Un test del Mit di Boston apre una prospettiva interessante per le pessime condizioni meteo: un “Gpr” che legge la composizione della superficie. Ma fatica con la pioggia
Le tecnologie per la guida autonoma stanno facendo passi da gigante, anche se manca ancora molto prima di arrivare al quinto e più elevato livello della scala stabilita dall’Istituto federale di ricerca per i trasporti e la mobilità tedesco. Uno degli ostacoli più forti in questi anni è stato quello del brutto tempo, in particolare neve e nebbia. Ora pare che un team del Computer Science and Artificial Intelligence Lab del Mit di Boston abbia compiuto un passo avanti anche in questa direzione.
Come funziona il Gpr
In che modo? Mappando ciò che c’è sotto la superficie attraverso un Gpr, un “Ground penetrating radar”. Molti veicoli autonomi usano un mix di sensori Lidar e videocamere per individuare, decidere e mantenere la posizione sulla strada. Ma, appunto, le camere possono essere messe in difficoltà da scarse condizioni di visibilità o segnali stradali verticali e orizzontali coperti dalla neve. Anche i Lidar diventano meno accurati in quei contesti. Il Gpr, invece, invia impulsi elettromagnetici verso il terreno per stabilire l’esatta combinazione della superficie, la presenza di rocce o radici. Dati che vengono poi trasformati in mappe operative per le centraline delle auto autonome. Che in questo modo riescono a “vedere” anche quando il resto della strumentazione non vede nulla o legge meno efficacemente il contesto.
Il Mit di Boston
L’esperimento
Il Gpr usato nell’esperimento del Lincoln Laboratory del Mit si chiama Localizing Ground Penetrating Radar. Non importa se la strada è ricoperta di neve o la visibilità ridotta per la nebbia. “Se prendiamo una pala e scaviamo nel terreno, tutto ciò che vedremo è un mucchio di terra – ha spiegato Teddy Ort, PhD al laboratorio – ma l’Lgpr può quantificare gli elementi specifici e confrontarli con la mappa che è già stata creata, in modo che sappia esattamente dove si trova, senza bisogno di telecamere o laser”. Insomma, è una soluzione che dovrebbe essere integrata in tutti i veicoli autonomi per garantire la massima sicurezza anche in situazioni meteorologicamente complicate. A patto di riuscire a miniaturizzarla e incorporarla, contrariamente all’impalcatura montata per l’esperimento.
Ovviamente si tratta per ora di un test sul terreno. Il team statunitense, che pubblicherà le proprie ricerche sulla rivista Ieee Robotics and Automation Letters alla fine del mese, ha provato il radar a velocità ridotte su strade chiuse di campagna. Ma non dovrebbero esserci problemi, almeno nelle speranze dei ricercatori, sulle autostrade o comunque su direttrici ad alto scorrimento. L’unico ostacolo, certo non da poco, rimane la pioggia, che penetrando nel terreno non consente al sistema di ricavare informazioni precise. Anche su quello, oltr eche sugli ingombri del sistema, occorrerà lavorare a lungo.