Lo definiscono “il documentario definitivo sulla nascita del movimento paralimpico”. Una storia meravigliosa da raccontare di una intuizione che ha cambiato non solo il mondo dello sport, ma anche la società. Proprio grazie alle grandi gesta degli atleti paralimpici è infatti cambiata la percezione della disabilità nel mondo. Per il Comitato Paralimpico Internazionale è un’opera che aiuterà a migliorare la cultura sulla disabilità. Ecco perché Rising Phoenix, docufilm che mostra la storia delle Paralimpiadi, disponibile su Netflix dal 26 agosto, è così importante. Per l’Italia c’è poi un altro motivo particolare.
Il racconto della nascita del movimento paralimpico si intreccia infatti con le storie di alcuni grandi campioni, con due piani narrativi: uno dedicato appunto alla grande storia dello sport paralimpico, l’altro alle storie personali di campioni affermati e futuri, che raccontino se stessi. Fra questi, una delle protagoniste principali è Bebe Vio, schermitrice che ha portato la scherma paralimpica nelle case della gente con un impatto paragonabile a quello di Alex Zanardi, travalicando i confini nazionali.
“Si dice scherma paralimpica”
Bebe è fra coloro che meglio incarnano lo spirito paralimpico: “Lo sport ha cambiato la cultura. Nella mia associazione, art4sport, alcuni bimbe e bimbe voglio le protesi per essere quasi dei superman. Il bello del docufilm è che sono raccontate storie diverse che appassionano. Appena lo si conosce, ci si innamora del mondo paralimpico”. Come è successo a lei e a chi la ha incontrata, nella realtà o conoscendola fra giornali e tv: “Gli atleti paralimpici sono in palestra insieme a chi non ha disabilità. E’ importante. Mi alleno all’Acqua Acetosa a Roma, ci sono anche i piccoli della Roma. Una mamma mi vede e dice al suo bimbo: quella fa scherma per disabili. Sento lui che risponde: mamma, dai, si dice scherma paralimpica, ecco come cambia la mentalità”.
“Rising Phoenix” arriva in un momento difficile per lo sport, raccontando una storia e tante storie che sono simbolo di resilienza. E’ importante anche il periodo nel quale esce questo docufilm. Il 26 agosto sarebbe stato il giorno di inizio delle gare della Paralimpiade giapponese e fra un anno saremo nel pieno, con la Cerimonia di Apertura prevista il 24 agosto, dei Giochi posticipati. Inoltre, anniversario importante, fra poco meno di un mese saranno 60 anni da Roma 1960, considerata la prima vera edizione dei Giochi Paralimpici. Una ricorrenza che ha dato quindi anche l’occasione per la distribuzione di “Rising Phoenix”.
Il racconto della nascita del movimento paralimpico si intreccia con le storie di alcuni grandi campioni. Con Bebe Vio ci sono altri straordinari atleti provenienti da tutto il mondo: Ellie Cole (Australia, nuoto), Jean-Baptiste Alaize (Francia, atletica), Matt Stutzman (Usa, tiro con l’arco), Jonnie Peacock (Gran Bretagna, atletica), Cui Zhe (Cina, sollevamento pesi), Ryley Batt (Australia, rugby in carrozzina), Ntando Mahlangu (Sud Africa, atletica) e Tatyana McFadden (Usa, atletica e sci nordico) che, oltre a essere la migliore di sempre nelle gare in carrozzina, è anche fra i produttori del film, destinato a essere un punto di riferimento per coloro che vogliono conoscere come è nato il più grande evento sportivo internazionale dopo i Giochi Olimpici. Hanno storie bellissime. Lo conferma Bebe: “E’ vero, super appassionanti. Alcune le ho scoperte facendo il documentario. Il francese Jean Baptiste Alaize, amputato durante la guerra civile in Burundi. Matt Stuztman per me è magico. E’ nato senza braccia e dice: volevo diventare come Michael Jordan, ma ero troppo basso. Grandissimo. O il sudafricano Ntando che ho incontrato a Rio giovanissimo: non si toglieva le protesi delle gambe per correre neanche in mensa”.
Quando lo sport cambia la vita
A tutti loro l’incontro con lo sport paralimpico ha cambiato la vita. Accadde anche a Bebe, che tornò allo sport grazie a due icone paralimpiche: “Sono superfan di Alex Zanardi. Guardandolo ho sempre detto: cavolo, lui è Alex, può fare tutto. Una figura talmente in alto che sembra impossibile poterla raggiungere, un esempio sempre”.
“Rising Phoenix” è un bellissimo docufilm perché ha saputo trovare il ritmo giusto della narrazione con la profondità del contenuto. Assolutamente da vedere e rivedere. Volendo trovare qualche aspetto da migliorare, pensando a possibili aggiornamenti, sarebbe bello che venisse coinvolto anche qualche atleta con disabilità grave, tipo per esempio una cerebrolesione o una distrofia. In questa maniera si mostrerebbero le tante facce del movimento, che permette davvero a tutti, in ogni condizione, di poter praticare uno sport. Anche qualche eccesso di superomismo (l’utilizzo della parola supereroi potrebbe per esempio venire evitato) dovrebbe essere limato. Ma questo, nascendo da autori anglosassoni provenienti da un mondo che in passato ha enfatizzato questo aspetto, poteva essere prevedibile. Andrebbe però rivisto. Gli atleti paralimpici non sono supereroi e non debbono essere visti come tali. Sono atleti, spesso grandissimi, che conquistano i loro traguardi con sudore, allenamenti, fatica. E questo mostra ancora più la loro grandezza, così bene raccontata da Rising Phoenix. Quella fenice che risorge è tutti loro, campioni o no, che con quello fanno mettono in luce le abilità, cancellando quel dis e migliorando la società.