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Da troppo poco a troppo. L’esperienza della prima serata RAI, alle prese con la rivoluzione digitale che soverchia il contenuto
Mi perdonerete. Mi fisso su questioni piccolissime. Ieri sera ho seguito per un paio d’ore la prima serata del Festival della Canzone italiana a Sanremo e mi sono divertito. Soprattutto per la questione solita del second screen, vale a dire per l’utilizzo del programma in diretta televisiva come scusa per commentare in gruppo sui social network, nel mio caso su Twitter, quello che stava accadendo. Onestamente senza Twitter e i suoi commenti la mia curiosità verso il Festival sarebbe stata molto minore.
Tuttavia la questione piccolissima non è questa. Riguarda più in generale alcune scelte estetiche della trasmissione, l’utilizzo della tecnologia di computer graphic, le luci, gli sfondi e le transizioni. Abbiamo superato – mi pare – la lunga fase dell’incompetenza. Per molti anni i titoli delle canzoni in sovrimpressione sullo schermo e gli effetti scenici mediati dalla tecnologia equiparavano Sanremo, e in generale gran parte della produzione RAI, a una certa estetica da oltrecortina. Seguire un concerto dal vivo a Glastonbury prodotto da BBC e poi la diretta del concerto del 1 maggio sulla RAI era come catapultarsi indietro di un paio di decenni.
Oggi questo gap forse è risolto: ma dalla fase dei soviet siamo passati direttamente a quella della ridondanza. Capita anche nelle migliori famiglie quando la tecnologia è troppa, a portata di mano e supera la nostra capacità di padroneggiarla. Così la diretta della trasmissione più importante dell’anno inizia con un enorme sfondo digital blu di puntini in movimento, che a me ricorda il nostro stupore per i primi screensaver dei primi computer, con tutti quei luminosi effetti in movimento. Passa poi per l’uso delle luci stroboscopiche, affascinante e coinvolgente ma che, in barba al rischio epilettogeno, limitano comunque la visione delle evoluzioni dei ballerini. Continua con i pochi secondi della grafica di presentazione di ogni canzone durante la quale sullo schermo avvengono – le ho contate – almeno 7 o 8 cose contemporaneamente: baluginano i puntini sullo sfondo, si presenta lo screensaver blu, transizione in entrata dell’icona del cantante, transizione in uscita, puntini roteanti ecc.
Come ogni fuoco d’artificio in sovrappiù tutta questa tecnologia ostentata colpisce e impressiona la prima volta, per poi appesantirsi (lei e noi) ad ogni passaggio. È una sorta di rococò digitale: la fase di passaggio dal poco al troppo. Una forma di modernità sottolineata e compiaciuta che dice molte cose di noi. Un luogo creativo che racconta il nostro essere finalmente digitali: un luogo affascinante nel quale, però, la sintesi resta quasi sempre la bella sconosciuta.