Tutto quello che questo weekend vi impedirà di uscire e immergervi in attività sociali o all’aria aperta
Good Girls – NETFLIX
La delusione dell’anno è stata probabilmente La Casa di Carta (mai fidarsi delle serie spagnole) ma questo non dovrebbe scoraggiare nessuno dal non iniziare Good Girls. I presupposti sono simili solo in apparenza, perché anche qui c’è un colpo all’inizio e le conseguenze che fanno l’ossatura della stagione: ma Good Girls, a volerci trovare un parallelo semmai guarda più dalle parti di Breaking Bad.
Tre madri per motivi diversi e per scherzo ipotizzano una rapina. Le vite di due di loro vanno maluccio e un po’ di soldi potrebbero aiutare, ma sono persone corrette e non criminali: l’ipotesi è concreta solo perché il luogo da rapinare è quello in cui lavora una di loro e quindi sa bene come si potrebbero prendere i soldi della casa senza problemi. Solo quando la più benestante delle tre (Christina Hendricks, l’attrice di cui il mondo ha sempre bisogno) scopre di non esserlo per niente, poiché il marito è pieno di debiti, allora l’ipotesi diventa concreta.
Siamo ancora nel primo episodio: questa è la premessa, e del resto sempre nel primo episodio avviene la rapina. Il punto della serie è un altro, cioè che i soldi sono molto più di quelli che dovevano essere. Ma molti di più. Hanno rubato una cifra così grossa che crea problemi e ovviamente qualcuno ha capito che sono state loro. Good Girls è ideato da Jenna Bans, formatasi prima su Desperate Housewives nell’epoca della rivoluzione delle serie TV, e poi in quella specie di tana delle tigri che è la corte di Shonda Rhimes (in particolare era produttrice di Grey’s Anatomy). Da questo ne discende che Good Girls è tanto un crime quanto una serie romantica, con un po’ il fare della soap (ma davvero è limitato, quasi non si avverte): vuole insomma essere più leggera di quello che il suo spunto fa pensare. Ha un tono scanzonato che non è esattamente quello di Breaking Bad ma si fonda sulla medesima ipotesi: “Cosa farebbero delle persone normali se dovessero di punto in bianco fare la vita da criminali?”.
Final Space – NETFLIX
L’animazione adulta per la TV è stata fondata dai Simpson in un’epoca in cui “animazione adulta” era sinonimo di animazione porno. Invece Matt Groening ha creato una forma d’intrattenimento episodico e un modo di ridere all’interno dei cartoni, che hanno spostato l’asticella di ciò che è adulto in TV.
Quella è stata la forma prediletta e per certi versi ancora lo è dei cartoni americani non destinati ai bambini. Bojack Horseman ha un po’ cambiato tutto, introducendo una forte trama orizzontale, non più episodi autoconclusivi ma una grande storia raccontata tramite episodi autoconclusivi. Final Space è un passo più avanti ancora, è una space opera adulta dotata esattamente di quell’umorismo che è poi tracimato in I Griffin e via dicendo, un’unica grande storia. È Futurama con una trama.
A parte complimentarsi con il creatore Olen Rogers per aver trovato un’altra locuzione che abbia la parola “space” e non sia stata già usata da altri, i meriti di Final Space sono esattamente anche i suoi demeriti. È una serie prodotta in maniera molto indipendente a partire da comunità e brainstorming fatti in Rete, e il risultato in termini visivi è povero: non è grande animazione, non è gran disegno ed è molto derivativo. Si sente in più momenti. Ma questa è ovviamente anche la sua forza (e il motivo per il quale, dopo essere andato in onda in TV in America, Netflix lo distribuisce in tutto il mondo). Final Space immagina personaggi e situazioni lontani dal mainstream, non è un miracolo di serie ma è obiettivamente qualcosa di rinfrescante, leggero e molto centrato per gli amanti della fantascienza. Anzi! È: “fantascienza da qualcuno a cui la fantascienza piace e che si è dato molto da fare nonostante non avesse poi così tanti soldi”.