Non è l’unico impegno della capitale norvegese per il clima. Il suo centro storico è sempre più zona proibita per le auto
Il porto di Oslo accoglie ogni mese quasi 13mila container: una gigantesca macchina che, tra navi e impianti, produce ogni anno 55mila tonnellate di gas serra. Ma l’obiettivo è quello di cambiare: entro il 2030 l’intera zona punta a ridurre dell’85% le emissioni di biossido di carbonio, ossido di zolfo, ossido di azoto e particolato. «Il piano è molto ambizioso – ha detto Heidi Nelson, il responsabile che si occupa dell’impatto ambientale del porto di Oslo – ma è un piano necessario se vogliamo rispettare l’Accordo di Parigi». Nel 2015 quasi 200 Stati siglarono un patto per contenere l’aumento della temperatura globale entro i due gradi: purtroppo nessuno dei paesi del G20 sta facendo abbastanza e gli Stati Uniti, per decisione del Presidente Donald Trump, si sono disinteressati degli impegni presi.
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Il piano green di Oslo
Il piano di Oslo per far sì che il proprio porto diventi un esempio green contro le emissioni passa per 17 punti e non riguarda soltanto il comparto marittimo. Oltre a creare un sistema in grado di alimentare da terra le navi attraccate – diminuendone così le emissioni – la capitale norvegese si sta impegnando anche per ridurre il traffico su gomma. Il centro storico di Oslo ha gradualmente chiuso alle automobili, perfino a quelle elettriche, per migliorare la qualità dell’aria e tagliare il numero di veicoli in circolazione.
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Da affrontare ci sarà anche la questione dei traghetti verso la Germania e la Danimarca, che pesano per il 40% sulle emissioni del porto di Oslo. Finora c’è un accordo con l’azienda Norled, che sta lavorando per elettrificare tre delle dieci imbarcazioni in esercizio. Basterà? L’impegno c’è ed è condiviso anche da altri porti in tutto il mondo, dove le autorità sono all’opera per ridurre le emissioni di gas serra. Negli Stati Uniti c’è Los Angeles, in Spagna Valencia, in Azerbaijan Baku. Certo, manca l’Italia…