Nel paese del Sol Levante una città sperimenta le preferenze digitali basate su un sistema di certificazione condivisa, per evitare il pericolo hacker e le manomissioni in remoto
A novembre si terranno negli Stati Uniti le elezioni di midterm. L’impatto del voto non può essere lo stesso di un ingresso alla Casa Bianca ma, in quanto giudizio popolare sull’andamento di una legislatura, è pur sempre utile come termometro dell’opinione pubblica sull’operato di Trump. Più di una volta le midterm hanno segnato la via verso le candidature presidenziali, di fatto stabilendo una prima cernita su personaggi, programmi e campagne. Poter manipolare il risultato del prossimo 6 novembre potrebbe essere determinante, per repubblicani e democratici.
Perché la blockchain
Per questo non è improbabile l’ipotesi che in quel di Washington si pensi, anche se il tempo stringe, a una piattaforma elettiva più sicura, ancora digitale ma questa volta connessa. Sì, perché anche se il metodo di voto negli Usa, in molti degli stati, è telematico, cioè prevede che la preferenza venga posta non più in forma cartacea (o su schede perforate) ma per registrazione ottica o elettronica diretta (DRE), il software che salva le scelte agisce in locale, cioè non è collegato ad alcuna rete internet o intranet, per evitare intrusioni di hacker o manomissioni terze. Eppure, server e data center sono comunque violabili e per nulla impenetrabili. Come proteggere tutto ciò? Facile, con la blockchain.
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Il caso del voto elettronico in Giappone
Se ne parla da tempo e finalmente c’è chi al mondo ha usato la catena fiduciaria di bit per consentire ai cittadini di votare, archiviare i dati e trasmetterli a un cervello gestionale unico. Si tratta di Tsukuba, città giapponese della prefettura di Ibaraki a circa 70 km da Tokyo, dove i residenti si sono espressi su questioni di carattere sociale e organizzativo sfruttando proprio la blockchain, in un’anteprima del voto elettivo che non dovrebbe essere lontano.
Nella pratica, la strada giapponese prevede che i votanti si qualifichino al seggio davanti a una webcam, scannerizzando l’equivalente nostrano della tessera sanitaria (che prima o poi anche da noi aprirà a un vero e-gov). Una volta digitato il pin associato alla carta, tramite un display simile a quello di un tablet, si effettua la scelta e in meno di cinque minuti si registra l’operazione. A prima vista, in gergo nel frontend, non cambia quasi nulla rispetto a ciò che molti seggi in Giappone permettono di fare da anni, mentre nel backend la storia è decisamente diversa.
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Strade tortuose ma sicure
La preferenza, sotto forma di hash digitali, si mette in coda a tutte le altre lasciate in uno stesso seggio. Insieme, tali informazioni formano pacchetti di dati trasferiti da una catena all’altra, lungo un percorso che dal server di un quartiere porta al fatidico cervellone gestione principale. Gli stessi utenti che hanno votato fanno da validatori delle informazioni, o meglio, la loro identità digitale contiene un pezzo dell’hash del voto che, qualora si insediasse nella rete un intruso, non andrebbe avanti sino alla centrale, ma verrebbe bloccato dalla community di elettori, quali fossero avatar a protezione dei pacchetti trasferiti. Chiunque provi a modificare la catena mette in atto un’interruzione immediata, che fa scattare i controlli dei tecnici addetti. Sembra tutto molto complicato ma tecnologicamente i passaggi si risolvono in pochissimo tempo, senza impattare su procedure e conteggi.
L’Europa si muove
Il Giappone è un passo avanti quando si tratta di sperimentare attività del genere ma anche dalle nostre parti i buoni propositi non mancano. In estate Zug, in Svizzera, ha messo in piedi una basilare piattaforma di voto via blockchain, come test per un referendum locale. Per accedere è bastata, in maniera simile a Tsukuba, la carta di identità elettronica dotata di chip e codice pin personale. Come se non bastasse, i cittadini con numero di cellulare verificato, una sorta di nostro Spid, si sono permessi il lusso di votare dallo smartphone tramite un’app appoggiata su Ethereum, una delle chain più famose al mondo. E non è un caso se proprio a Zug abbia sede la Ethereum Foundation, insieme ad altre 200 realtà attive nel mondo della crittografia, tanto da aver affibbiato alla zona il nome di CryptoValley. Mica male.