Secondo un recente studio, non si noterebbero grosse differenze rispetto a quelli realizzati con la plastica tradizionale
Contrórdine compagni ambientalisti: i sacchetti bio non sono affatto bio. Secondo un recente studio del dipartimento dell’International Marine Litter Research Unit, School of Biological and Marine Sciences, dell’Università britannica di Plymouth, non si noterebbero reali differenze nella capacità e nella velocità di smaltimento nell’ambiente di questi prodotti rispetto a quelli realizzati con la plastica tradizionale. Il paper, insomma, rimette in discussione il fatto che possano contribuire a migliorare le già precarie condizioni ambientali. Ma andiamo con ordine.
Cosa sono i sacchetti bio?
In Italia se ne parlò soprattutto per la polemica, scoppiata un anno e mezzo fa circa, legata alla legge 3 agosto 2017, n. 123 (disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno) che, tra i molteplici argomenti trattati – tutti molto differenti tra loro – disponeva anche l’obbligo per il consumatoredi acquistare, dal 1° gennaio 2018, assieme a prodotti sfusi come frutta, verdura, pesce, carne e pane anche il relativo sacchetto biodegradabile. Un centesimo a sacchetto. Ma tanto bastò per dare vita a una polemica social contro il Governo che potrebbe persino aver avuto strascichi nella campagna elettorale di quel periodo (il 4 marzo si votava per il rinnovo del Parlamento).
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Al centro di tutto, i famigerati shopper dallo spessore inferiore ai 15 micron, biodegradabili e compostabili. Almeno su questo, però, il legislatore italiano non aveva colpe: stava semplicemente dando applicazione alla direttiva europea del 29 aprile 2015 finalizzata alla “riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero“. Era la legge comunitaria a dettare regole ben precise sui sacchetti bio. Anche se, in tema di shopper per le merci sfuse, da Bruxelles non sono mai arrivate imposizioni particolari. Ma questa è un’altra storia.
Bio o non bio? Questo è il problema
Essere costretti all’esborso di 1 centesimo quando si acquistano i prodotti sfusi o sopportare il fatto che i nuovi sacchetti si rompano e sfilaccino già nel tragitto tra il supermercato e la propria abitazione facendo regolarmente finire tutta la spesa in terra (nel migliore dei casi quando si è già sul pianerottolo) è un onere accettabile, se la causa è quella della tutela dell’ambiente. Ma siamo davvero sicuri che i sacchetti bio… siano bio?
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista scientifica statunitense Environmental Science and Technology, no. A dirlo i ricercatori Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’International Marine Litter Research Unit, School of Biological and Marine Sciences, dell’Università britannica di Plymouth. Stando a quanto hanno appurato, infatti, i bio shopper impiegherebbero ben 3 anni prima di iniziare a degradarsi, una volta lasciati in mare. Questo vuol dire che, una volta abbandonati in acqua, continuano a rappresentare un pericolo mortale per un buon numero di specie marine. Su tutte le balene.
Servirebbero almeno 27 mesi prima che si “decompongano” se sepolti nella terra. Con il paradosso che sono ancora troppo resilienti per essere smaltiti in natura, troppo poco per servire al loro scopo, ovvero trasportare la spesa. Secondo i ricercatori, non ci sarebbero prove della loro effettiva efficacia. Potrebbero non comportare miglioramenti di rilievo nella lotta all’inquinamento terrestre e marino.
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Ulteriore prova che la scienza non abbia ancora trovato un valido sostituto alla plastica ma, soprattutto, che bandirla non serve a nulla se non si educano le persone ad atteggiamenti più rispettosi del pianeta.