Mentre Steve Wozniak annuncia anche lui l’addio al social network in blu, il CEO spiega la sua versione dei fatti su Cambridge Analytica (e non solo)
Zuckerberg va a Washington: il CEO e fondatore di Facebook chiamato a testimoniare davanti alla Commissione su energia e commercio della Camera dei Rappresentanti fornisce la propria versione dei fatti sull’affare Cambridge Analytica. Una versione che di fatto ricalca quanto già detto in queste settimane, ma che aggiunge un altro paio di tasselli al mosaico: di fatto da qualche ora a una serie di servizi è stato chiuso il rubinetto delle informazioni in arrivo da Facebook. E la questione non è finita.
La vicenda Cambridge Analytica
La versione ufficiale fornita da Zuckerberg per la ormai annosa questione dei dati “trafugati” da Cambridge Analytica è la seguente: nel 2013, il professor Aleksandr Kogan dell’Università di Cambridge mette in piedi un’app-quiz per studiare statisticamente i gusti e le preferenze degli utenti. La installano 300mila persone. Attraverso le regole allora in vigore su Facebook, l’app del professor Kogan riesce ad accedere alle informazioni di diverse decine di milioni di persone: tutti “amici” di chi ha installato l’app.
Nel 2014 Facebook si rende conto che così come sono scritte le regole le app hanno un po’ troppo accesso alle informazioni altrui: per questo vengono cambiate le regole stesse, così da limitare l’accesso alle informazioni degli amici e richiedere a loro stessi un’autorizzazione esplicita. Nel 2015 il Guardian pubblica la prima storia su Cambridge Analytica, Facebook chiede immediatamente ai diretti interessati di cancellare tutti i dati: richiesta accolta. O, almeno, così era sembrato.
Arriviamo a oggi: le inchieste giornalistiche svelano che Cambridge Analytica conserva ancora i dati che aveva promesso e detto di aver cancellato, Facebook decide di bandire la società dalla sua piattaforma. Parte un’indagine interna per accertare cosa sia realmente successo, per comprendere se ci siano altre entità (app e società) che mostrano comportamenti simili: di fatto quello che sta succedendo è che Facebook sta chiudendo i rubinetti a praticamente tutti, compresa l’italiana CubeYou, per cercare di rendere la sua piattaforma realmente “sicura” per i dati degli utenti.
L’ultimo provvedimento riguarda ad esempio le app che mettevano in relazione numeri di telefoni e nomi in rubrica con i profili su Facebook: c’era troppa disinvoltura nell’usare questi dati, anche in modo inverso (numero sconosciuto da abbinare a un nome, o trovare il numero di qualcuno senza che quel qualcuno lo avesse concesso). D’ora in avanti sembra proprio che l’approccio di Zuckerberg e soci, d’ora in avanti, sarà di massima prudenza: meno accesso libero, più riflessione in anticipo per rilasciare funzioni quando si è davvero certi di tutte le conseguenze e le implicazioni possibili.
Il caso Russiagate
Anche la vicenda delle interferenze (presunte o meno) della Russia nelle elezioni presidenziali che hanno incoronato Trump sono state oggetto della testimonianza di Zuckerberg. Anche qui poche novità, se non conferme ufficiali che Facebook è intervenuta per comprendere il fenomeno dei fake che diffondevano (anche a mezzo post sponsorizzati, spesi più di 100mila dollari da una singola entità) informazioni volte a cercare di condizionare l’opinione pubblica.
Zuckerber spiega che il grosso del lavoro del team di security si era concentrato, in passato, su minacce di tipo tradizionali: violazioni dei server, furti di account e così via. Questo nuovo tipo di minaccia, quella legata alla propaganda, ha richiesto un cambio di approccio: sono stati messi in piedi nuovi sistemi di indagine, anche basati sull’intelligenza artificiale, per individuare in modo tempestivo comportamenti sospetti e poter così intervenire in modo rapido e puntuale. Questi strumenti sono stati adottati per le elezioni in Francia, Germania, nello stato dell’Alabama.
In più, il team di sicurezza di Facebook è stato pesantemente irrobustito: a fine anno conterà più di 20mila dipendenti, Mark Zuckerberg stesso si è assunto il compito di coordinare gli sforzi di pattugliamento e messa in sicurezza della piattaforma. Saranno richieste inoltre informazioni verificate e verificabili sui gestori di grandi pagine, i veicoli ideali per la propaganda, e la propaganda politica a mezzo inserzione (post sponsorizzati) richiederà un’autorizzazione da parte del social prima di poter essere postata.
Le conseguenze per Facebook
D’ora in avanti sembra proprio che l’approccio di Facebook alla gestione dei dati degli utenti sarà capovolto rispetto al passato: in luogo della massima apertura, che è lo spirito che ha animato fin qui il social network in virtù della visione che aveva condotto lo stesso Zuckerberg a far nascere la sua creatura, si passerà a un regime di prudenza che imporrà agli sviluppatori di firmare appositi contratti che specificheranno in modo più preciso quale sarà la portata massima dell’azione del software sui dati degli utenti, e che uso si potrà fare di questi ultimi. Mark ha anche annunciato che Facebook darà maggiore risalto alle autorizzazioni concesse alle app per accedere ai dati degli utenti: in questo modo chiunque potrà farsi un’idea più precisa di chi ha avuto accesso a quali informazioni.
Il piano politico è più complesso da gestire: qui c’è in ballo la questione del diritto alla libera espressione, per questo più che contratti e sistemi automatici ci sarà bisogno di molto buon senso e un tocco umano. Anche in questo comparto Facebook si sta attrezzando, con l’aggiunta di personale dedicato in vista delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti.
Nel frattempo, il clima che si respira attorno al social dei social che conta 2 miliardi di iscritti, non è dei migliori. Steve Wozniak, il co-fondatore di Apple, ha annunciato anch’egli il suo addio all’account su Facebook.