La procura generale di New York indaga sullo “zoom bombing”. Ma non siamo obbligati a usare l’app dei record: quella di Apple accoglie fino a 32 partecipanti, il progetto open source fino a 50. Mentre la chat supersicura è per i meeting “faccia a faccia”
Zoom è sotto inchiesta negli Stati Uniti per (grossi) problemi di privacy. L’app per videoconferenze più scaricata delle ultime settimane, in vetta alle classifiche degli app store in numerosi mercati specie europei, è infatti finita nel mirino di Letitia James, procuratrice generale di New York, in particolare per il fenomeno noto come “zoom bombing” con cui utenti non invitati alle “stanze” virtuali fanno irruzione nelle conversazioni per spiare, fare confusione, incitare all’odio, registrare quanto accade e così via. Sul fatto era già intervenuta di recente l’Fbi con una specifica allerta.
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In una lettera dell’ufficio del procuratore generale, resa nota dal New York Times, Zoom – che nei giorni scorsi era stata accusata di condividere dati con applicazioni terze e anche di trasmettere a Facebook informazioni su chi non disponeva di un account sul social – viene definita “una essenziale e preziosa piattaforma di comunicazione”. Allo stesso tempo si fa notare che, con l’incremento di traffico sul suo network legato al periodo di quarantena a cui è ormai sottoposto il 40% della popolazione mondiale, c’è l’urgente necessità di assicurare che siano state messe in atto misure efficienti per la tutela della privacy e dei dati personali. Per proteggere le riunioni occorre in ogni caso richiedere l’inserimento di una password, abilitare la “stanza d’attesa” per aggiungere eventuali altri partecipanti ed evitare di utilizzare il “personal meeting ID” per nuove riunioni, variandolo per ogni videoconferenza.
Ovviamente Zoom è importante perché consente videoconferenze gratuite fino a cento partecipanti. Ma non offre, come al contrario ha più volte confermato di fare, una connessione criptata “end-to-end”. Per cui, se l’incontro è con poche persone, vale la pena virare su strumenti più semplici da usare e senza dubbio più sicuri.
FaceTime
A partire da FaceTime di Apple che, nonostante il bug individuato lo scorso anno (lasciava aperto il microfono e la videocamera dello smartphone prima ancora che l’utente rispondesse alla chiamata), rimane una piattaforma sicura. Mashable spiega di averne avuto conferma da diversi ricercatori, fra cui Patrick Wardle di Jamf, fondatore di Objective-See, che la raccomanda per l’uso personale. Fra l’altro, si può arrivare fino a 32 partecipanti. Di certo non poco, per una piccola o media organizzazione. Si può usare su dispositivi iOS o su macOS – dunque è limitata ai dispositivi Apple – e c’è ovviamente anche la possibilità di partecipare solo in voce.
Signal
Un’altra app, ben nota in particolare fra attivisti e giornalisti, è Signal. Un software gratuito e open-source, disponibile sia per Android che per iOS, oltre che per desktop (dove però non si può usare il video), tutto criptato end-to-end (sia video che chiamate solo audio). Il problema è che consente solo le conversazioni fra due contatti, dunque per gli incontri di squadra è sostanzialmente inutile. Ma rimane essenziale per i confronti più delicati “faccia a faccia”.
Jitsi Meet
Una terza scelta è Jitsi Meet, che non a caso sta crescendo molto nelle classifiche della piattaforma App Annie. Anche in questo caso si tratta di un’app gratuita e open source, disponibile in pratica per ogni piattaforma, non richiede alcuno scaricamento (come Zoom) né un account, si possono proteggere le videocall con una password, offre la connessione criptata (ma non end-to-end) e consente di sfumare lo sfondo (come su Skype) ed è raccomandata da Tor Project. Basata sullo standard WebRTC, dà accesso a videochiamate fino a 50 persone e permette molte altre funzionalità, come quella di avviare una diretta streaming live su YouTube (su un account con più di mille iscritti).