Sono le previsioni contenute in un documento riservato arrivato alla stampa. In caso di divorzio senza accordo, il Regno Unito è destinato a crollare in poche settimane.
Di colpo la Gran Bretagna si riscopre un’isola e comprende che restare isolata dal resto del mondo, nel 2019, potrebbe comportare più svantaggi che vantaggi. A dirlo, a sorpresa, sono fonti dello stesso governo, tramite le previsioni contenute in un report top secret finito nelle mani dei giornalisti del Sunday Times. Se l’UK arrivasse impreparata al 29 marzo 2019, giorno del distacco dall’Unione europea, non reggerebbe per più di 72 ore.
Brexit Doomsday
Lo scenario dipinto dai tecnici governativi sembra il canovaccio di 28 giorni dopo, lo zombie-movie del regista Danny Boyle ambientato proprio in una Inghilterra desolata e abbandonata, quasi ripiombata nel periodo medievale. Gli alti funzionari statali che stanno lavorando al dossier della Brexit hanno ipotizzato tre possibili ipotesi – di gravità crescente – dalla radice comune: il no deal, ovvero il mancato accordo sul divorzio tra Londra e Bruxelles.
Giorno 1: collassano i porti
Ammettiamo dunque che il 30 marzo 2019 Londra sia fuori dall’Unione senza essere riuscita a siglare accordi sulla transizione. Secondo chi ha lavorato al paper, il porto di Dover, il cordone ombelicale che lega di fatto l’isola al Vecchio Continente, collasserebbe in 24 ore, schiacciato dalla burocrazia doganale e dal ripristino de facto delle frontiere. E non è nemmeno lo scenario peggiore ma la previsione mediana, considerata “severa”.
Giorno 2: scarseggiano medicinali e carburante
La paralisi delle merci alle frontiere a Sud segnerà, per la Gran Bretagna, l’inizio della fine. Con camion, navi e aerei bloccati, nel Regno Unito si paralizzerà la circolazione dei beni di prima necessità. A risentirne immediatamente saranno le estremità settentrionali e meridionali della nazione: “I supermercati della Cornovaglia e della Scozia finiranno il cibo entro un paio di giorni e gli ospedali finiranno le scorte di medicinali entro due settimane“, si legge nel documento riportato dai media.
Giorno 4: entra in scena la Raf
Gli scaffali dei supermercati sono ormai vuoti: l’ondata di panico generata dai mass media ha spinto la popolazione a fare incetta di cibo, acqua e tutto ciò che può servire per prepararsi a un lungo periodo di crisi. I pochi beni ancora in commercio si trovano sul mercato nero: la gente si indebita anche solo per acquistare pane, latte e farina. Per garantire l’approvigionamento agli ospedali, il governo si avvale della prestigiosa Royal Air Force che paracaduterà casse con i medicinali alla stregua di quanto avviene nelle zone di guerra.
Giorno 7: le decisioni più difficili
Il Parlamento inglese si riunisce per una seduta drammatica, come non se ne vedevano dai tempi in cui Londra era bersagliata dalle bombe della Luftwaffe: le risorse si stanno velocemente esaurendo, bisogna decidere quali sono le zone del Paese cui dare priorità e quelle invece da lasciare temporaneamente senza energia e senza cibo. Hanno inizio i razionamenti energetici, molte zone vengono lasciate al buio. Il problema sicurezza, che Londra conosce fin troppo bene, assume proporzioni allarmanti: la polizia è nelle strade per arginare il fenomeno dello sciacallaggio. Viene indetto il coprifuoco cui segue la legge marziale. La gente, esasperata, protesta in piazza.
Giorno 14: l’UK torna al Medioevo
Il 12 aprile 2019, due settimane dopo la Brexit, la Gran Bretagna piomba in un nuovo, plumbeo, Medio Evo. Termina il carburante, sull’isola i pochi barili di petrolio in circolazione sono stati requisiti dall’esercito e servono per scopi strategici nazionali. La produzione di Brent continua, ma anziché essere rivolta all’esportazione è distolta per soddisfare le esigenze interne. In una situazione del genere, però, la Sterlina ha perso gran parte del suo valore, portando l’economia in una spirale di inflazione e deflazione pari solo alle crisi economiche viste in Argentina o, peggio, in Zimbabwe. La Zecca di Stato probabilmente è costretta a stampare banconote simili al taglio da 100.000.000.000.000 dollari zimbabwiani.
Se l’UK affonda la mareggiata colpirà il Continente…
E il report termina qui. Almeno la parte resa nota dalla stampa britannica. Non tiene conto dei posti di lavoro persi (si stimano 800mila posti in meno per 6 punti di Pil bruciati) e nemmeno delle ripercussioni al di là della Manica: se la borsa di Londra dovesse crollare, crollerebbe anche Milano, dato che è parte del London Stock Exchange Group, holding che controlla il 100% di Borsa Italiana S.p.A. e il 100% di London Stock Exchange plc. E crollerebbe anche la Francia, che con l’UK ha un fittissimo scambio commerciale.
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Troppo drammatico? Può darsi
I sostenitori della Brexit sostengono che questa fuga di notizie sia stata pilotata: a fine giugno è infatti previsto un vertice sul tema con l’Unione europea che il Regno Unito pensava già di fare saltare senza un accordo. L’arrivo sui giornali del dossier super segreto potrebbe spingere il governo a più miti consigli. L’altra data utile per trovare un accordo sarà in autunno: è calendarizzato infatti per ottobre l’ultimo meeting sulla Brexit. Poi il 29 marzo 2019 sarà davvero dietro l’angolo.
Probabilmente si raggiungerà un compromesso, forse, anche nel caso in cui si dovesse verificare lo scenario peggiore, Londra sopravviverà senza nemmeno batter ciglio, come del resto ha fatto dopo il referendum sulla Brexit quando già erano stati ventilati scenari apocalittici. È però significativo, forse persino allarmante, che questa volta le ipotesi più negative non arrivino dagli oppositori politici dell’esecutivo, ma da Whitehall. Dunque, anche per questo, meriterebbero di essere prese in considerazione.