In questi giorni è stato dato il via libera in commissione lavori pubblici e ambiente del Senato ad un emendamento bipartisan al decreto “sblocca cantieri” che prevede l’installazione dei sistemi di videosorveglianza in ogni aula e nelle case di cura
Arrivano le telecamere negli asilo nido. In questi giorni è stato dato il via libera in commissione lavori pubblici e ambiente del Senato ad un emendamento bipartisan al decreto “sblocca cantieri” che prevede l’installazione dei sistemi di videosorveglianza in ogni aula e nelle case di cura. Si tratta di un provvedimento che porta la firma della Lega e dei 5Stelle ma che è stato approvato anche dal Partito Democratico e da Forza Italia. Nello specifico è prevista una dotazione di 5 milioni per il 2019 e 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024 che serviranno ai comuni per installare gli impianti.
Che cosa ne pensano i sindacati
Un’approvazione che non è piaciuta alla Flc Cgil che è prontamente intervenuta: “La necessità di prevenire episodi di maltrattamenti come quelli di cui spesso è stata data notizia negli ultimi tempi, con un riscontro mediatico peraltro enorme rispetto all’esiguità dei casi, è una priorità e un dovere della comunità degli adulti e del legislatore. Il benessere, la cura e l’accoglienza dei bambini e delle bambine, devono essere garantiti a maggior ragione quando si parla dei luoghi della formazione e dell’educazione, dove risulta inammissibile e ingiustificabile qualsiasi forma di prevaricazione, fisica o psicologica. Ma il provvedimento dà una risposta sbagliata a un problema mal posto.” ha spiegato Francesco Sinopoli, segretario nazionale della Flc.
Secondo il sindacato “la tutela dell’infanzia, in quanto valore e patrimonio di tutta la società civile, si attiva concretamente attraverso un’alleanza educativa ampia e profonda, fondata sulla fiducia e sulla condivisione, che rifiuta a priori la logica del sospetto e del controllo inquisitorio. La politica ha il compito di offrire strumenti e risorse per valorizzare le professionalità e restituire centralità alla comunità educante, all’interno della quale si costruiscono relazioni umane e professionali e condizioni di benessere che, a partire dalla qualità del lavoro, si diffondono all’intero contesto educativo consentendo a docenti, educatori, operatori del settore di mettere in campo strategie pedagogiche, più efficaci di qualsiasi dispositivo elettronico, per gestire le complessità e far fronte alle sfide educative dei nostri tempi. In questo quadro, la scelta delle telecamere è totalmente sbagliata e rischia di segnare il fallimento dell’educazione”.
La sindrome di burnout
Resta il problema a monte ovvero quello di comprendere perché una maestra arriva al punto di alzare le mani nei confronti di un bambino. Il burnout è una vera e propria sindrome che, probabilmente, interessa non pochi docenti che si ritrovano dopo decenni a fare un lavoro che non riescono più a svolgere. Non sarà certo la repressione a porre rimedio ad un problema che non può essere risolto con la sola telecamera. Anche perché è facile pensare che d’ora in poi gli atti di violenza non avverranno più in aula ma in un corridoio, in bagno, in cortile o in giardino dove non ci sono telecamere.