inserimento. Tutti al tempo, a Londra, usavano Uber. Era un’altra realtà in completa ascesa. Un’esperienza che il giovane catanese, ormai 24enne, avrebbe continuato ben volentieri. Ma siamo a Londra e ci sono scelte da prendere. Sliding Doors. Nel frattempo, infatti, è arrivata una nuova risposta. È Google.
«Il mio sogno. In Italia avevo mandato il curriculum 7 volte, senza ricevere mai uno straccio di risposta. A Londra mi risposero al primo tentativo. Credimi, era come sentire dio». Giulio è talmente sconvolto che risponde in italiano: «Dissi un “sì”, poi uno “yes”. Ero emozionato. Stava iniziando il colloquio più incredibile e frustrante della mia vita. Un vero calvario». È un colloquio che dura tre mesi fatto di 11 diversi incontri in giro per l’Europa: «Dublino, Berlino, Madrid. Tutto pagato per incontrare persone e superare i loro test. Per l’ultimo mi chiamano alle 9 del mattino, ero stanco di aspettare. Incontro l’esaminatore, con sé ha un grosso fascicolo che parla di me. Ho superato tutti i vari incontri, mi dice, tranne uno. Poi solo una frase: «Benvenuto, sei un googler». Lo abbracciai forte. Ogni volta che lo racconto mi viene la pelle d’oca».
Il sogno si realizza: «Era tutto incredibile. Senza orari, limiti. Avevo a disposizione un massaggio ogni qualvolta finivo di lavorare. E il pesce della mensa era più buono di quello della Sicilia». A questa affermazione non credo: «Te lo giuro». Ancora quella risata argentina. Poi arriva un progetto particolare, dentro Google. Con la possibilità di tornare a Milano.
Come un osservatore di calcio
«Se non era per loro non credo che sarei mai tornato in Italia. È l’amara verità». Ma Giulio accetta e inizia un percorso che lo porta a conoscere oltre 70 startup del nostro paese. «Svolgevo lo stesso compito di un’osservatore per una squadra di calcio. Seguivo le startup e le accompagnavo nel loro processo di crescita con gli strumenti di Google. Stavo incollato agli acceleratori italiani cercando di capire il potenziale delle imprese innovative nel nostro Paese. In molti casi le nostre analisi si sono rivelate corrette». Nell’ultimo anno, conosce l’ambiente, gli startupper, i venture e tutti gli operatori del settore: «Mi arrivavano offerte di lavoro molto migliori, almeno dal punto di vista economico, di Google. Ma la verità è che io iniziavo solo a rivedermi in loro. E volevo aiutarli». Dopo tanti sforzi era come tornare a casa. «Ma dopo tutti quegli anni passati a Londra rimasi stupito di ritrovare una Milano così diversa. Una città più matura, meno caotica. Si respirava un bel clima. Ero carico».
Lasciare Google e inseguire un altro sogno
In tutti questi anni, Giulio non ha mai interrotto i contatti con Patrick Biella, l’uomo che lo prese dentro Groupon e che fece partire la scintilla. Patrick, laureato alla Bocconi, si alterna ancora oggi tra Iran e Italia. A Teheran ha sviluppato un prodotto simile a Groupon e ha trovato un terreno fertile e grandi possibilità di crescita: «Stanno vivendo un boom economico simile al nostro dopoguerra» mi dice Giulio «Puoi creare tante aziende e curare brand a cui aprire le porte dell’Iran. Acciaio, moda, persino lo zafferano. C’è tanta richiesta d’Italia».
Lo scorso aprile s’incontrano davanti a una birra. Ad un certo punto arriva la domanda che costringe Giulio a rimettersi in discussione: «Ma te la sentiresti di lasciare Google?» Patrick ha un’idea in mente e vuole portarla avanti unendo le forze: «A me venne quasi un coccolone. Alla quinta birra cedetti. Il 30 giugno è stato il mio ultimo giorno di lavoro con l’azienda che ho inseguito così tanti anni e che mi ha dato tanto». E non è stato neanche quello il momento più difficile: «Ho dovuto spiegare a mio padre che lasciavo un contratto indeterminato e sicuro da Google. Un’impresa i confronto a quello che avevo fatto in passato. Rimandai la telefonata di due settimane. Poi mi decisi. Ci furono 40 secondi di silenzio e poi, cosa che faceva solo quando era molto arrabbiato, iniziò a parlarmi in siciliano. Poi cedette anche lui. Il 1 luglio eravamo dal notaio e il 18 dentro Copernico, a Milano». Magics Lab era ufficialmente nato.
Cos’è Magics Lab
Attualmente lavorano 6 persone su Magics Lab, senza contare Patrick: «C’è Paolo Tocci che è diventato il mio braccio destro. Lui ha insegnato ad un altro questo mestiere e così via. Una trasmissione diretta dei saperi e delle conoscenze». Così Giulio inizia a restituire alle startup parte della sua esperienza: «È un periodo strano quello che viviamo in Italia. Ci sono progetti interessanti che, per vari motivi, non ottengono l’attenzione che meritano e prodotti che prendono un mare di soldi e non meriterebbero neanche 100 euro». La ricetta è molto semplice e si chiama growth hacking: «Ci dedichiamo ai Big Data per ottenere risultati per l’acquisizione degli utenti. Tutte le grandi aziende hanno utilizzato un sistema simile per crescere e scalare. È un processo molto complesso ma in grado di cambiare il futuro di tante realtà che, proprio per questo, se ne innamorano facilmente».
Magics Lab è un acceleratore di startup che sono già state finanziate o validate sul mercato: «Oppure investiamo direttamente noi ma non in marketing. Creiamo un’idea, lato tecnico, assicuriamo la partecipazione ai contest più importanti e andiamo alla ricerca di investitori e seed che non siano di 30k ma di 300k». Soldi che possano fare la differenza. «Ad oggi seguiamo 4 startup più 2 progetti fatti direttamente da noi. Tra queste c’è la startup più finanziata d’Italia: KPI6I. In pià supportiamo anche le startup che vogliano affrontare la sfida di approcciarsi al mercato Iraniano e del Medio Oriente».
Magics Lab, inoltre, è una delle sedici aziende in Italia che possono vantare la certificazione Hubspot (il cui 51% appartiene a Google) per l’Inbound Marketing. Un sistema che permette di prendere l’utente nel momento in cui sta cercando qualcosa e dargli la risposta che sta cercando: «La SEO non serve più a niente. Con il tuo hotel, ad esempio, non potrai mai arrivare in cima alle ricerche “alberghi di Milano”. Con le tecniche di Inbound Marketing hai la certezza di arrivarci entro otto mesi».
Magics Lab ha appena iniziato la sua sfida. Per Giulio, invece, la filosofia non è cambiata: «Lavoro ancora per obiettivi. Faccio le cose come se non stessi facendo una professione. Così, anche durante le sessioni da 14 ore, continuo a divertirmi. Niente stress e niente orari». Sono passate quasi due ore dall’inizio di questa chiacchierata. Mi rimane l’ultima domanda da fare: «Groupon, Amazon, Uber, Google. Ora Magics Lab. Ma qual è, davvero, il tuo obiettivo finale? La cosa per cui potrai dire: ok, ora mi fermo per un po’». La risposta stavolta non è una risata ma una frase precisa, secca, decisa: «Io spero di trovare il primo unicorno italiano. Lavoro ogni giorno per questo. E credimi, non siamo così lontani».