Qual è l’approccio e l’indirizzo che l’Autorità ha dato alla consultazione pubblica sul tema delle criptovalute? Limiti e prospettive di un regolamento che potrebbe finalmente aprire l’Italia al mercato globale delle ICO
Lo scorso 19 marzo la Consob ha lanciato una consultazione pubblica, volta a delineare il primo approccio regolatorio di impronta domestica delle ICOs (“Initial Coin Offerings”) e della successiva fase di scambio e negoziazione dei crypto-assets. La consultazione, aperta agli operatori del settore e a tutti gli stakeholders, parte dal Documento per la Discussione “Le offerte iniziali e gli scambi di cripro-attività”, si chiuderà il 5 giugno prossimo a seguito della Public Hearing che si è tenuta in Bocconi il 21 maggio.
L’iniziativa della Consob giunge in una fase cruciale della diffusione – e per certi versi -dell’evoluzione del fenomeno delle ICO, sempre più sotto la lente dei regolatori, come confermato di recente dalla regolamentazione del legislatore francese (la regolamentazione, inclusa nel PACTE in vigore dall’11 aprile 2019, è stata fortemente voluta dall’AMF: Autorité des marchés financiers) e dall’emanazione delle linee guida da parte della americana SEC (La Security and Exchange Commission ha pubblicato il Framework for “Investment Contract” Analysis of Digital Assets il 3 aprile 2019). L’intervento dell’Autorità di Vigilanza si innesta, inoltre, nell’ambito dell’attività svolta a livello comunitario dall’ESMA (l’organismo che sovrintende alle Authority finanziarie europee) e diretta ad arrivare a un quadro regolamentare condiviso per l’intero settore.
Lo stato dell’arte
Dopo l’impennata del 2017, la raccolta tramite ICO si è vistosamente contratta a partire dal secondo semestre 2018, complice – a mio avviso – anche l’assenza diffusa di un quadro normativo e regolamentare che ha innalzato la soglia di attenzione e forse inibito investitori e operatori dopo aver favorito offerte che spesso si sono rilevate poco trasparenti. A oggi i capitali raccolti con ICO nei primi tre mesi del 2019 risulterebbero ammontare a circa 575 milioni di dollari, mentre la “capitalizzazione” globale del mercato delle “valute virtuali” è stimata ai primi di marzo 2019 pari a 130 miliardi di dollari (iIl dato della capitalizzazione delle valute virtuali è riportato da CAPONERA E GORLA in Banca d’Italia Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers) Numero 484 – Marzo 2019 Aspetti economici e regolamentari delle «cripto-attività»).
Le ICO impongono la dovuta attenzione e cautela dal momento che nella maggior parte dei casi si tratta di raccolta di capitali realizzate mediante creazione (emissione) e successiva offerta al pubblico di token basati su blockchain, acquistabili normalmente con criptovalute o con moneta fiat, finalizzati all’accesso a servizi e prodotti futuri. La criticità delle offerte è dovuta al fatto di promuovere molto spesso veri e propri investimenti, sia perché i token sono spesso negoziati su mercati secondari, sia perché possono configurarsi similmente a “strumenti finanziari” o “prodotti finanziari” e ciò considerate le aspettative di rendimento – esplicitamente o meno dichiarate dagli emittenti – che possono motivare gli investitori/acquirenti di token. Sono proprio questi tratti distintivi che avvicinano “pericolosamente” le ICO a raccolte di capitali coperte dalla riserva di legge, avente ad oggetto la disciplina dei servizi e attività di investimento, del prospetto informativo nonché della promozione e del collocamento a distanza.
Ciò considerato, con l’obiettivo primario di regolare la fase dell’offerta e di garantire la tutela degli investitori, Consob intende disegnare una sand-box che deroghi al sistema regolamentare ordinario proprio dei prodotti finanziari e agevoli le ICO che, in presenza di tutta una serie di elementi di seguito sinteticamente tratteggiati, potrebbero avvalersi di una disciplina semplificata. L’applicazione del regime della sand-box sarebbe – teoricamente – facoltativo con un meccanismo di opt-in – condizionato tra l’altro alla circostanza che “siano impiegate piattaforme dedicate e vigilate dalla Consob rispondenti ai requisiti tratteggiati” – che lascerebbe gli emittente/collocatori/offerenti liberi di scegliere se accedere o meno per il lancio in Italia di una ICO al regime derogatorio della normativa dettata per i prodotti finanziari. La scelta di fatto sembra invece obbligata dal momento che il procedere fuori sand-box comporterebbe l’applicazione piena della disciplina dei prodotti finanziari del Testo Unico della Finanza (TUF), con tutte le complessità e le problematiche del caso, attesa l’incompatibilità tecnica e la difficoltà operativa di innestare il modello delle ICO (disintermediato/automatizzato e operativo su blockchain) sui tradizionali schemi di offerta, promozione e collocamento/emissione oggetto della normativa esistente.
La consultazione
Passando alla consultazione, il Documento per la Discussione si incentra su:
- una possibile definizione normativa dei crypto-assets oggetto di ICO;
- un possibile approccio regolatorio relativamente alle offerte di crypto-assets di nuova emissione, anche mediante piattaforme di crowdfunding;
- un possibile approccio regolatorio rispetto alla successiva fase di negoziazione, custodia e trasferimento dei crypto-assets.
Qualche spunto di riflessione di carattere legale, per quanto preliminare e non di certo esaustivo, merita l’impostazione che Consob ha dato innanzitutto alla definizione di crypto-assets e al tema delle ICO che per certi versi sembra prescindere – almeno in questa fase preliminare – dalla complessità della tecnologia blockchain, dei suoi effetti e delle sue applicazioni al fenomeno delle ICO e alla circolazione dei token, nonchè dalla varietà di tipologia di crypto-assets sempre più difficilmente catalogabili in categorie univoche e precostituite. Viene, quindi, lasciato da parte “per ragioni di spazio” l’approccio del Regolatore alla fase dell’offerta, della negoziazione, custodia e trasferimento dei crypto-assetse, nonché ai suoi principali attori (emittente/piattaforme creazione dei token / di offerta/ exchange).
La definizione normativa di cripto-attività
La Consob parte dal definire l’oggetto delle ICO, possibili “beneficiarie” della sand-box, come “cripto-attività”, nome che pare essere traduzione letterale del più ben noto termine “crypto-assets” comprensivo dei più disparati token incluso dei security token, questi ultimi esclusi espressamente dal radar del Regolatore. Francamente non si comprendono le ragioni di detta definizione, peraltro già adottata in un testo di Banca d’Italia nell’Occasional Papers Aspetti economici e regolamentari delle «cripto-attività, che rischia di procurare fraintendimenti e disallineamenti rispetto alle più diffuse tassonomie dell’autorità di vigilanza svizzera FINMA (i.e. payment tokens, utility tokens e security tokens) e dell’ESMA (i.e. security-like/investment type token/asset token), entrambe espressione della best practice internazionale.
La Autorità di Vigilanza definisce le cripto-attività come i crypto-assets:
- qualificabili come prodotti finanziari, con l’esclusione degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento quali PRIIP, PRIP e IBIP;
- finalizzati a investimenti in progetti imprenditoriali;
- “creati, conservati e trasferiti” (unicamente) mediante “tecnologie basate su registri distribuiti” capaci di garantire “l’identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti e incorporati nella cripto-attività”;
- negoziabili “all’interno di uno o più sistemi di scambi” (exchanges), anche essi oggetto di regolamentazione e vigilanza.
Detta definizione, per come proposta, presenta una serie di tratti che finiscono per restringere in modo importante l’ambito di applicazione della sand-box esclusivamente a utility token, che sono offerti su piattaforme regolamentate e negoziabili su exchange vigilati, escludendo in tal modo una fetta importante di ICO aventi ad oggetto crypto-asset che non sono destinati alla negoziazione su mercati secondari. La scelta si comprende difficilmente dal momento la negoziabilità non è di certo un elemento tipico e caratterizzante degli utilty token, tanto che la stessa ESMA nell’Advice citato sottolinea che i token negoziabili sono solo compresi fra un terzo e un quarto di quelli emissi.
Così come non è un elemento caratterizzante degli utility token la finalità del “finanziamento di progetti imprenditoriali”, che non contempla i token slegati da iniziative imprenditoriali e rappresentati assets immateriali sempre più diffusi nei progetti di tokenizzazione e che, peraltro, potrebbe essere fuorviante lì dove rischia di creare una sovrapposizione con i security token, dal momento che la finalità di “finanziamento” di un progetto imprenditoriale renderebbe i token in questione molto simili a valori mobiliari, esclusi dall’intento di regolamentazione. Peraltro, rilevo come il richiamo ai “progetti imprenditoriali” appare del tutto laico senza alcun riferimento al carattere innovativo degli stessi, aprendo quindi un utile breccia alla possibilità che le ICO non siano legate esclusivamente ad iniziative imprenditoriali con un prevalente contenuto di innovazione, circostanza che è, invece, riscontrabile nella maggior parte dei progetti sottostanti alle ICO ad oggi lanciate nel mondo.
Inoltre, coerentemente con il fine di vigilare le modalità di offerta e scambio dei crypto-assets oggetto di ICO, il Regolatore intende sottoporre a vigilanza le piattaforme di offerta nonché gli exchange operatori del mercato secondario, circostanza che in potenza costituisce un ulteriore limite all’accesso della sand-box lì dove gli emittenti – ad esempio – non intendano rivolgersi a exchange vigilati. A restringere ancora di più l’ambito di applicazione della futura normativa vi è il perimetro domestico che esclude di fatto la regolamentazione delle ICO “lanciate” all’estero e indirizzate al mercato italiano, scelta quest’ultima che finisce per snaturare la dimensione decentrata e tras-nazionale delle ICO e porre una barriera materiale alla nascita di un mercato italiano che possa diventare attraente per emittenti e operatori stranieri.
Quindi, stando allo scenario tratteggiato in fase di consultazione da Consob, nell’ambito della sand-box rientrerebbero solo le offerte italiane, aventi ad oggetto utility token, qualificabili come prodotto finanziario e quindi con una chiara aspettativa di rendimento diversa da quella propria degli strumenti finanziari, negoziabili su exchange vigilati e finalizzati all’investimento in progetti imprenditoriali. Al contrario i pure utilty token, sprovvisti di ogni aspettativa di rendimento ma destinati meramente allo scambio di beni e servizi dell’emittente, potrebbero essere liberamente offerti sul mercato italiano al di fuori dei vincoli regolamentari propri dei prodotti finanziari senza accesso alla sand-box, salvo la volontà dell’emittente di assoggettarsi alla stessa per ricorrere ad operatori vigilati.
Facciamo chiarezza
A far chiarezza dello scenario che sembra essere stato delineato, una chiara rappresentazione grafica dei contesti regolamentari e dell’ambito della sand-box che sembra emergere dagli intenti di Consob è stata fornita dal prof. Paolo Carriére della Giusta:
Esclusi i security token, estranei alla consultazione, l’ago della bilancia nella qualificazione di crypto-assets resta, quindi, la natura, la funzione e lo scopo dei token, elementi questi che determinano o meno l’aspettativa di rendimento dell’investitore/acquirente e l’assunzione di un rischio di natura finanziaria, caratteri che sono lo spartiacque fra i token che rientrerebbero nella sand-box e quelli che invece in quanto utility token ne rimarrebbero fuori potendo, quindi, essere offerti liberamente in quanto caratterizzati dalla prevalenza del godimento di un bene o servizio rispetto alle attese di rendimento.
Se in linea di principio e per espressa ammissione, l’approccio di Consob è volto ad evitare un esame case by case delle singole ICO, una definizione omnicomprensiva come quella oggetto di consultazione, a mio parere, forse lascia maglie talmente ampie di interpretazione da rendere poi necessaria una valutazione caso per caso delle singole offerte per collocarle o meno nell’ambito della sand-box. La complessità delle diverse tipologie di token rende non poco scivolosa una valutazione circa l’esistenza o meno di una aspettativa di rendimento prevalente rispetto a quella di mero godimento, con l’effetto di lasciare invariata la zona grigia di applicazione o meno della sand-box nonostante lo sforzo regolamentare.
Il tema della individuazione preliminare dell’aspettativa di rendimento è – non a caso – al centro dei più recenti orientamenti regolamentari se si considera l’ultimo intervento della SEC che con il suo recente Framework ha elencato le possibili tipologie di aspettative di rendimenti per delineare i security token. Si ci chiede, quindi, se non potesse risultare utile anche nell’ambito di una definizione omnicomprensive andare a distinguere i token a seconda dei diritti in essi incorporati (detto approccio è stato adottato nel caso della regolamentazione introdotta di recente nella Repubblica di San Marino) e della esistenza o meno dei caratteri dell’atteso rendimento, ciò per fornire una impostazione che possa agevolare gli operatori nell’individuazione preliminare dell’oggetto dell’ICO al fine di facilitare l’accesso alla sand-box.
L’approccio di Consob
Pur comprendendo il focus dell’Autorità di Vigilanza sulla definizione delle cripto-attività, sul tema dell’offerta e su quello degli attori delle ICO, l’approccio di Consob sembra per certi versi “scollegato” dalle reali dimensioni del fenomeno e dai suoi trend attuali; l’effetto è una visione ristretta in quanto incentrata su una tipologia di token che di fatto lascia fuori la straordinaria stratificazione e evoluzione della tokenizzazione di asset, che in più parti del mondo sta prendendo piede con una maturazione dell’ecosistema che fa crescere il mercato delle ICO con beneficio sia di emittenti che di investitori.
È auspicabile, in conclusione, che l’iniziativa di Consob sia il primo passo di una regolamentazione volta ad allargare lo spettro della sand-box, qualora si volesse realmente aprire l’Italia al mercato globale delle ICO. Il processo non è di certo immediato e ha una sua complessità considerata la necessità di integrare quella che sarà la normativa sulle ICO in un più ampio quadro che non potrà prescindere dalla regolamentazione della blockchain e degli smart contract (allo stato solamente embrionale e in attesa delle linee guida AGID), dall’integrazione sistematica con la normativa civilistica, il GDPR e la AML nonché da una vera e proprio restyling ed adeguamento del mercato dei capitali alle nuove istanze tecnologiche in un contesto globale.