Quello della digitalizzazione è un percorso iniziato in realtà già anni fa e concretizzatosi velocemente a causa della pandemia. Sono tantissimi i congressi scientifici che sono stati trasformati in virtuali a tempo di record, rendendo l’evento universale e accessibile a chiunque, spesso gratuitamente
In principio fu l’Internet World Congress on Biomedical Sciences , il primo congresso scientifico virtuale organizzato dalla Internet Association on Biomedical Sciences (INABIS). Era il 1997, ma già dal 1994 INABIS si cimentava in questa nuova forma di congresso, dove tutto il processo, dall’invio degli abstract alla peer-review fino alla presentazione dei “poster virtuali” e alla discussione degli stessi avveniva completamente online. I mezzi erano poveri. La velocità di trasmissione di Internet consentiva operazioni molto basilari. La discussione delle relazioni per esempio, avveniva attraverso la “discussion board”, antesignana degli attuali gruppi di discussione offerti dalle piattaforme di social media. Il pubblico dei congressi scientifici, era limitato a pochi pionieri della comunicazione scientifica mediata dalle nuove tecnologie.
Ritorno al passato?
Oggi la pandemia di Covid-19 ha costretto la comunità scientifica a riprendere in considerazione quel modello. I congressi scientifici nazionali e internazionali (questi ultimi capaci di spostare alcune decine di medici e specialisti) non si sono fermati, ma si sono trasferiti sul web. Certo, rispetto al 1997 la situazione è notevolmente cambiata dal punto di vista tecnologico.
Connessioni molto più potenti permettono la diffusione in tempo reale di audio e video. Sistemi di videoconferenza evoluti consentono l’interazione tra molti soggetti e la diffusione dei contenuti (in forma di video e diapositive). A un numero potenzialmente infinito di utenti. Piattaforme di condivisione di video aiutano ad accedere alle relazioni e ai contenuti congressuali anche dopo il termine dell’evento. Piattaforme di social media contribuiscono a rendere l’evento universale e accessibile a chiunque, spesso gratuitamente.
Un accesso più democratico al sapere
La pandemia da Covid-19 è riuscita laddove anni di riviste Open Access, non sono riuscite completamente. È riuscita a rendere più democratico l’accesso al sapere e alle nuove conoscenze. Ha permesso anche a chi, per ragioni economiche o lavorative, non ha la possibilità di partecipare ai congressi reali, di farlo con quelli virtuali.
È lunga la lista dei congressi reali cancellati nella forma tradizione e proposti online. Tra i più importanti l’American College of Cardiology, l’American Diabetes Association, l’American Society of Clinical Oncolology. Altri previsti per il prossimo autunno, come l’European Society of Cardiology e il World Congress on Public Health, hanno optato per la nuova strada. Anche in Italia, complice la grande diffusione di strumenti come Zoom e YouTube, molti congressi, come quello della Società Italiana Cure Palliative, approfitteranno di questa opportunità.
Un percorso partito anni fa
A dire il vero diverse società scientifiche già negli scorsi anni si erano attrezzate per rendere fruibili alcuni materiali congressuali (per esempio le relazioni più significative accompagnate dalle diapositive) al termine del congresso. Le sezioni “virtual meeting” dell’American Society of Clinical Oncology e dell’Associazione Italiana dei Medici Oncologi rappresentano un modello.
Altre ancora avevano abbracciato (e continuano a farlo) i social media (in particolare Twitter). Diffondendo (e chiedendo a chiunque di diffondere) contenuti congressuali attraverso appositi hastag, affinché, anche chi impossibilitato a presenziare, potesse essere messo al corrente delle nuove scoperte presentate durante i congressi da loro organizzati. O dibattere, sempre via social media, con i relatori, gli opinion leader e tutti coloro interessati ad approfondire le tematiche presentate.
L’American Society of Clinical Oncology, pioniere in questo campo, ha visto decuplicare nel giro di 5 anni il numero di tweet pubblicati sulla nota piattaforma di social media che includevano l’hashtag del congresso annuale. Passando dai 7.746 del 2011, anno in cui ASCO ha iniziato a lanciare questa iniziativa, ai 72.698 del 2016. Mentre il numero degli utenti di Twitter attivi nella pubblicazione di questi tweet è passato dai 1.429 della edizione del 2011 del congresso, ai 15.796 della edizione del 2016.
Non solo casi virtuosi
L’accoppiata congresso virtuale/comunicazione dell’evento congressuale via Twitter non sembra però aver dato i suoi frutti. Almeno a giudicare da quanto accaduto al congresso annuale della American College of Cardiology. Qui infatti si è assistito a una riduzione di 2/3 del numero di tweet, retweet e profili operanti con l’hashtag ACC20 rispetto all’hashtag ACC19 usato per il congresso del 2019, l’ultimo svolto in presenza. Colpa – secondo gli autori dell’articolo da cui sono estratti i dati sopra citati – della durata inferiore dei congressi virtuali rispetto a quelli tradizionali, ma soprattutto della assenza di interazione fisica e di chat room dedicate durante la sessione live che hanno ridotto anche l’interazione virtuale.
La nuova normalità dei congressi scientifici
Con o senza il supporto delle piattaforme di social media per diffondere i contenuti congressuali e per favorire il confronto tra i partecipanti, i congressi virtuali saranno destinati ad accompagnarci ancora per qualche tempo. E forse un domani potranno essere visti non come un’alternativa (le relazioni sociali reali sono fondamentali in questo contesto), ma come una importante integrazione ai congressi reali.