Founder con lo sguardo rivolto alla politica: “Un libro sui fallimenti per imparare dai propri sbagli e suggerire agli altri come evitarli. 10 volte meglio? Non un errore: torneremo molto presto”
“Durante la Seconda Guerra Mondiale gli americani cercavano un modo per evitare che i loro cacciabombardieri venissero abbattuti dai giapponesi: continuavano a rinforzare i punti in cui venivano colpiti i superstiti, gli aerei che tornavano alla base, ma questo non serviva perché la maggior parte non faceva comunque ritorno. Finché un matematico intuì che fosse inutile cercare di scoprire i punti deboli sulla scorta dei velivoli che non erano stati colpiti in parti cruciali perché bisognava semmai capire cosa avesse provocato l’esplosione di quelli che non erano rientrati”. Sulla base di questo aneddoto, Andrea Dusi, spiega a StartupItalia! perché ha deciso di fare un libro non sui successi ma sui fallimenti lavorativi: Come far fallire una startup ed essere felici.
Diciamo basta allo storytelling delle “vittorie facili”
Andrea Dusi non ci sta alla narrazione della “self made startup” la startup che quasi si fa da sola, versione 2.0 del mito statunitense del self made man. Non vuole illudere gli startupper in erba facendo loro credere che per “arrivare” bastino un garage, una buona dose di genio e un’idea rivoluzionaria destinata a cambiare il mondo. E poi soldi, successo, felicità e, inutile nasconderlo per perbenismo, pure avventure con donne bellissime. “Sono critico con la mitizzazione di exit e investimenti – spiega l’ex startupper di Wish Days, conosciuta soprattutto per i cofanetti regalo Emozione3 – e, intendiamoci: lo dico essendo colui che ha fatto la terza exit d’Italia”. Ai giovani, Dusi, non mente, preferisce sbattergli in faccia la dura realtà delle statistiche: “Nove startup su dieci non sopravvivono ai primi tre anni di attività”.
Creiamo una “cultura del fallimento”
“Dagli States – continua Dusi – abbiamo importato il mito del successo facile, non quello però dell’utilizzare i fallimenti come trampolino per nuove imprese. Manca una cultura del fallimento”, che non vuol dire, ci tiene a precisarlo, che si siano ignorate le disastrose conseguenze della crisi: “In Come far fallire una startup ed essere felici non si parla degli imprenditori lasciati soli dallo Stato e del diverso mercato di capitali italiano, ben più limitato rispetto agli altri Paesi europei. Non è nemmeno un modo di piangersi addosso“. Ma allora il suo libro cos’è? “Negli USA – spiega Dusi – l’imprenditore che fallisce racconta le sue esperienze e lo fa per aiutare gli altri. Da noi c’è la tendenza a non parlare dei fallimenti, a non raccontare le storie di chi non ce l’ha fatta, mentre enfatizziamo invece quelle dei pochi che raggiungono il successo”.
Un vademecum della caduta: per evitare gli stessi errori
Come far fallire una startup ed essere felici è, di fatto, un vademecum del fallimento sugli errori più tipici. “Lo avessi avuto io in mano anni fa – scherza Dusi – avrei evitato molti errori”. “Non dico – continua l’autore – che non si debba sbagliare: sarebbe impossibile. Dico di evitare di fare sempre gli stessi sbagli. Sbagliare è importante se non fondamentale: commettete errori, ma fatene di nuovi“. “Io sono grato al mio Paese – prosegue l’imprenditore con un trascorso da startupper – ciò che ho imparato voglio metterlo a disposizione di tutti perché si cresca: voglio suggerire un cambiamento in corsa”.
Cosa non fallire? Trovatevi un buon compagno d’avventure
Già, ma cosa bisogna fare per non abbassare anzitempo la saracinesca? “Prima di tutto – dice l’autore di Come far fallire una startup ed essere felici – a un ragazzo che vuole aprire una startup gli chiederei: perché lo fai? Se mi risponde ‘per soldi’ gli posso già risparmiare la fatica di avviare la sua impresa perché fallirà”. “Poi – prosegue Dusi – ci vuole il giusto co-founder: per qualcosa di buono occorrono almeno due imprenditori così da unire le competenze e dividere su più spalle il rischio di impresa“.
“L’entusiasmo è come l’innamoramento”
“Non credo al giovincello di 17 anni che si inventa una startup milionaria: è bene studiare“, scandisce l’imprenditore. “Senza una corretta istruzione, potete avere tutto l’entusiasmo di questo mondo che non andrete da nessuna parte”. Attenti poi all’entusiasmo: ci vuole ma è meglio non farsi sopraffare: “È come l’innamoramento: non ti fa vedere le cose come stanno, ma per creare una realtà solida bisogna lavorare sodo, sette giorni su sette, 24 ore al giorno. Difficile dunque andare avanti a lungo, perché quando l’amore finisce se non ci sono altri validi motivi la fatica ti abbatte“. E poi occorre puntare sull’innovazione: “Ormai il mercato è così veloce che può fare fuori anche i colossi più affermati, se smettono di innovare”.
10 volte meglio tornerà “10 volte meglio”
Non finirà nel libro dei fallimenti di Dusi 10 volte meglio, il partito seguito passo passo nel nostro progetto #italia2018, lanciato lo scorso novembre assieme ad altri startupper e imprenditori con lo scopo di rappresentare quella fetta di società civile esclusa dalle formazioni tradizionali, che si è però scontrato con lo scoglio della soglia di sbarramento senza quindi riuscire ad avere una rappresentanza parlamentare alle passate politiche del 4 marzo 2018. “Anche qui abbiamo imparato dai nostri errori – ammette Dusi che di 10 volte meglio è anche il fondatore – e infatti non siamo spariti: il partito è presente e forse parteciperemo alle europee del 2019 perché vogliamo cambiare questo Paese”. “10 volte meglio – prosegue il suo leader – è soprattutto offline: abbiamo capito che Facebook e Twitter da soli non bastano per affermarci: vogliamo radicarci nel territorio, parlare con la gente. Insomma, saremo più lontani dal web e più vicini agli italiani”.